Io caregiver dalla A alla Z

storie, suggerimenti, emozioni, informazioni … e altro

  • Pubblicazione realizzata dall’ASL di Brescia nel 2015
  • Gruppo di progetto: Silvia Biatta, Silvia Ciaccio, Mariella Corti, Simonetta Di Meo, Donatella Galizzi, Fulvio Lonati
  • Contributi personali: Flavio Careddu, Augusto Olivetti, Elena Rampini, Aldo Trapuzzano, Giovanni Zaninetta e caregiver che hanno reso disponibili le loro storie e le loro emozioni

Perché questa pubblicazione?

L’obiettivo che ci siamo posti, forse un po’ ambizioso, è quello di raccogliere le pa- role chiave ricorrenti che abbiamo colto in tanti anni di contatto con le persone che assistono e di restituirle, brevemente commentate. Chi si accinge ad intra- prendere questa esperienza o coloro che lungo il tragitto sentono la necessità di un confronto, potranno riconoscersi nelle emozioni, nel bisogno di informazione, nei problemi e nelle soddisfazioni che può dare il “lavoro” di cura.

Perché una rubrica in ordine alfabetico?

Le situazioni e le esperienze di vita, di salute, di malattia, di assistenza sono una diversa dall’altra. Possono riguardare neonati, bambini, ragazzi, adulti, anzia- ni; malattie congenite, croniche, acute, con o senza prospettive di guarigione; persone che assistono da anni o che si trovano ad affrontare un problema improv- viso, che scombussola la vita quotidiana e richiede adattamenti repentini.

Una rubrica non va letta dalla A alla Z. È fatta per cercare, e possibilmente trova- re, la parola di cui si ha bisogno in un determinato momento per capire qualcosa di più di ciò che si sta provando, sentendo, vivendo. Spesso non vengono fornite soluzioni ma, il fatto di “ritrovarsi”, di capire che altri ci sono già passati, di le- gittimarsi a provare emozioni che non si erano messe in conto, di avere anche qualche indicazione concreta per sapere come muoversi, pensiamo possa essere di aiuto.

Questo volume non ha la pretesa di essere esaustivo; potrà arricchirsi nel tempo anche grazie ai contributi che arriveranno da coloro che lo utilizzeranno, lo troveranno utile e desidereranno collaborare per renderlo ancora più completo.

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ADI (Assistenza Domiciliare Integrata)

L’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) è un servizio, organizzato dalle ASL in collaborazione con i Comuni, che permette ai cittadini che ne hanno bisogno di essere assistiti a casa con programmi personalizzati, evitando il ricovero, in ospedale o in casa di riposo, per un tempo maggiore del necessario.

L’ADI si colloca nella rete dei servizi socio-sanitari e garantisce, sulla base di un piano assistenziale individualizzato (PAI), varie tipologie di prestazioni a domicilio mirate alla cura ed all’assistenza della persona di qualunque età, malata o compromessa nell’autonomia, con il fine di permetterle di continuare a vivere nella propria abitazione.

Quanto costa

Il servizio è gratuito.

Posso richiederlo?

L’ADI è rivolta a tutte le persone, senza limitazioni di età o di reddito, in situazioni di fragilità, con perdita parziale o totale di autonomia transitorie o definitive.

Dei servizi gratuiti dell’ADI possono beneficiare tutti i cittadini residenti in Regione Lombardia.

A chi posso rivolgermi

L’attivazione del servizio di cure domiciliari avviene mediante prescrizione del Medico di Medicina Generale/Pediatra di Famiglia, responsabile clinico dell’assistito, e solo successivamente alla valutazione dei bisogni dell’utente e all’assegnazione del voucher da parte dell’UCAM-UVD-UVG.

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Aggressività

L’aggressività è un fenomeno molto complesso che chiama in causa diverse problematiche legate all’aspetto psicologico e biologico dell’essere umano.

Esistono diverse definizioni di aggressività.

In generale il termine indica l’inclinazione a manifestare comportamenti intenzionali che hanno lo scopo di causare danno o dolore (fisico o psicologico) agli altri. L’aggressione può attuarsi sia a livello fisico che verbale.

Un’azione intenzionalmente orientata ad arrecare danno viene considerata aggressiva anche se non riesce nelle sue intenzioni, al contrario, un comportamento che causa solo accidentalmente un danno non è da considerarsi aggressione.

L’aggressività è sempre stata un tema dibattuto a livello filosofico; in ambito scientifico ha costituito un oggetto di ricerca importante per varie discipline, dalla biologia alle scienze psicologico-sociali.

Varie ipotesi e teorie sono state avanzate nel corso del tempo: secondo alcune, l’aggressività dipende da fattori innati (si nasce con l’istinto di aggredire), secondo altre invece è un fattore acquisito (legato alla persona ed al suo ambiente).

I meccanismi che presiedono alla sua genesi, le condizioni che la incrementano e la cronicizzano sono tutt’ora oggetto di analisi e studio da parte di diverse discipline.

Aggressività come sintomo di altri disturbi

L’aggressività è un sintomo che si manifesta in alcune patologie sia psichiche (disturbi alimentari, autismo, disturbo bipolare) che organiche (morbo di Alzheimer ed altre forme di demenza).

L’aggressività nella demenza

Le persone affette da Alzheimer o da altre forme di demenza possono reagire in modo inaspettatamente violento nei confronti di ciò che le circonda, agitandosi per motivi apparentemente futili oppure aggredendo fisicamente o verbalmente chiunque capiti loro a tiro. Per un familiare o un assistente, subire un’aggressione è molto difficile da accettare. È sempre importante ricordare che il comportamento aggressivo è dovuto alla malattia più che all’individuo. In questo senso non risparmia nessuno: anche persone con un carattere molto dolce possono talvolta comportarsi in modo aggressivo. Diverse sono le cause che possono scatenare l’aggressività, ma soprattutto la frustrazione e l’ansia. Tuttavia, la causa più comune è la paura; si tratta quindi di una naturale reazione difensiva contro la falsa percezione di un pericolo o di una minaccia. Prevenire i comportamenti aggressivi non è sempre possibile, in ogni caso è importante scoprire la causa scatenante per impedire che si ripeta e cercare di ridurre al minimo le conseguenze per sé e per gli altri.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “La persona con problemi demenza e disturbi del comportamento”.

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Allettamento

La permanenza prolungata a letto, soprattutto nelle persone anziane, può causare la cosiddetta “sindrome da immobilizzazione”, con importanti conseguenze di ordine psicologico, relazionale, complicazioni cardiovascolari, respiratorie, muscolo-scheletriche, incontinenza urinaria, piaghe da decubito ed infezioni.

Vari sono i motivi che possono portare a tale situazione; è importante ricordare che, quando la persona sta meglio e appena le condizioni cliniche lo consentono, è necessario riprendere gradualmente il movimento.

Per la gestione di situazioni particolari (paresi, emiplegie, fratture, coma, …) è necessario seguire le indicazioni specifiche del medico, dell’infermiere o del fisioterapista di riferimento.

Nel caso di allettamento prolungato possono risultare utili alcuni presidi, tra cui il letto articolato e il materassino antidecubito.

Letto articolato: è un letto con alcuni snodi regolabili manualmente o elettricamente che permettono di alzare lo schienale, modificare la posizione degli arti inferiori, variare l’altezza da terra per le manovre assistenziali. Aumenta il comfort dell’assistito e facilita i cambi di posizione nel letto.           

Materassino antidecubito: consente una distribuzione più uniforme del peso del corpo sulla superficie di appoggio contribuendo a limitare l’insorgenza di lesioni o, se queste sono già presenti, ne favorisce la guarigione. Ne esistono di diversi tipi, quelli maggiormente utilizzati a casa sono formati da tubi paralleli o con celle a nido d’ape a pressione alternata (si gonfiano e si sgonfiano alternativamente, variando le aree di contatto soggette alla pressione del peso corporeo). Per il loro utilizzo necessitano di un compressore elettrico.

Sedia comoda: è una sedia sotto il cui sedile è collocato un vaso estraibile per la raccolta di feci e urine. Normalmente è dotata di piccole ruote che facilitano l’avvicinamento al letto. Non è indicata per uscire dalla casa.

A chi posso rivolgermi

Per ottenere questi ausili è necessario rivolgersi al proprio medico di medicina generale.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “Indicazioni generali”.

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Alzheimer

Amici

Libri, film, canzoni

Un amico è cosi” – canzone di Laura Pausini (1994, album “Laura”)

https://www.youtube.com/watch?v=P6K988yfUPA

Quasi amici”- Film -2011 – Regia: Olivier Nakache ed Eric Toledano

https://www.youtube.com/watch?v=6zsyykcf-o8

Film ispirato alla storia vera di un tetraplegico, del suo aiutante domestico e del rapporto di amicizia che si instaura tra loro. Da un dialogo del film:”…prendersi cura dell’altro con tutto se stesso, comprese le proprie fragilità personali e i propri coni d’ombra non guarirà una persona da una malattia da cui non si può guarire, ma potrà curare la persona, infonderle la speranza, darle una prospettiva di vita vera”

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Amore

Con il termine amore si definiscono diverse manifestazioni della relazione che la persona intrattiene con il proprio contesto sociale, ambientale, familiare… Si spazia dall’amore per una persona -che può assumere le forme dell’amore romantico, della tenerezza, del desiderio sessuale, dell’amicizia, dell’amore incondizionato, filiale, fraterno-  all’amore per qualcosa di astratto o inanimato, quale un oggetto, un’idea, un ideale (ad es. amore per la natura, per la musica, per la patria, per la libertà,.. ).

L’amore può essere diretto anche verso sé stessi, assumendo forme più o meno funzionali ad una positiva relazione tra sé e gli altri: si va dal sano amor proprio -che è la base per la costruzione di una buona autostima- al narcisismo ed egocentrismo, dove la persona è talmente presa da sé e dai propri bisogni da trascurare o addirittura prevaricare gli altri.

Lo psicanalista Erich Fromm ritiene che l’amore sia la modalità più alta e vera a cui l’individuo può tendere per esprimere tutta la propria potenza interiore. In “L’arte di amare” descrive l’amore come un “potere attivo che annulla le pareti che separano l’uomo dai suoi simili”, che gli fa superare il senso di isolamento e separazione e tuttavia gli permette di essere se stesso e di conservare la propria integrità (“strumento che permette di superare l’isolamento a cui l’uomo altrimenti sarebbe costretto per mantenere la propria identità. Isolamento e separatezza sono superati grazie al potere dell’amore che permette all’individuo di essere sé stesso conservando la propria identità nonostante le pareti della separatezza siano annullate”).

In contrasto con l’unione simbiotica, l’amore maturo è unione che preserva la propria individualità: due esseri diventano uno, tuttavia restando due.

Amare è un’arte che si impara al pari di qualsiasi altra arte, quale la musica, la pittura, la danza. È un apprendimento che dura per tuta la vita: elementi essenziali sono la pazienza, l’umiltà ed il sacrificio, la premura, la responsabilità, il rispetto, l’interesse. Centrale è il dare, il donare, per questo non deve essere confuso con l’amore erotico, una modalità di amare il cui fine è utilitaristico e l’altro non è visto come fine bensì come mezzo per soddisfazione il proprio bisogno.

É il senso di responsabilità l’elemento che permette all’amore di non cadere nel desiderio di possesso, ma di decollare verso una relazione autentica in quanto risposta ad un bisogno espresso o inespresso da parte di un altro essere umano.

Richiamandosi  alla concezione dei mistici medioevali secondo cui “è grande e giusto chi, amando se stesso, ama in egual misura il prossimo” Fromm sostiene che l’amore è possibile solo nel momento in cui ciascuno ama se stesso: “L’affermazione della propria vita, felicità, crescita, libertà è determinata dalla propria capacità di amare, cioè nelle cure, nel rispetto, nella responsabilità e nella comprensione. Se un individuo è capace di amare in modo produttivo, ama anche se stesso; se può amare solo gli altri, non può amare completamente”… “Quando noi trascuriamo noi stessi e non riusciamo ad amarci, non siamo in grado di amare gli altri“.

Per Fromm l’amore è un elemento costitutivo dell’essere, una capacità generatrice e produttiva di cui l’uomo non si può privare se vuole essere in armonia (“Quando questo sentimento si realizza nella sua più profonda espressione l’inquietudine dell’uomo si scioglie e il vuoto interiore si placa.  L’uomo si sente in grado di agire e di realizzarsi in armonia con se stesso e con quella realtà nella quale si sviluppa la sua vita. Nel momento in cui noi riusciamo ad amare riusciamo, anche, a rivelare a noi stessi quel mondo ineffabile di sentimenti e pensieri, quella realtà più profonda in cui si esprime il mistero di ogni essere ed anche il significato stesso della sua esistenza“), permette di superare qualsiasi difficoltà, colma ogni vuoto spirituale e genera l’impulso alla vita.

Per la realizzazione dell’autentico sentimento di amore è necessario uscire dal proprio narcisismo ed aprirsi all’altro con un ascolto intenso e reciproco, che si realizza attraverso i valori della disciplina, concentrazione e pazienta (“far penetrare dentro di sé il contenuto spirituale, immedesimarsi nei suoi problemi con una riflessione attenta ed impegnata“).

Cura e interesse implicano un altro aspetto dell’amore: quello della responsabilità. Oggi per responsabilità spesso si intende il dovere, qualche cosa che è imposto dal di fuori. Ma responsabilità, nel vero senso della parola, è un atto strettamente volontario; è la mia risposta al bisogno, espresso o inespresso, di un altro essere umano.  Essere ‘responsabile’ significa essere pronti e capaci di ‘rispondere’. La responsabilità potrebbe facilmente deteriorarsi nel dominio e nel senso di possesso, se non fosse per una terza componente dell’amore: il rispetto. Rispetto non è timore né terrore; esso denota, nel vero senso della parola (respicere=guadare), la capacità di vedere una persona com’è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto significa desiderare che l’altra persona cresca e si sviluppi per quello che è”.

Grazie alla tenerezza, cioè a quel sentimento disinteressato, non dettato da esigenze fisiche o biologiche ma generato dalla natura spirituale dell’uomo, si raggiunge poi l’apice dell’amore.

Amore, malattia e disabilità

Molto spesso la malattia, come altri eventi faticosi della vita, ci fa riscoprire emozioni dimenticate o comunque accantonate per occuparci di altro.  La malattia è sempre una realtà sgradita ed inattesa, che non si vorrebbe mai affrontare né direttamente né indirettamente. Ma se pensiamo che gli ostacoli e le difficoltà fanno parte della vita, questi possono divenire anche uno stimolo a scoprire risorse che non pensavamo di avere e a trovare strategie per affrontare l’ostacolo senza mai perdere di vista sé stessi. Questa nova condizione ci mette in contatto con tante altre realtà e a volte ci aiuta a scoprire o riscoprire una solidarietà amicale, sociale che avevamo perso di vista o che non pensavamo esistesse.

Spesso al di là della voglia di dare un significato agli eventi che ci accadono, il trauma può essere tale da richiedere un aiuto per ridefinirlo ed affrontarlo.

Possiamo dire che le possibili grandi direzioni in cui si affronta la malattia grave di un partner siano due.

Da un lato vi sono comportamenti di avvicinamento alla persona ammalata. In alcuni casi essi derivano dal fatto che la coppia è già molto intima e coesa e in occasione di un trauma incrementa il legame e lo utilizza come una risorsa importante per affrontare la paura e il dolore, trovando nell’intimità e nell’affetto una risorsa potente e creativa anche in momenti molto duri.

In altri casi questo avvicinamento sembra invece dettato più da una posizione di “sacrificio” del partner non ammalato, che sente l’impegno e il dovere affettivo di dedicarsi all’aiuto della persona ammalata, ma con un sentimento di fatica che tende ad aggravarsi se la situazione peggiora in termini di salute o di relazione.

Condivisione o sacrificio? I confini tra queste due posizioni tendono in alcuni casi a sfumare in una zona confusa e foriera di malessere.

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera

(consultazione 28/04/2015)

Con la parola amore si può intendere un’ampia varietà di sentimenti ed atteggiamenti differenti, che possono spaziare da una forma più generale di affetto (“amo mia madre; amo mio figlio”) sino a riferirsi ad un forte sentimento che si esprime in attrazione interpersonale e attaccamento, una dedizione appassionata tra persone oppure, nel suo significato esteso, l’inclinazione profonda nei confronti di qualche cosa.

Può anche essere una virtù umana che rappresenta la gentilezza e la compassione, la vicinanza disinteressata, la fedeltà e la preoccupazione benevola nei confronti di altri esseri viventi, ma anche il desiderare il bene di altre persone.

Gli antichi Greci hanno individuato quattro forme primarie di amore: quello parentale-familiare (storge), l’amicizia (philia), il desiderio erotico ma anche romantico (eros), infine l’amore più prettamente spirituale (agape, il quale può giungere fino all’auto-annientamento o kenosis); gli autori moderni hanno distinto anche altre varietà di amore romantico, mentre le tradizioni non occidentali contengono varianti o simbiosi di questi stati.

Una tal ampiezza di usi e significati, in combinazione con la complessità dei sentimenti che coinvolgono i soggetti che amano, possono rendere particolarmente difficoltoso definire in modo univoco e certo l’amore, rispetto ad altri stati emotivi.

Nell’ambito della psicologia esso consiste in un rapporto duale basato su uno scambio emotivo generato dal bisogno fisiologico della gratificazione sessuale e dal bisogno psicologico dello scambio affettivo. L’amore nelle sue varie forme agisce come un importante facilitatore nella relazione interpersonale e, data la sua importanza psicologica centrale, è uno dei temi più comuni trattati nelle arti creative; può infine essere inteso anche come un modo per tenere uniti gli esseri umani contro le minacce provenienti dall’ambiente esterno e per aiutare la riproduzione umana e la conseguente continuazione della specie.

Il termine può acquisire ulteriori precisazioni o significati negli ambiti filosofico, religioso o nelle arti.”

Libri, film, canzoni


La cura”- canzone di Franco Battiato – 1996 – 
Album “L’imboscata”

https://www.youtube.com/watch?v=cLJp-YJeuzc

La teoria del tutto” – Film – Gran Bretagna – 2014 –  Regia: James Marsh https://www.youtube.com/watch?v=tt_Lcw9LOco

Racconta la storia del più grande e celebrato fisico della nostra epoca, Stephen Hawking, e di Jane Wilde, la studentessa di Arte di cui si è innamorato mentre studiavano insieme a Cambridge negli anni 60. All’età di ventun anni, Stephen, brillante studente di cosmologia, è colpito da una malattia terminale per la quale, secondo le diagnosi dei medici, gli sarebbero rimasti due anni di vita. Stimolato però all’amore della sua compagna arrivò ad essere chiamato il successore di Einstein, oltre a diventare un marito e un padre dei loro tre figli. Durante il loro matrimonio allo stesso modo in cui il corpo di Stephen si indeboliva, dall’altro lato la sua fama accademica saliva alle stelle. Non c’è praticamente traccia della parte professionale di Hawking; infatti il film vuole raccontare l’amore generoso di una donna che sposa un marito giovane e forte e si ritrova con un uomo malato a cui vengono diagnosticati pochi anni di vita. Una lotta quotidiana la loro, ma anche serena e con i figli ad allietarla, che dimostra la forza dell’amore nelle sue diverse sfaccettature.

L’amore che resta” – Film  – USA – 2011 – Regia: Gus Van Sant  https://www.youtube.com/watch?v=ffQM4zDcse0

Racconta dell’incontro tra due adolescenti, Annabel, una bella e dolce malata terminale di cancro che ama intensamente la vita e la natura ed Enoch, un ragazzo che si è isolato dal mondo da quando ha perso i genitori in un incidente. Quando i due si incontrano ad una cerimonia funebre, scoprono di condividere molto nella loro personale esperienza del mondo. Quella che nasce come una bizzarra amicizia si trasforma in un amore forte e fragile al tempo stesso, in un supporto reciproco che non si manifesta attraverso il semplice rispecchiarsi, ma tramite un’integrazione che comprende anche la materializzazione delle proprie paure. Paure che sono quelle della perdita e della solitudine, dell’ignoto e del dolore, del senso inafferrabile del vivere.

Lontano da lei” – Film – Canada – 2006 – Regia: Sarah Polley

Fiona e Grant sono marito e moglie da più di quarant’anni e vivono serenamente da pensionati in una bella casa sul lago. Basta un gesto per incrinare questa tranquilla felicità: un giorno, dopo pranzo, Fiona asciuga una padella e la ripone nel frigorifero.  è il primo segno dell’Alzheimer e ulteriori comportamenti preoccupanti convinceranno Fiona che è meglio entrare in una struttura di assistenza, anche contro il parere del marito che vorrebbe assisterla personalmente. Nel progredire della malattia Grant continua ad interrogarsi e cercare aiuto per sopportare una situazione emotivamente molto pesante e destabilizzante.

Una sconfinata giovinezza” – Italia – 2010 – Regia: Pupi Avati https://www.youtube.com/watch?v=RCTpqNNYGbE

Lino e sua moglie  Chica conducono una vita coniugale serena e senza serie difficoltà.  L’oggi però, in modo totalmente inatteso, presenta loro una grossa preoccupazione: Lino da qualche tempo accusa problemi di memoria che mano a mano si accentuano andando a compromettere in modo sempre più evidente il quotidiano svolgersi delle sue attività sia nell’ambito professionale che familiare. Dapprima sia lui che Chicca decidono di riderci sopra ma il disturbo si manifesta sempre più fino a quando, dopo attenti e approfonditi esami, un neurologo diagnostica una patologia degenerativa delle cellule cerebrali: il morbo di Alzheimer.

La malattia scombussola molto la relazione tra i due con Chicca che, mossa da amorevoli sentimenti, si ritrova tra mille dubbi ed angosce a dover trattare come un figlio piccolo il proprio marito pur di stargli vicino ed evitargli la sofferenza del ricovero.

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Angoscia

L’etimologia di angoscia deriva dal verbo latino angĕre, “stringere”. Il termine indica uno stato emotivo di tono spiacevole, oppressivo, provocato da cause non definite o riconoscibili da parte del soggetto. Rappresenta una paura senza nome e le cui cause e origini sono apparenti, ovvero non dirette o immediatamente individuabili. Per tale motivo questa non è semplicemente minacciosa, ma spesso anche catastrofica per l’individuo che la vive.

Il concetto di angoscia è fondamentale nella teoria psicoanalitica di Freud e nella corrente filosofica dell’esistenzialismo, secondo cui è qualcosa che sta alle radici dell’esistenza stessa dell’uomo.

Paura, ansia, angoscia, panico

La distinzione terminologica fra angoscia e ansia è presente solo nelle lingue di origine latina, l’inglese (anxiety) ed il tedesco (angst) hanno infatti un’unica parola per indicare questo tipo di affetto.

La paura è l’emozione forte ed intensa che sentiamo in presenza di un qualcosa che percepiamo come pericoloso.

L’ansia è una vaga sensazione di malessere, che si traduce in uno stato di apprensione che provoca sintomi fisici quali nodo alla gola o allo stomaco, difficoltà a respirare, palpitazioni, sudorazione eccessiva. É una sensazione che tutti noi abbiamo provato in vari momenti della vita, una normale reazione di adattamento ad un pericolo o a un’importante prova o situazione. Può succedere però che si manifesti in modo incontrollato o eccessivo, divenendo in tal caso una patologia (disturbo d’ansia).

L’angoscia è un gradino ancora più su: è uno stato d’animo sempre di impronta ansiosa ma ancor più invasivo, inquietante e paralizzante, dovuto ad un afflusso di stimoli emotivi – interni o esterni – troppo intensi e ravvicinati nel tempo per poter essere controllati e filtrati dalle difese psichiche della persona. Se l’ansia è il segnale che qualcosa non va, l’angoscia segnala che le difese sono cadute e la persona è stata sommersa da emozioni negative che non è in grado di gestire. Non si ha la sensazione che stia per accadere qualcosa di brutto e incontrollabile – come nel panico – ma che stia già accadendo. L’angoscia perciò è al crocevia tra tre stati emotivi: è oltre l’ansia, è prima del panico e, se dura troppo, è alla base della depressione.

L’angoscia nell’esistenzialismo

Il concetto di angoscia si trova all’origine della cosiddetta filosofia dell’esistenza, elaborata nell’Ottocento da S. Kierkegaard e, successivamente, nel Novecento, da M. Heidegger. Per entrambe questi autori l’esperienza dell’angoscia è essenziale alla costituzione del singolo e dell’esistenza autentica, perché essa sola dischiude l’ambito della libertà. Nell’esistenzialismo l’angoscia è lo stato di smarrimento che l’uomo prova quando si rende conto che la sua esistenza è una mera possibilità, che egli può volgere verso il bene o verso il male. è lo stato che emerge quando l’uomo si pone davanti ad una scelta: la libertà sconfinata di scelte che l’uomo può operare, lo getta in preda all’angoscia, conscio delle responsabilità derivanti dal fatto che una scelta positiva significhi potenzialmente milioni di scelte negative. L’angoscia è definitiva quindi come il sentimento della possibilità. A differenza dell’animale, che è guidato da istinti in grado di soddisfare le prime necessità, ogni uomo è abbandonato a se stesso e costretto a operare delle scelte che possono prospettarsi errate, pericolose o addirittura lesive per la sua stessa esistenza; quindi, dal momento che ciascuno condivide la stessa condizione di fronte all’atto di scegliere, l’angoscia è necessariamente un fondamento dell’essenza umana.

Nel possibile, tutto è possibile ed essendo l’esistenza umana aperta al futuro, l’angoscia è strettamente connessa all’avvenire, che è poi quell’orizzonte temporale in cui l’esistenza si realizza:

L’angoscia esistenziale

L’angoscia esistenziale appare tipicamente in certi momenti della vita, nei quali tante problematiche irrisolte vengono a galla tutte insieme (amore, lavoro, eventi traumatici,…).

Anche se può essere forte la tentazione di volersi rapidamente liberare da questo stato di malessere attraverso il ricorso agli psicofarmaci, il presentarsi dell’angoscia segnala che è il momento di affrontare i problemi in maniera diversa, di guardarsi dentro ed in profondità, per capire le cause profonde del malessere. Anche il colloquio con uno psicologo potrà essere utile per iniziare a fare chiarezza ed eventualmente intraprendere un percorso di psicoterapia.

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Ansia

Il termine ansia deriva dal latino angĕre (stringere) ed è una complessa combinazione di sensazioni negative che includono paura, apprensione e preoccupazione, spesso accompagnate da sensazioni fisiche come palpitazioni, dolori al petto e/o respiro corto, nausea, tremore interno.

Si distingue dalla paura vera e propria per il fatto di essere aspecifica, vaga o derivata da un conflitto interiore.

Questa sensazione, per quanto sgradevole, è di comune riscontro in vari momenti e situazioni della vita umana.

Lo stress a cui siamo sottoposti ogni giorno fa sì che sempre più persone ne lamentano la presenza, a volte incessante, a volte plausibile in certe situazioni.

L’ansia di per sé non è un fenomeno anormale. Si tratta di un’emozione di base, che comporta uno stato di allerta  dell’organismo che si attiva quando una situazione viene percepita come pericolosa.

È importante stabilire i confini tra ansia normale (fisiologica) e patologica.

Ansia fisiologica e patologica

L’ansia normale (o fisiologica o d’allarme) è uno stato di tensione psicologica e fisica che determina un’attivazione generalizzata di tutte le risorse dell’individuo, consentendo così l’attuazione di iniziative e comportamenti utili all’adattamento. Essa è diretta contro uno stimolo realmente esistente, spesso ben conosciuto, rappresentato da condizioni difficili ed inusuali.

La funzione dell’ansia è quella di ridurre le situazioni di pericolo: a livello subcosciente il nostro organismo tenta di tenerci alla larga da una situazione che reputa pericolosa per noi stessi creando una sensazione di forte disagio. In tale senso l’ansia costituisce una importante risorsa, perché è una condizione fisiologica efficace per proteggerci dai rischi.

Quando l’attivazione del sistema di ansia è eccessivo, ingiustificato o sproporzionato rispetto alle situazioni, siamo di fronte ad un disturbo d’ansia, che può complicare notevolmente la vita di una persona e renderla incapace di affrontare anche le più comuni situazioni. La persona con ansia patologica vive sensazioni negative non giustificate dalle reali circostanze, quali uno stato di tensione ed incertezza rispetto al futuro e manifesta comportamenti di difesa che ne limitano l’esistenza, ad esempio l’evitare situazioni ritenute potenzialmente pericolose (es. spazi aperti, spazi chiusi, animali,..) o effettuare gesti rituali per portare sotto controllo la situazione (es. controllare numerosissime volte di avere chiuso il gas, la porta,…).

I sintomi dell’ansia

L’ansia sembra avere varie componenti di cui una cognitiva (pensieri), una somatica (corpo), una emotiva (sensazioni) ed una comportamentale(azioni):

  • la componente cognitiva comporta aspettative di un pericolo diffuso ed incerto che determina inquietudine e ipervigilanza
  • dal punto di vista somatico o fisiologico il corpo si prepara ad affrontare la minaccia con una reazione d’emergenza: aumentano la pressione del sangue e la frequenza cardiaca, la sudorazione, il flusso sanguigno verso i più importanti gruppi muscolari, mentre diminuiscono le funzioni del sistema immunitario e digestivo. Ciò determina pallore della pelle, sudore, tremore, dilatazione pupillare, difficoltà a respirare, senso di oppressione toracica, senso di testa leggera, vertigini, sensazione di instabilità, mancanza di equilibrio, svenimento imminente, formicolio a parti del corpo, vampate di calore o di freddo, difficoltà a deglutire, sensazione di “nodo in gola”, bocca secca, battito cardiaco accelerato o non regolare, senso di debolezza e stanchezza (specialmente agli arti inferiori), minzione (urinare) frequente, diarrea, tensione muscolare
  • dal punto di vista emotivo l’ansia causa un senso di apprensione, paura, terrore o addirittura panico
  • dal punto di vista comportamentale si possono presentare sia comportamenti volontari che involontari, diretti alla fuga o all’evitare la fonte dell’ansia.

Tali fenomeni dipendono dal fatto che, ipotizzando di trovarsi in una situazione di reale pericolo, l’organismo in ansia ha bisogno di massima attenzione ed energia muscolare per poter scappare o attaccare in modo più efficace possibile, scongiurando il pericolo e garantendosi la sopravvivenza.

Come curare i disturbi d’ansia

Esistono due possibili approcci terapeutici per la cura dell’ansia: la cura farmacologica (farmaci ansiolitici meglio conosciuti come tranquillanti ) e la consulenza psicologica; nella maggior parte dei pazienti affetti da ansia severa (che ostacola le semplici attività sociali-lavorative del soggetto) si consiglia la combinazione di entrambi i trattamenti, al fine di restringere i tempi di guarigione. Bisogna sottolineare che, a differenza della cura farmacologica, la terapia psicologica esercita un effetto positivo solo se il paziente collabora attivamente.

I farmaci ansiolitici sono piuttosto potenti e rapidi nell’alleviare i sintomi ma non risolvono la causa del malessere sottostante e possono comportare molti effetti collaterali anche piuttosto gravi, quali la dipendenza fisica e psicologica. Si raccomanda, pertanto, di non eccedere con le dosi e di rispettare le modalità di somministrazione prescritte dal medico, affiancando anche un percorso che possa risolvere il problema alla sua radice (imparare a gestire in modo adeguato le situazioni che creano ansia).

A chi posso rivolgermi

Per avere consigli ed indicazioni rivolgiti al tuo medico di medicina generale che ti aiuterà a valutare ed affrontare il problema nella maniera più opportuna.

La storia di Claudio

“L’ansia per me è questo: una risposta irrazionale ad un problema che, purtroppo, è fin troppo razionale. Corrode le poche certezze, fa precipitare la fiducia in se stessi ed in quello che si sta facendo, mai e poi mai riesce ad essere d’aiuto nella soluzione dei problemi. È subdola, non è per nulla un animale prevalentemente notturno ma sfrutta ogni nostro momento di debolezza, si veste di buone intenzioni quali il benessere della persona cara o la nostra capacità di affrontare e gestire le difficoltà.

L’unico antidoto che sono riuscito a trovare è un sano e robusto aggancio alla razionalità: cerco di rispondere nel modo più semplice ad alcune domande di base “Ci sono difficoltà respiratorie? Mangia? Si scarica? Difficoltà cardiocircolatorie? Problemi renali?”. Se la risposta a queste domande è soddisfacente significa che non è ragionevolmente in pericolo la vita della persona cara e che quindi gli altri problemi possono essere gestiti con calma e senza affanno. Se vi fossero invece problemi con queste domande di base ciò che noi possiamo fare è relativo ed è il medico che ci deve dare istruzioni.

Un’altra delle paure che a volte fa capolino è il dubitare della nostra capacità di affrontare le difficoltà presenti e future: “E se dovesse capitarmi qualcosa, cosa succederà?” Anche in questo caso un po’ di realismo non guasta: se noi fossimo impossibilitati ad assistere, altri prenderebbero il nostro posto, magari anche meglio di noi! Inoltre, se cerchiamo di contenere il cerchio temporale del nostro orizzonte, possiamo concentrarci meglio sui problemi e le difficoltà dell’oggi, lasciando al domani la soluzione ai problemi di domani. Poi, se siamo riusciti a creare una rete di familiari, amici, personale sanitario ed assistenziale, possiamo con semplicità chiedere aiuto pratico e psicologico a chi ci sta vicino.

Per quanto buia possa essere la notte – madre di tutte le ansie – ogni mattina il sole sorge ed una nuova giornata inizia con la pulizia, la colazione, il pranzo,…..”

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Assistente sociale

Assistenza

La parola assistere deriva dal latino “adsistere” che significa essere presente ad un atto senza prendervi parte, per vedere, udire, far da testimone; anche stare vicino a qualcuno per aiutarlo, soccorrerlo.

Assistere e prendersi cura sono attività centrali di molte professioni sanitarie e sociali ed anche del lavoro del caregiver.

L’assistenza non si esaurisce con l’impiego di specifiche tecniche assistenziali (alimentare, gestire la respirazione, l’eliminazione, l’igiene, il movimento, …), ma rappresenta un modo di stare nella relazione e nel contesto in cui ci si trova.

Supportati dai servizi e dagli operatori, è possibile assistere in modo appropriato il proprio caro presso la sua abitazione e presso i contesti di vita abituali.

Tecniche assistenziali

Quando una persona perde in parte o completamente la propria autonomia o subentrano malattie che richiedono specifici interventi nelle 24 ore, si rende necessario garantire un supporto per soddisfare i diversi bisogni.

Conoscere i principi e le modalità di gestione delle diverse tecniche assistenziali diventa quindi indispensabile.

Qualunque sia la tecnica e la situazione da affrontare, alcuni principi vanno sempre tenuti in considerazione:

  • rispetto della persona assistita che, indipendentemente dal grado di disabilità e di non autosufficienza, mantiene la dignità in quanto tale. Anche mantenere le abitudini di vita della persona, quando possibile, garantisce questo principio
  • informazione sulle tecniche e le procedure che si stanno per compiere
  • ricerca della collaborazione della persona assistita nel rispetto delle capacità che ancora riesce ad esprimere
  • preparazione dell’ambiente in modo da garantire la sicurezza (per esempio prevenire le cadute dal letto utilizzando le spondine o chiedendo la collaborazione di altre persone nel caso in cui si renda necessario, …), il comfort (temperatura ambientale, evitare correnti d’aria, …), la privacy, la preparazione di tutto il materiale necessario

Altrettanto importante, anche se a volte sottovalutato, è il lavaggio delle mani (vedi il manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia:  Istruzioni per l’uso” – Capitolo “Indicazioni generali“). È la regola più efficace per salvaguardare la propria salute e quella degli altri, racchiusa in un semplice gesto.

Per affrontare le diverse problematiche assistenziali e di cura, nel manuale potete trovare indicazioni riferite a

La favola di Igino

(Igino, Favole, 220 a. C.)

“La Cura, mentre stava attraversando un fiume, scorse del fango cretoso: pensierosa, ne raccolse un po’ e incominciò a dargli forma. Mentre era intenta a stabilire che cosa avesse fatto, intervenne Giove. La Cura lo pregò di infondere lo spirito a ciò che essa aveva fatto, Giove acconsentì volentieri. Ma quando la Cura pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, glielo proibì e volle che fosse imposto il proprio. Mentre la Cura e Giove disputavano sul nome, intervenne la Terra, reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il proprio nome, perché aveva dato ad esso una parte del proprio corpo. I disputanti elessero Saturno a giudice, il quale comunicò ai contendenti la seguente, giusta decisione: “Tu Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito; tu Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a quest’essere, fin che esso vive, lo possieda la Cura. Per quanto concerne la controversia sul nome, si chiami homo poiché è fatto di humus”.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “Indicazioni generali”.

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Assistenza Domiciliare Integrata (ADI)

Ausili e presidi

L’ASL garantisce ad alcune categorie di cittadini, affetti da particolari patologie che causano disabilità, la fornitura di:

  • ausili protesici personalizzati quali: protesi d’arto, protesi acustica, protesi oculare, protesi mammaria, busto ortopedico, calzature ortopediche, plantari, carrozzina, sistemi di postura, ausili per la comunicazione, ausili per la vista, ecc…);
  • ausili per l’assistenza e gestione a domicilio quali: letto ortopedico, materasso antidecubito, sollevatore, carrozzina di serie, sedia per WC e doccia, rialzo per WC.

Posso richiederlo?

Sono “aventi diritto” (in connessione a loro menomazioni e disabilità invalidanti):

  • invalidi civili (se il riconoscimento dell’invalidità è inferiore al 100%, la patologia correlata dovrà essere riportata sul verbale), di guerra, per servizio, ciechi e sordomuti;
  • minori di anni 18 che necessitano di interventi di prevenzione, di cura o di riabilitazione per invalidità permanente;
  • coloro che hanno presentato domanda di invalidità, sono stati sottoposti a visita della Commissione ASL e sono in attesa di ricevere il verbale con riconoscimento dell’invalidità;
  • amputati di arto, donne che hanno subito un intervento di mastectomia o con malformazione congenita che comporti l’assenza di una o di entrambe le mammelle o della sola ghiandola mammaria, soggetti che hanno subito un intervento demolitore sull’occhio, laringo-tracheostomizzati con presentazione di idonea certificazione medica;
  • i ricoverati in struttura sanitaria accreditata, pubblica o privata, per i quali il medico specialista certifichi la contestuale necessità ed urgenza dell’applicazione di una protesi, di una ortesi o di un ausilio prima della dimissione;
  • soggetti in assistenza domiciliare affetti da grave patologia che obbliga all’allettamento e malati terminali.

A chi posso rivolgermi

Nel caso di ausili protesici personalizzati

L’assistito, munito di impegnativa rilasciata dal medico di famiglia, deve effettuare una visita specialistica presso un medico prescrittore di struttura pubblica o privata accreditata scelto tra quelli inseriti nell’Albo dei Prescrittori dell’ASL.

Lo specialista redige, su Modello O3, la prescrizione (in Lombardia con modalità “on-line”) e ne consegna copia all’assistito che può scegliere di rivolgersi a Ditta con sede:

  • nel territorio di competenza della propria ASL, presso i “Fornitori Protesica” iscritti nell’Elenco Regionale;
  • nella propria Regione;
  • al di fuori della propria Regione. In quest’ultimo caso è necessario:
    • presentare alla Ditta il Modello O3 chiedendo il preventivo di spesa (che può essere redatto sul modello stesso o separatamente)
    • consegnare tutta la documentazione al proprio Distretto di residenza affinché rilasci l’autorizzazione alla fornitura
    • riconsegnare alla Ditta la documentazione autorizzata dal Distretto per ottenere l’erogazione dei presidi.

Dopo che la Ditta ha erogato gli ausili prescritti, entro i tempi previsti dalla normativa vigente (massimo 90 giorni per i presidi più complessi), l’assistito si rivolge allo specialista prescrittore, che effettua, possibilmente entro 20 giorni dalla consegna e previo appuntamento, il collaudo.

Nel caso di ausili per l’assistenza e gestione a domicilio

L’interessato, o un familiare, deve rivolgersi al medico di famiglia (o anche al medico specialista prescrittore), che effettua la prescrizione degli ausili necessari (letto ortopedico, materasso, sollevatore, carrozzina di serie, sedia per WC e doccia, rialzo per WC) per pazienti in assistenza domiciliare o malati terminali.

L’Ufficio Protesica del Distretto di residenza rileva direttamente la prescrizione informatica e si attiva per la fornitura del presidio.

La fornitura del presidio protesico è garantita direttamente dall’ASL e consegnata al domicilio entro 10 giorni dalla richiesta. Tutti i presidi non personalizzati sono di proprietà dell’ASL di Brescia, vengono forniti in comodato d’uso gratuito, non devono essere modificati e vanno restituiti all’ASL a fine utilizzo (es: ingresso in struttura residenziale, decesso o trasferimento in altra ASL).

Quanto costa

Non è previsto alcun costo per l’assistito.

Per avere maggiori informazioni

Per affrontare le diverse problematiche assistenziali e di cura, nel manuale potete trovare indicazioni riferite a:

…quanta burocrazia?

L”iter per giungere alla fornitura di protesi può apparire inutilmente appesantito da pastoie burocratiche: tuttavia, dobbiamo essere tutti ben convinti che il sistema di assistenza protesica può funzionare solo a condizione che vengano forniti unicamente ausili e protesi effettivamente necessari a ciascun singolo caso, in relazione alle sue specifiche compromissioni funzionali: la prescrizione preliminare, il percorso autorizzativo, i controlli sono strumenti basilari per consentire la “tenuta del sistema” che, diversamente, si troverebbe a dover far fronte a costi insostenibili. É ben evidente che ogni protesi ed ogni ausilio consegnato ad un assistito deve essere pagato dal servizio sanitario!

Accettiamo quindi la fatica di dover sostenere un percorso autorizzativo apparentemente appesantito, sapendo che ciò consente di far funzionare il sistema evitando di disperdere inutilmente risorse, di dare servizi a chi non ne ha bisogno o, peggio, di consentire favoritismi.

Burocrazia: la storia della parola

Il termine burocrazia, parola moderna di origine mista francese (bureau – “ufficio”) e greca (krátos – “potere”) sta ad indicare l’insieme di apparati e persone alle quali è affidata, a diversi livelli, l’amministrazione di uno Stato – o anche di enti non statali – secondo criteri di razionalità, imparzialità, impersonalità.

Il termine fu coniato nel 1759 dall’economista francese Vincent de Gournay per stigmatizzare la potenza crescente dei funzionari pubblici nella vita politica e sociale, che configurava una vera e propria forma di “governo dei funzionari”, fra l’altro del tutto inefficiente sul piano dell’amministrazione dello Stato.

Nei primi decenni del Novecento il concetto fu definito in maniera sistematica da M. Weber nella sua opera “Economia e società”, il quale considerò la struttura burocratica come espressione ed effetto dei processi di razionalizzazione e specializzazione delle comunità moderne.

Weber parlò di processo irreversibile di burocratizzazione universale, che tendeva a imprigionare gli uomini in una rete di regole minuziose e a sottometterli alla potenza anonima, irresponsabile e ogni giorno più necessaria degli apparati burocratici. Ciò costituiva, a suo giudizio, un enorme pericolo per il futuro della libertà e della democrazia nel mondo contemporaneo.

Sebbene il termine burocrazia sia stato coniato in un’epoca moderna, dal punto di vista storico l’introduzione sistematica di un sistema amministrativo suddiviso in numerosi uffici e basato su procedure in qualche modo unificate risale all’Antica Roma, più precisamente all’imperatore Claudio, che nel I secolo d.C. introdusse una vera rivoluzione concettuale rispetto al tradizionale accentramento del potere politico nelle mani del Senato, interponendo un corpus di funzionari – seppure inizialmente legati in modo strettissimo al potere imperiale – come intermediario tra il potere e la società romana.

Nel Novecento il processo di burocratizzazione ha conosciuto una straordinaria espansione anche nei paesi capitalistici, per effetto innanzitutto delle politiche di welfare, che implicano un crescente intervento dello Stato nella vita quotidiana dei cittadini.

A fronte di ciò sono in atto processi di “deburocratizzazione” delle amministrazioni pubbliche e private, che rispondono alle esigenze di una società in continua trasformazione, che rende rapidamente obsolete le competenze e le specializzazioni della burocrazia e si mostra sempre più insofferente ai vincoli posti dalle sue regole e dalle sue procedure.

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Badante

Badante è il termine usato nel linguaggio comune per definire chi, all’interno dell’ambiente domestico pur non essendo familiare, si occupa della cura e assistenza della persona non autosufficiente.

La badante ha essenzialmente funzioni assistenziali non sanitarie (igiene della persona, sorveglianza, preparazione dei pasti,..). È tenuta anche alla cura dell’ambiente domestico, per rendere la casa vivibile ed accogliente per l’assistito.

A chi posso rivolgermi

I comuni hanno attivato degli sportelli badanti/assistenti familiari per aiutare gli anziani e le loro famiglie ad individuare le persone più adeguate alle loro esigenze.

I comuni mettono a disposizione gli elenchi: sarà poi compito dell’anziano o della famiglia prendere contatto e stipulare un contratto di lavoro (con oneri a proprio carico) con la persona.

I Centri di Assistenza Fiscale (CAF) posso essere di aiuto per l’assunzione della badante, per la regolarizzazione del contratto, per gli obblighi e le comunicazioni da trasmettere all’INPS.

… e la legge cosa dice?

Dal 01/07/2013 è in vigore il nuovo contratto nazionale di lavoro per gli assistenti familiari, che disciplina il rapporto di lavoro domestico per il triennio 2013-2016.

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Bambino malato

La malattia di un figlio è un evento estremamente doloroso: qualunque sia la gravità e la complessità della patologia in atto, per un genitore è sempre drammatico vedere che il proprio bambino deve confrontarsi sin da piccolo con la fragilità dell’essere umano.

La malattia ed il dolore assumono tante forme, tante sfaccettature, diversi livelli di complessità e di compromissione, diverse prospettive, quante sono le persone che li vivono. Ciascuno li vive e li affronta a suo modo, tenendo conto di quello che può.

Quello che può provare un genitore quando il proprio figlio si ammala attraversa senza sosta il mare delle emozioni in tutte le sue sfumature e profondità: il senso di colpa per aver trasmesso o non esser riuscito a preservare il figlio dalla malattia,  l’impotenza rispetto alla cura ed evoluzione della patologia, la tenerezza per un figlio cresciuto ora tornato piccolo, la rabbia per una vita diversa da quella sognata, la speranza, la sorpresa di fronte a risorse inaspettate ed inimmaginabili, la difficoltà di far fronte alle ansie ed alle preoccupazioni proprie, del proprio figlio, del proprio coniuge, degli altri membri della famiglia.

É molto comune sentir dire dai genitori di bambini malati la frase “Non so che cosa darei per essere io al suo posto… farei di tutto per essere io ammalato e non lui”. Ma il posto purtroppo è il suo ed è il bambino stesso che deve trovare il modo di poterci stare, il proprio modo di vivere il suo essere ammalato. Ed è l’adulto di riferimento che può aiutare il bambino a fare i conti con la propria malattia e con tutto ciò che poi si traduce nel quotidiano

Stare vicino al proprio bambino che si è ammalato significa aiutarlo a convivere con la propria condizione per trovare il modo di continuare a vivere e crescere, nonostante la malattia che amaramente e tragicamente è la sua.

Rispondere alle sue domande

Il torto più grave che si può fare ad un bambino è quello di chiudersi e di sfuggire alle numerose domande che si pone, a modo suo e con i suoi strumenti, quando sente magari per la prima volta che qualcosa di incomprensibile e spaventoso è entrato nella sua vita. E’ necessario accompagnare il bambino all’incontro con ciò che sta accadendo, non lo si può lasciare solo.

Spesso gli adulti dicono “E’ troppo piccolo per capire”, ma questa è una bugia che serve per sfuggire ad un compito per l’adulto difficile e duro, perché spesso è proprio l’adulto ad essere troppo spaventato per poterne parlare.

Negare e non aprirsi alla possibilità che il proprio figlio si interroghi, faccia domande e comprenda la sua malattia ed il suo percorso di cura non lo salvaguarderà e non lo proteggerà, ma risuonerà da una parte come un divieto alla ricerca ed alla curiosità -meccanismo che potrebbe poi estendersi anche ad altri campi- dall’altra come il presagio che la situazione sia talmente compromessa che non ci si può nemmeno pronunciare e questo rimanderebbe all’idea di un adulto spaventato, senza mezzi e, dunque, poco adatto a soccorrerlo.

É importante non ricorrere mai alla negazione della realtà ma permettere al bambino di apprenderla con i propri mezzi ed i propri tempi. Ciò non significa rovesciare sul paziente, grande o piccolo che sia, il suo quadro clinico -cosa che rischierebbe poi di non sostenere emotivamente- significa mettersi a disposizione del bisogno di comprendere ciò che sta accadendo, rendersi disponibili a rispondere alle sue domande, offrendo uno spazio in cui possa esprimere le sue paure e preoccupazioni.

In linea generale -e soprattutto per i bambini- avere chiarezza rispetto al proprio percorso di cura fa abbassare i livelli di ansia (poiché si ha la sensazione di avere un maggior controllo sugli eventi) e facilita la capacità di farsi carico in prima persona di ciò che si sa dover affrontare.

Ciò significa aiutare il piccolo paziente ad avvicinarsi ad una comprensione e rappresentazione del suo percorso di cura adeguata alle sue capacità cognitive e che tenga conto del suo bisogno di capire e di sapere, o del suo bisogno di restare al riparo da informazioni “non digeribili” in quel momento.

Questa disponibilità, che presuppone di partire dal bambino e non dalle nostre angosce o convinzioni, prevede anche che l’adulto sappia accettare di stare a fianco del bambino pur non avendo risposte pronte. Ci sono domande a cui non si può rispondere e che portano con sé  tutto il dolore, la stanchezza, la rabbia, la paura, il senso di profonda ingiustizia di fronte a cui, come adulti, è importante riuscire a stare e resistere.

Accompagnare

È di vitale importanza che i bambini siano accompagnati nelle loro esperienze più dolorose: se al dolore si aggiungono anche la solitudine ed il vuoto, la sofferenza rischia di diventare intollerabile.

Gli adulti devono sapere che i tempi interni dei bambini sono diversi dai loro. Capita spesso, invece, che interpretino le apparenti distrazioni del bambino come indifferenza. I bambini soffrono, soffrono moltissimo, però dopo pochi minuti tornano a giocare, a ridere, a pensare ad altro. Questa modalità di vivere il dolore e la preoccupazione non corrisponde a quella dell’adulto, che per questo talvolta fatica a cogliere la peculiare sensibilità del bambino e così non riesce a capirlo.

Ma quando il bambino è lasciato solo nella sua disperazione e non è aiutato a sperimentare e tollerare la sofferenza, il dolore diviene un’esperienza invivibile e può accadere allora che la vita emotiva venga compressa e talvolta annullata.

Per un bambino è molto rassicurante avere accanto un adulto che navighi con lui, a maggior ragione quando si trova nell’incertezza e nella fatica. L’importante è che il dolore non resti muto, come può avvenire quando i bambini avvertono il divieto non pronunciato di fare domande e se temono di procurare altro dolore ad un genitore già profondamente segnato e provato da ciò che sta succedendo.

Di fronte al dramma di un bambino che vive una malattia è giusto che gli adulti abbiano rispetto e comprensione, e che, mossi dall’inevitabile bisogno di eliminare la sua sofferenza, non cedano alla tentazione di sostituirsi a lui tentando di fornire le proprie soluzioni o soluzioni preconfezionate.

Sostenere e stare accanto al proprio figlio che soffre implica per il genitore il dover farei i conti con la propria fatica, il proprio dolore, la propria rabbia ed i sensi di colpa, il peso di domande e desideri inconfessabili. Tener conto anche dei propri vissuti e dei propri limiti permetterà al genitore non solo di alleviare il dolore e la sofferenza, ma di sostenere tutta la vita che c’è in sé stessi e nel proprio bambino.

Prendersi cura di un bambino è un atto naturale

Quando il bambino è sano i genitori istintivamente soddisfano i suoi bisogni primari (sicurezza, igiene, alimentazione, …) e lo sostengono nel percorso di crescita che lo porterà gradualmente a diventare indipendente. Il tutto nell’ambito di una intensa relazione affettiva che avvolge ogni gesto e ogni intenzione.

Quando nasce un bambino malato o la malattia subentra durante l’infanzia, può cambiare il senso del prendersi cura perché ci si trova a confrontarsi con una realtà che non corrisponde alle naturali aspettative. In questi casi la cura mantiene sempre la finalità di accompagnare il percorso di vita ma in uno scenario diverso, perché condizionato dalla  prognosi e dalle possibili conseguenze sull’autonomia.

A differenza di ciò che comunemente si pensa, in queste situazioni i genitori sono gli esperti, perché conoscono il bambino e sanno leggere e interpretare il linguaggio (non solo verbale) del figlio e rispondere con i gesti di cura più adeguati ai suoi bisogni.

Questa competenza si matura nel tempo, anche grazie al supporto di operatori che affiancano la famiglia trasferendo competenze tecniche specifiche per la situazione o che la supportano nell’affrontare le problematiche emotive e relazionali che spesso caratterizzano queste esperienze di vita.

A chi posso rivolgermi

Per attivare un supporto psicologico in favore del piccolo paziente o dei suoi genitori:

  • se il bambino è in carico presso una struttura ospedaliera, chiedere all’equipe medico-curante se il reparto è attivo un servizio di psicologia e, nell’eventualità, chiedere di accedervi
  • chiedere un consiglio al pediatra di famiglia, che potrà indirizzare verso i servizi territoriali di competenza.

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Bastone

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Benessere

L’OMS definisce la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia o infermità”.

Per raggiungere tale stato di completo benessere è essenziale :

  • soddisfare i propri bisogni
  • conoscere e realizzare le proprie aspirazioni
  • poter agire sull’ambiente circostante.

Il benessere è un diritto per ogni persona in ogni fase della sua vita.

Anche i caregiver hanno il diritto di mantenersi sani mentalmente e fisicamente, di avere una vita sociale e conciliare l’impegno di cura con quello familiare e lavorativo.

Il benessere del caregiver è fondamentale anche per il benessere della persona ammalata.

Al caregiver deve essere data la possibilità di ritagliarsi del tempo da dedicare a se stesso, mantenere delle relazioni sociali e, se necessario, chiedere aiuto a sua volta.

Fattori di rischio per il benessere psico-fisico del caregiver sono:

  • avere poche relazioni sociali
  • la scarsa conoscenza della malattia
  • la scarsa capacità di gestire le situazioni critiche
  • i sensi di colpa
  • la tensione e l’affaticamento nella relazione con l’assistito.

Consigli pratici

Mantenere alto il proprio umore e cercare di preservare la propria salute fisica è indispensabile per continuare a essere il miglior aiuto per il proprio assistito.

Ecco qualche piccolo consiglio utile.

  • Informati su: malattia, cure, diritti del malato e tuoi, mezzi di trasporto adatti, permessi lavorativi, possibilità di part-time,… Chiedi ai medici, alle associazioni di pazienti e familiari che ci sono già passati: più informazioni hai, più facile sarà capire se stai facendo la cosa migliore per te e il tuo caro
  • Non trascurare sonno e alimentazione: dormire e mangiare in modo corretto sono requisiti indispensabili per mantenersi sani e attivi
  • Fai esercizio: fare attività fisica, soprattutto se all’aria aperta e a contatto con altre persone, non giova solo al corpo ma ti aiuterà a mantenere alto l’umore
  • Prenditi un tuo spazio: conservare un po’ di tempo da dedicare a se stessi facendo qualcosa di gratificante non è un atto di egoismo ma una necessità per la mente e per il corpo. Ne trarrà giovamento anche chi ti sta intorno.
  • Chiedi aiuto: non esitare a cercare qualcuno che ti possa sostituire almeno per qualche ora, dai fiducia anche a chi ti sta intorno e lascia che facciano qualcosa per te. E se proprio non trovi nessuno, chiedi alle associazioni di volontari o alle istituzioni della tua zona per un’assistenza qualificata.
  • Parla con qualcuno: sfogarsi un po’, tirare fuori le proprie emozioni, positive o negative che siano – soprattutto con qualcuno che ti può capire perché magari ci è già passato – può aiutarti a ritrovare un po’ di serenità. I Gruppi di auto-aiuto organizzati dalle varie associazioni non sono rivolti solo ai pazienti che vivono in prima persona la malattia ma anche ai loro familiari.
  • Curati quando stai male: se pensi di avere un problema di salute fisica o psichica non esitare a rivolgerti ad un medico e se già soffri di una malattia non trascurare le tue terapie.

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Cancro

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Caregiver familiare e professionale

Caregiver è un termine inglese che indica “colui o colei che si prende cura di”. I caregiver posso essere familiari, amici o persone con ruoli diversi che si assumono la responsabilità di assistere, prendersi cura e favorire l’elaborazione del percorso, spesso traumatico, della malattia.

Per il malato, poter continuare a sentirsi parte integrante del nucleo familiare, mantenere una comunicazione sincera che non sfoci nel pietismo, rappresenta il punto di partenza per affrontare le difficoltà.

D’altra parte il caregiving, ossia il prestare cure, è un’attività lodevole ma spesso inevitabile, difficile e destabilizzante per colui che si trova in questo ruolo (caregiver).

La lingua italiana non prevede una traduzione di questo termine. Tale assenza linguistica rischia di far passare in secondo piano molti caregiver che si prendono cura di familiari malati e per il cui servizio non hanno riconoscimento, assistenza o sostegno specifico.

Da familiare a caregiver familiare…

I problemi di salute che comportano disabilità o dipendenza cambiano le relazioni familiari e sociali della persona che deve essere assistita. E così un fratello, sorella, marito, moglie, figlio si trovano ad essere caregiver, ovvero la persona principalmente responsabile del soddisfacimento dei bisogni fisici, psicologici e sociali del loro familiare. La persona da assistere ora dipende da loro per i suoi basilari bisogni fisici.

Le mansioni che il caregiver deve svolgere sono molteplici e dipendono dalla specificità dell’assistito :

  • provvedere alla cura personale (fare il bagno e la toilette, vestire, fare e dare da mangiare)
  • svolgere mansioni fuori casa (fare la spesa, accompagnare l’assistito alle visite)
  • badare alla casa (pulire, cucinare)
  • aiutare la persona a riguadagnare autosufficienza (insegnargli e stimolarlo a fare gli idonei esercizi)
  • fornire supporto emotivo, incoraggiare la persona a fare il più possibile il più a lungo possibile per prevenire l’atrofia della mente e del corpo.

Per essere caregiver occorre non solo l’affetto legato alla parentela ma anche un bagaglio culturale, una buona solidità emotiva ed il sostegno esterno per affrontare impegni gravosi e le tensioni emotive connesse al compito assistenziale.

Indipendentemente dal fatto che la disabilità sia dovuta alla progressione di una malattia cronica o legata ad un evento acuto, diventare caregiver è un grosso cambiamento per entrambe le persone. Tale cambiamento è spesso stressante: bisogna abbandonare modi ed abitudini di vita consolidate per adottarne di nuove e ciò crea scompiglio emotivo e stress.

Lo stress del caregiver

Essere caregiver significa farsi carico del lavoro e della responsabilità della cura. Una responsabilità che deve trovare conciliazione con l’attività lavorativa, familiare, personale; tutto ciò comporta stress, ansia, depressione, isolamento sociale.

La funzione di caregiver è spesso assunta a fronte di una necessità, di un’emergenza, in assenza di una conoscenza di ciò che questo significa. Si assume la responsabilità senza conoscerne la declinazione e le difficoltà che comporta nel breve e nel lungo termine, senza conoscere bene la patologia e la sua evoluzione e ciò che questo comporta nel concreto della gestione quotidiana.

Fare il caregiver comporta un mix di emozioni: l’amore per il familiare e la soddisfazione che deriva dall’aiutare coesistono con i sentimenti di risentimento per la perdita della propria vita privata e la frustrazione di sentirsi non in grado di gestire la situazione ed in balia degli eventi. Queste emozioni conflittuali possono causare senso di colpa, disorientamento e stress.

Ulteriori fonti di stress sono anche:

  • sentirsi colpevoli per la situazione
  • non avere abbastanza tempo per sé stessi e per stare con altri membri della famiglia
  • avere conflitti con la persona assistita e/o con altri membri della famiglia
  • avere preoccupazioni economiche
  • sentirsi incompetenti rispetto alle conoscenze ed abilità richieste nel ruolo di caregiver.

Valuta il tuo livello di stress

Rispondendo a queste domande potrai valutare il tipo e l’intensità dello stress a cui sei sottoposto svolgendo il lavoro di caregiver.

Per ciascuna domanda scegli il numero che meglio descrive come ti senti attualmente.

Il punteggio globale (da 15 a 75) si ottiene sommando tutti i punteggi di valutazione scelti.

Un punteggio superiore a 31 indica la presenza di stress dato dall’assistenza svolta come caregiver.

    Mai, assoluta-mente no Di rado, poco A volte,

un po’

Frequente-mente, molto
  punteggio 1 2 3 4
1 Pensi di non riuscire più a fronteggiare la situazione?
2 Pensi di avere bisogno di aiuto?
3 Ti capita di sentirti depresso per la situazione?
4 La tua salute ne ha in qualche modo sofferto?
5 Ti preoccupi che possano succedere incidenti alla persona che stai assistendo?
6 Pensi che il problema non abbia via d’uscita?
7 Hai difficoltà ad andare via per le vacanze?
8 In che misura è stata modificata la tua vita sociale?
9 In che misura è stata turbata la tua famiglia?
10 Il sonno viene interrotto dalla persona che stai assistendo?
11 Il tuo tenore di vita si è abbassato?
12 Ti senti imbarazzato dalla persona che stai assistendo?
13 Sei impossibilitato a ricevere visite?
14 Ti capita di essere contrariato o arrabbiato?
15 Ti capita di sentirti frustrato?
  Punteggio totale

/75

 

Il burnout

Il burnout è uno stato di esaurimento fisico, emotivo e mentale che subentra quando il peso da sopportare diventa eccessivo. Tale peso è dato dal bisogno di cura totale (fisica, emotiva, economica, psicologica) e continuativa di cui l’assistito necessita. Il burnout è un serio problema per il caregiver, per la sua famiglia e per l’assistito stesso: il congiunto ed i figli del caregiver posso perdere il loro agente di cura, dovendone subire rabbia, depressione, disperazione derivante dal burnout, mentre l’assistito può perdere qualità di cura a causa del burnout del caregiver.

Il caregiver in burnout ha perso la propria energia e voglia di prendersi cura, è stanco, teso, ansioso e depresso. I sintomi del burnout sono simili a quelli dello stress e della depressione:

  • isolarsi da amici, familiari, parenti
  • perdita di interesse nelle attività che prima piacevano
  • tristezza, irritabilità, perdita di speranza, sensazione di non poter essere aiutati in alcun modo
  • perdita dell’appetito, di peso o di entrambe
  • disturbi del sonno
  • voglia di fare del male a sé stessi o all’assistito
  • esaurimento fisico ed emotivo
  • irritabilità
  • perdita di interesse nel lavoro
  • minor resa lavorativa
  • uso di farmaci e alcol

I pensieri “neri” del caregiver

  • Impressione che tutti gli sforzi siano di scarsa utilità
  • consapevolezza di non potersi ammalare, perché anche una breve assenza avrebbe conseguenze drammatiche sull’assistito
  • sommarsi di compiti assistenziali agli impegni familiari e lavorativi
  • affaticamento e senso di insufficienza delle forze psicofisiche
  • problemi economici
  • alternanza di disgusto, compassione, rabbia, tenerezza, imbarazzo, vergogna e sensi di colpa
  • sensazione che la situazione sia destinata a durare all’infinito.

Caregiver, pensa (anche) alla tua salute!

Essere caregiver è gratificante ma può anche esaurire la persona fisicamente ed emozionalmente, portandola ad ammalarsi e a sviluppare lei stessa disabilità.

Essere caregiver di una persona amata non deve far dimenticare la propria vita. Il caregiver può ricoprire infatti meglio il proprio ruolo se dedica tempo ed attenzione ai propri bisogni personali: la sua salute è di fondamentale importanza (se lui si ammala chi si prenderà cura dell’assistito?)

Per evitare di essere prosciugato fisicamente ed emozionalmente il caregiver deve prendersi cura di sé stesso, salvaguardare la propria salute e sviluppare modi per far fronte alla situazione.

È importante mantenere un proprio spazio personale in cui coltivare attività che piacciono e rigenerano (leggere un libro, vedere gli amici, guardare un film, suonare uno strumento, frequentare un corso). Può non essere facile trovare il tempo per queste attività ma il farle arreca benefici sia al caregiver che alla persona di cui ci si prende cura: soddisfare i propri bisogni rigenera, donando nuova energia e vigore per svolgere il ruolo di caregiver.

Come gestire lo stress

  • Dai voce a ciò che provi e senti: le emozioni ed i sentimenti che sperimenti sono tutti legittimi, anche quelli che ti disturbano (rabbia, frustrazione, tristezza). Riconoscere ed accettare le proprie emozioni è il primo passo verso la risoluzione del senso di colpa e dello stress
  • Impara ad esprimere le tue emozioni ai tuoi familiari, amici o professionisti
  • Tieni sott’occhio il livello di stress a cui sei sottoposto
  • Sii consapevole dei sentimenti, pressioni e stress che stai vivendo
  • Condividi le tue difficoltà con chi sta vivendo la tua stessa situazione frequentando ad esempio un gruppo di auto-aiuto
  • Fissa obbiettivi realistici: se fare il caregiver non è l’unico ruolo che rivesti, definisci le tue priorità e comportati di conseguenza, stabilendo ciò che puoi fare e cosa no
  • Elenca le diverse attività necessarie all’assistenza (es. fare la spesa, pulire la casa, preparare i pasti, igiene, mobilizzazione, compagnia dell’assistito,..) e suddividile tra le varie persone di famiglia, amici, professionisti, volontari,…per non essere il solo a doversi far carico di tutto
  • Fissa periodiche riunioni di famiglia per rendere partecipi anche gli altri familiari della situazione dell’assistito e coinvolgerli nella responsabilità dell’assistenza
  • Non aspettarsi che siano gli altri ad offrire aiuto ma domandalo quando necessario
  • Mantieni una tua vita al di fuori del ruolo di caregiver (famiglia, lavoro, hobby)
  • Mantieniti in salute fisica e mentale consumando tre salutari pasti al giorno, dormendo bene e per il tempo necessario, facendo una regolare attività fisica, concedendoti settimanalmente momenti di relax da dedicare alle attività che ti piacciono e ti rigenerano
  • Per far fronte allo stress non adottare comportamenti distruttivi (uso di alcol, fumo, droghe) che, oltre a non risolvere la situazione, creano ulteriori problemi e danni alla salute
  • Informati sui servizi presenti sul territorio e sulle relative modalità di accesso.

Il MANIFESTO PER I FAMILIARI CAREGIVER

Verso il riconoscimento culturale, sociale, giuridico del caregiver

L’assistenza alle persone non autosufficienti di tutte le età è un ruolo che investe un numero sempre più alto di persone. È un compito difficile sul piano umano, complesso sul piano organizzativo, che richiede competenza, “forza” fisica e psicologica, disponibilità di tempo, spesso anche disponibilità economiche. Oggi più che mai, il contesto familiare è il luogo privilegiato della cura. Valorizzare e supportare concretamente il ruolo dei suoi membri nell’assistenza è lo scopo di questo MANIFESTO.

Il caregiving è essenziale per il mantenimento della persona non autosufficiente, spesso affetta da polipatologia, nel proprio domicilio; a buon diritto partecipa al “sistema dei servizi” con la caratterizzazione che gli è propria, di servizio informale. È essenziale anche per un’altra ragione, che fonda la nostra idea di società e di contratto sociale: il prendersi cura, in special modo del più debole, sostanzia il legame fra le generazioni sia nella direzione del far crescere sia in quella dell’accompagnare nella malattia e nella perdita della vita.

Il caregiving è gravoso e si assiste ad una progressiva difficoltà nell’espletamento delle sue funzioni perché è aumentato il numero e la gravità clinico-assistenziale delle persone bisognose di cura e perché è cambiata la struttura della famiglia da una pluralità di attori dell’assistenza alla sostanziale solitudine della diade curante-curato.

Il caregiver ha un grande carico sul piano psicologico, in cui i vissuti più frequenti, ingravescenti con il protrarsi dell’assistenza nel tempo, sono la solitudine, l’incertezza sul futuro, le conseguenze emotive del contatto costante con una sofferenza prolungata e spesso molto grave.

La conferma dell’importanza del ruolo svolto dalle famiglie, in particolare da madri, mogli e figlie, arriva dal 46° Rapporto del Censis del 2012, sulla situazione sociale del Paese. Sono le donne che circa nel 70% dei casi si occupano della cura e assistenza, spostamenti casa – ospedale, visite. Sempre il Censis rileva che i familiari che assistono accusano nel 29% dei casi stati d’ansia, tristezza, disturbi del sonno. Lo studio di Elizabeth Blackburn, premio Nobel per la Medicina nel 2009, ha dimostrato che i caregivers sottoposti allo stress di curare familiari gravi hanno un’aspettativa di vita ridotta dai 9 ai 17 anni.

Più recentemente il sistema di caregiving ha subito anche le conseguenze della riduzione  avvenuta in molti settori   dei servizi pubblici di supporto, come conseguenza delle restrizioni economiche, sebbene in alcune aree del paese i caregiver fronteggino scenari di cronica scarsità dei servizi formali ed è altrettanto avvenga su tutto il territorio per alcune tipologie di servizi, ad esempio quelli di sollievo.

Il caregiving richiede molte abilità, nel dare assistenza, nell’organizzarla, nel sostenere la persona malata, nel prestare le cure anche con aspetti tecnici rilevanti, nel dialogare con i servizi formali, nel conciliare i tempi di vita con quelli di assistenza. Il caregiver è costretto ad apprendere costantemente cose nuove e a fare esperienze nuove, anche di sé e delle proprie capacità. Ha bisogno di informazioni e di aiuto, di confronto e di dialogo, per contenere gli effetti disorientanti della malattia e per non spezzare il filo di senso che lo motiva e lo sostiene nell’assistenza.

Il caregiving richiede risorse, personali, ambientali, economiche. La sua caratteristica intrinseca di flessibilità e adattabilità è cruciale anche con scarse risorse, soprattutto ambientali ed economiche, talvolta con rischi gravi sia per il beneficiario che per il caregiver. Quando le risorse sono troppo esigue, anche quelle personali, è necessario poter sostituire, anche temporaneamente il caregiver. L’assenza di risorse sufficienti mette a rischio tutti coloro che sono coinvolti perché acuisce la povertà, induce la disperazione, provoca la rottura dell’equilibrio che regge l’assistenza. Si assiste anche a ripercussioni che sono state sottovalutate e che solo adesso cominciano ad essere studiate. L’8% delle persone che assistono un malato riscontrano una diminuzione del reddito, soprattutto per coloro che svolgono un lavoro autonomo; addirittura il 5,5% perde il posto di lavoro, mentre il 2% richiede il pensionamento.

Sulla base di queste considerazioni i promotori del presente Manifesto

INTENDONO PROMUOVERE

  • il riconoscimento sul piano culturale e sociale del caregiving, per raggiungere un’omogeneità di valutazione di questa funzione umana e assistenziale a livello nazionale. Si deve riconoscere il ruolo centrale della famiglia e, di conseguenza, modulare e articolare le risposte del servizio pubblico a sostegno di tale ruolo non come una concessione, ma come un aspetto strategico per lo sviluppo civile e delle stesse persone fragili;
  • il riconoscimento nelle politiche nazionali e locali alla famiglia come componente del sistema dei servizi nel contesto dei progetti di intervento a favore delle singole persone venga riconosciuto, nell’ambito del budget di cura, anche economicamente, il ruolo del familiare caregiver;
  • la definizione dei compiti e doveri dei caregiver, partendo da un progetto di cura condiviso, per le persone non autosufficienti di ogni età, sia che vivano a casa loro oppure in strutture di ricovero o in ospedali;
  • la definizione dei diritti del caregiver fra i quali ci paiono irrinunciabili:
    • il diritto di scelta nell’assumere il ruolo e nel mantenerlo
    • il diritto a risposte integrate da parte dei servizi che prevedano risposte articolate e flessibili capaci di sostenere il ruolo del familiare caregiver anche attraverso la previsione di ricoveri temporanei e/o di sollievo
    • il diritto all’informazione e formazione
    • il diritto ad un riconoscimento giuridico che permetta di conciliare i tempi di lavoro e di assistenza e che consenta benefici e facilitazioni sul piano assicurativo e pensionistico
    • il diritto ad essere riconosciuto come soggetto attivo nella cura del familiare nell’interlocuzione con i servizi e quindi co-attore del piano assistenziale individualizzato;
  • la formulazione di proposte per il miglioramento dei servizi di supporto al paziente non autosufficiente che tengano conto delle indicazioni e dei bisogni del caregiver.

PROPONGONO

Alle organizzazioni di utenti, di familiari e dei professionisti della salute, agli attori intermedi pubblici e privati e, soprattutto, ai vari livelli della politica e delle amministrazioni pubbliche

DI SOTTOSCRIVERE IL MANIFESTO E DI DEFINIRE I PROPRI IMPEGNI PER L’APPLICAZIONE.

Milano, 8 Novembre 2013

  • ACP – Associazione culturale pediatri (Sez. Lombardia)
  • ASL Bergamo
  • ASL Brescia
  • AIPO – Ass. Italiana Pneumologi Ospedalieri (Sez. Lombardia)
  • AO Desenzano del Garda
  • AO San Carlo
  • AMD – Associazione Medici Diabetologi
  • CIAF – Centro Italiano per l’Assistenza in Famiglia
  • Fatebenefratelli Prov. Lombardo-Veneta Ord. Osp S. Giovanni di Dio
  • Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus
  • Fondazione Poliambulanza
  • Fondazione Salvatore Maugeri IRCCS
  • GRG – Gruppo di Ricerca Geriatrico
  • IPASVI Collegio BS
  • SIGG – Soc. It. di Geriatria e Gerontologia (Sez. Lombardia)
  • SIMG – Soc. Italiana di Medicina generale (Sez. Lombardia)
  • SiMPeF – Sindacato Medici Pediatri di Famiglia
  • SIN – Società Italiana di Nefrologia (Sez. Lombardia)
  • SItI – Soc. It. Igiene, Med. Prev. e Sanità. Pubblica. (Sez. Lombardia)

… e la legge cosa dice?

La Regione Emilia Romagna ha approvato, prima in Italia, la Legge Regionale N°2 del 28 Marzo 2014 “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare”, che riconosce il ruolo sociale del caregiver familiare e proprio per questo intende fornire formazione e supporto alle attività di assistenza prestate gratuitamente da familiari ed amici a persone non autosufficienti, mettendo a loro disposizione importanti servizi.

In Regione Lombardia alcuni Consiglieri Regionali stanno avviando un progetto di legge che si muove in direzione dei principi espressi dal Manifesto.

Risultati di una ricerca: chi sono i caregiver

Da un analisi condotta dall’ASL di Brescia nel 2010 emerge che i caregiver, prevalentemente donne con un titolo di studio medio basso, assistono un genitore o un coniuge anziano con cui coabitano.

L’attività di assistenza coinvolge molto i familiari, sia per il lungo decorso della malattia, sia per l’impegno quotidiano richiesto (più di 12 ore settimanali per un periodo di tempo che va dai 2 e ai 10 anni).

La famiglia generalmente tende ad essere auto-sufficiente: insieme al caregiver principale all’assistenza collabora anche un altro familiare e gli operatori ASL e solo in pochi casi si ricorre a sostegni esterni (badante, volontari, liberi professionisti). Per la maggior parte dei casi non è intenzione dei parenti istituzionalizzare la persona in RSA.

Chi assiste si occupa dell’igiene personale, della somministrazione di farmaci, dell’alimentazione, dei rapporti con i sanitari di riferimento, dell’attività di compagnia e intrattenimento, degli aspetti burocratici ed amministrativi.

Gli stati d’animo/sensazioni più avvertite durante l’attività di assistenza sono la fatica, la paura di commettere errori, l’utilità, l’ansia. I sentimenti di ansia e fatica vanno di pari passo con la durata del periodo di assistenza.

Le aree in cui i caregiver vorrebbero avere più sostegno sono la possibilità di una consulenza telefonica per la gestione di situazioni critiche, l’educazione relativa alla gestione dell’assistito nei casi di emergenza, il supporto psicologico, l’addestramento alla gestione delle tecniche assistenziali, un sostegno economico per i costi delle cure non coperti dal servizio, la possibilità di ricoveri temporanei dell’assistito in strutture residenziali per 1-2 settimane l’anno, la sostituzione programmata da parte di un operatore assistenziale o volontari per alcune ore la settimana, corsi di formazione per la gestione dell’assistenza a domicilio.

Nel complesso i caregiver sono soddisfatti dei servizi forniti e per essere riusciti a mantenere a domicilio il proprio congiunto.

Libri, film, canzoni

Caregiver una scelta d’amore – Un documentario in cui i caregiver raccontano la loro esperienza.

https://youtu.be/mp8c1tzUDt0

Mar Nero” – Film – Italia, Romania, Francia – 2008 – Regia: Federico Bondi

https://www.youtube.com/watch?v=Na_0Qkm8JWk

Angela è appena giunta in Italia dalla Romania avendo trovato un posto come badante a Firenze. La donna anziana di cui si deve occupare è Gemma, una donna dal carattere molto rigido e autoritario. Nel film attenzione  viene prestata ai cambiamenti della relazione tra le due donne: Gemma rivede se stessa giovane in Angela  e, un po’ alla volta, va oltre i pregiudizi. Il pudore dei sentimenti che si nasconde dietro un’iniziale ruvidità lascia progressivamente il passo a un’intimità che non si avvale mai della retorica dei buoni sentimenti.

Quasi amici” – Film –  Francia – 2011 – Regia: Olivier Nakache, Eric Toledano

https://www.youtube.com/watch?v=_7WCl7aafGg

Il film, ispirato ad una storia vera, racconta l’incontro tra due mondi apparentemente lontani, quello di un ricco aristocratico diventuto paraplegico a seguito di un incidente di parapendio e di un ragazzo di colore della periferia appena uscito di prigione, assunto come badante personale. Due universi opposti entrano in rotta di collisione ma per quanto strano, troveranno un punto d’incontro che sfocerà in un’amicizia folle, comica, profonda quanto inaspettata. Bella commedia drammatica sull’amicizia e la diversità dove l’infermità, gravissima e mortificante, che costringe il protagonista  sulla sedia a rotelle, è affrontata con grande realismo e senza pietismi. Prendersi cura dell’altro con tutto se stesso, comprese le proprie fragilità personali ed i propri coni d’ombra non guarirà una persona da una malattia da cui non si può guarire, ma potrà curare la persona, infonderle la speranza, darle una prospettiva di vita vera.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dei caregiver familiari

Legge della Regione Emilia Romagna N°2 del 28 Marzo 2014 “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare”

La valorizzazione del ruolo del caregiver famigliare

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Carrozzina

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Casa

La casa, oltre ad essere un luogo fisico, è un luogo in cui nascono e crescono affetti e relazioni.

Normalmente è un ambiente concepito per chi sta bene e quindi funzionale per le persone sane.

Per una persona che non è in grado di muoversi autonomamente, la casa diventa l’universo nel quale trascorrere la giornata e la vita.

L’ambiente è spesso il risultato di interventi che hanno modificato nel tempo la struttura e gli arredi, adattandoli alle diverse esigenze che sorgono in una famiglia nel corso degli anni.

La presenza di una persona non autosufficiente impone una revisione dello spazio domestico alla luce dei nuovi bisogni e necessità, per ottenere una casa costruita su misura di chi la abita.

Diventa quindi importante che i familiari si rendano interpreti di questi bisogni e adottino soluzioni che, in funzione anche delle caratteristiche dell’edificio, possono migliorare la qualità della vita dei loro cari e di loro stessi.

Non vanno però trascurati quei compromessi che salvaguardano la storia, gli affetti ed i simboli importanti di una vita, sia di chi è assistito che di chi assiste.

Ecco alcuni suggerimenti concreti.

La maggior parte delle abitazioni non sono costruite per ospitare persone con ridotte capacità motorie, visive o uditive. Le barriere architettoniche possono essere rappresentate da elementi strutturali (parcheggio, porte, scale, corridoi, ascensori), da oggetti ed arredi (lavandini, armadi, tazze WC), da mancanza di taluni accorgimenti (corrimano) o da elementi che possono essere causa di infortuni (materiali sdrucciolevoli, porte in vetro, spigoli vivi..).

Tener conto del problema in fase di progettazione della casa non comporta quasi mai costi aggiuntivi, diversamente dalla loro eliminazione che implica spesso anche risultati poco soddisfacenti. Disporre di una certa tranquillità economica favorisce sicuramente interventi di questo tipo, ma va ricordato che per i non autosufficienti esistono agevolazioni fiscali previste nel settore barriere ed ausili, detrazioni e contributi per gli adattamenti dell’ambiente domestico, come contributi per opere di abbattimento delle barriere architettoniche nell’edilizia residenziale e per l’acquisto di tecnologie ed attrezzature.

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Catetere vescicale

Il catetere vescicale, nella maggior parte dei casi, viene utilizzato quando la persona non è più in grado di controllare lo stimolo ad urinare. È un tubicino flessibile, fatto di materiale morbido, che consente la fuoriuscita dell’urina dalla vescica. L’urina viene convogliata, attraverso il sistema di raccolta, all’interno di una sacca.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” capitolo “La persona con incontinenza urinaria”

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Centro diurno per anziani

È una strutture gestita frequentemente dal Comune, anche in collaborazione con associazioni di anziani, per l’accoglienza diurna degli anziani; offre occasioni di aggregazione sia libere che organizzate, alleviando le condizioni di solitudine.

Cosa offre

I centri diurni propongono attività di impegno sociale, ricreative, culturali, associative.

Quanto costa

Il servizio è generalmente gratuito.

Posso richiederlo?

Possono usufruire del servizio le persone anziane autosufficienti o parzialmente autosufficienti a rischio di isolamento sociale.

A chi posso rivolgermi

La richiesta va presentata al Servizio Sociale del Comune di residenza o direttamente alle associazioni di anziani che gestiscono il servizio.

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CDD (Centro Diurno per Disabili)

Il Centro Diurno per Disabili è una struttura semiresidenziale che accoglie durante il giorno persone adulte con disabilità al fine di migliorarne la qualità di vita, promuovere e sviluppare le potenzialità residue, favorendo la socializzazione nell’ambito del proprio contesto di vita.

Cosa offre

Le figure professionali presenti nel centro forniscono interventi socio-educativi, socio-riabilitativi ed assistenziali, mirati al miglioramento della qualità della vita della persona con disabilità e della sua famiglia.

Il lavoro educativo è teso a sviluppare capacità ed autonomie che la persona esercita anche al proprio domicilio.

L’equipe socio-sanitaria della struttura redige, in collaborazione con la famiglia, un Progetto Individuale che prevede un programma riabilitativo/abilitativo e di socializzazione che tiene conto sia della valutazione delle capacità sia dei problemi e dei bisogni sanitari, cognitivi, psicologici e sociali dell’ospite. Il Progetto Individuale può prevedere attività individuali e/o attività di gruppo.

Il servizio viene erogato per almeno 35 ore settimanali per 47 settimane/anno. La frequenza della persona disabile al centro viene definita dal Progetto Individuale.

Quanto costa

La retta di frequenza prevede una quota a carico della Regione Lombardia ed una a carico dell’ospite o della sua famiglia.

Posso richiederlo?

Il servizio è rivolto a  persone disabili gravi di età compresa fra i 18 e i 65 anni.

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CDI (Centro Diurno Integrato)

Il Centro Diurno Integrato è un servizio che accoglie per alcune ore della giornata in un ambiente protetto anziani non autosufficienti, con una compromissione parziale dell’autosufficienza o ad alto rischio di perdita dell’autonomia.

Cosa offre

Le figure professionali presenti nel centro (infermiere, animatore/educatore, operatore socio-assistenziale) garantiscono interventi socio-assistenziali e sanitari (igiene della persona, cure infermieristiche, riabilitative e mediche).

I centri diurni integrati sono servizi utili a supportare la famiglia nel compito di cura, favorendo la permanenza dell’anziano nel proprio ambiente familiare ma alleggerendo il carico assistenziale del caregiver. Forniscono inoltre all’anziano possibilità ricreative e di relazione che arricchiscono la sua vita quotidiana.

La maggior parte dei centri diurni integrati prevede un servizio di trasporto da e per il domicilio dell’ospite.

Nell’ASL di Brescia i centri diurni sono aperti almeno cinque giorni la settimana per almeno otto ore al giorno.

Quanto costa

La retta di frequenza prevede una quota a carico della Regione Lombardia ed una a carico dell’ospite o della sua famiglia.

Posso richiederlo?

Il servizio è rivolto ad anziani non autosufficienti, trasportabili, inseriti nella propria famiglia, i cui bisogni non sono più gestibili a domicilio ma non così complessi o gravi da richiedere il ricovero a tempo pieno in una struttura residenziale.

A chi posso rivolgermi

La richiesta è da presentare all’UCAM-UVMD-UVG   del distretto ASL di competenza, che procederà alla valutazione in collaborazione con i servizi sociali comunali.

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CSE (Centro Socio Educativo)

Il Centro Socio Educativo è un servizio diurno rivolto a persone adulte disabili con ridotte autonomie che necessitino di interventi educativi e di accompagnamento all’integrazione sociale.

Cosa offre

Sulla base di Progetti Individuali vengono forniti interventi finalizzati ad incrementare e mantenere le autonomie personali, le capacità di relazione, le occasioni di socializzazione.

Il lavoro educativo è teso a sviluppare capacità e autonomie che la persona esercita anche al proprio domicilio.

Posso richiederlo?

Il servizio è rivolto a persone adulte disabili che possiedono discrete capacità relazionali, comunicative ed adattive, che per il loro quadro organico e/o psichico non possono essere collocati in ambiti lavorativi ma per le quali è ipotizzabile un progetto personalizzato di recupero e sviluppo di capacità personali, quali l’autonomia ed i prerequisiti di base per un adattamento alla propria realtà sociale.

A chi posso rivolgermi

La richiesta va presentata presso la sede del servizio sociale territoriale per la famiglia e la solidarietà che si avvarrà della collaborazione dei servizi dell’ASL per la valutazione dei bisogni e per la definizione del progetto di intervento.

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Comunità alloggio – Casa albergo

È un servizio che offre una soluzione abitativa in convivenza.

La permanenza presso la struttura è definitiva. Qualora i livelli di autonomia si modifichino è previsto il trasferimento in istituti specifici (per anziani o per disabili).

Cosa offre

Sono soluzioni abitative che permettono di evitare l’istituzionalizzazione di persone che, pur non essendo più in grado di permanere nella loro abitazione, presentano residuali capacità di vivere in un ambiente a dimensione familiare. Coniugano i bisogni di autonomia della persona con la necessità di protezione.

Quanto costa

È prevista una retta a carico dell’ospite o della famiglia che varia a seconda della struttura.

Posso richiederlo?

Il servizio è rivolto a persone anziane o adulte con compromissione parziale dell’autonomia ma autosufficienti nella gestione della propria persona, in grado di collaborare per realizzare una comunità abitativa.

A chi posso rivolgermi

La richiesta va presentata al Servizio Sociale del Comune di residenza oppure all’UCAM-UVMD-UVG  di riferimento.

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Comunità residenziale per anziani

È  una struttura destinata ad anziani con diversi livelli di autonomia ma con un quadro clinico stabilizzato e bisogni non solo abitativi ma anche psicologici, relazionali, assistenziali, sanitari e sociali.

Cosa offre

È una alternativa alla RSA che coniuga i bisogni di autonomia della persona con la necessità di protezione. Rispetto a questa fornisce infatti meno interventi sanitari e punta maggiormente al mantenimento delle autonomie ed alla soddisfazione dell’anziano, affinché possa condurre una vita serena e dignitosa (“meno struttura protetta, più casa”).

Offre servizi di carattere alberghiero (lavanderia, stireria), mensa e cucina con possibilità da parte dell’ospite di partecipare all’elaborazione dei cibi, attività di vita comunitaria, iniziative di coinvolgimento amicale e familiare (inviti a pranzo, feste con parenti,..), uscite sia singole che di gruppo, servizio di assistenza alla persona (aiuto, igiene personale con bagno assistito). Agli ospiti vengono inoltre garantiti i servizi sanitari e socio-sanitari (infermieristici e riabilitativi) attivabili attraverso l’UCAM-UVMD-UVG.

Quanto costa

È prevista una retta – di norma inferiore a quella minima prevista dalle RSA- a carico dell’ospite o della famiglia che varia a seconda della struttura.

Posso richiederla?

Il servizio è rivolto a persone anziane con livelli diversi di autonomia ma con un quadro clinico stabilizzato ed assenza di significativi segni di decadimento cognitivo e disturbi comportamentali che, per propria volontà o per motivazioni familiari, sociali o di altra natura, non possono più vivere a casa.

A chi posso rivolgermi

La richiesta va presentata al Servizio Sociale del Comune di residenza oppure all’UCAM-UVMD-UVG  di riferimento.

La valutazione per l’ingresso tiene conto sia di problematiche di natura sanitaria che sociale, dando particolare rilievo a queste ultime.

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Contributi economici

Il contributo economico è un aiuto in denaro o un’agevolazione che lo Stato (Regione, Provincia o Comune) concede ai cittadini dopo opportune verifiche, così da soddisfare in maniera appropriata il reale bisogno.

Esempi di contributo economico sono l’invalidità civile per malattia invalidante e/o per infortunio sul lavoro, l’aiuto dato alle famiglie o alle persone che si trovano in difficoltà economica, sociale e/o lavorativa e che quindi non hanno un reddito sufficiente a garantire le esigenze vitali (es. canone affitto, elettricità, gas, ecc.), i contributi economici legati a particolari malattie che il Servizio Sanitario intende tutelare (es. demenza, gravissime disabilità, malattie rare,…) o particolari situazioni sociali (es. il contributo per una nuova nascita).

Cosa offre

Le modalità di erogazione dell’aiuto economico possono comprendere sia erogazioni in denaro che buoni spendibili in negozi convenzionati (tickets service).

Posso richiederlo?

Chiunque si trovi in una situazione di bisogno economico per particolari situazioni sociali o sanitarie può richiedere l’assegnazione dei contributi economici ad integrazione del reddito o sostegno temporaneo alla mancanza di reddito.

A chi posso rivolgermi

Le domande di ammissione ai contributi economici vanno presentate al servizio sociale del Comune di residenza che accerta lo stato di bisogno complessivo ed il rischio di emarginazione sociale.

Per avere maggiori informazioni

Per conoscere le iniziative di sostegno alla fragilità ed alle disabilità, le sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici consultare il sito internet dell’Azienda Sanitaria Locale.

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Cure palliative

Il termine “palliativo” deriva da “palliare”, ovvero coprire, nascondere con un pallio, che nell’Antica Grecia e nell’Antica Roma era il telo di lana che si poggiava su una spalla e si drappeggiava intorno al corpo, sopra la tunica.

In Italiano il termine palliativo è spesso usato come sinonimo di qualcosa di inutile, di fittizio, o anche di “effetto placebo”. In realtà “palliativo” significa semplicemente che non agisce sulla causa della malattia (terapia eziologica) ma sui sintomi che essa provoca. Per esempio quando il dolore è dovuto ad un tumore la cura eziologica è la rimozione del cancro, ma quando questo non è possibile si può comunque eliminare il dolore senza eliminarne la causa: si realizza quindi una terapia palliativa.

Cosa sono le cure palliative

Le cure palliative, nate circa 50 anni fa in Inghilterra, sono definibili come cura globale e multidisciplinare per i pazienti affetti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e la cui diretta evoluzione nell’arco di alcuni mesi è la morte.

Nelle cure palliative il controllo del dolore, degli altri sintomi e dei problemi psicologici, sociali e spirituali è di importanza fondamentale.

Esse si propongono di migliorare il più possibile la qualità di vita sia per i pazienti che per le loro famiglie.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce le cure palliative come “un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare le problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di una identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psicofisica e spirituale

Le cure palliative:

  • affermano la vita e considerano la morte come un evento naturale
  • non accelerano né ritardano la morte
  • provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri sintomi
  • integrano gli aspetti psicologici, sociali e spirituali dell’assistenza
  • offrono un sistema di supporto per aiutare la famiglia durante la malattia e durante il lutto.

A cosa puntano

Le cure palliative si focalizzano sul benessere della persona e sull’equilibrio interiore, che diventano sempre più problematici man mano che il fisico si indebolisce.

Le cure palliative mettono al centro dell’attenzione il malato (insieme alla sua famiglia), non la malattia, con l’obiettivo di offrire la migliore qualità di vita che la malattia permette, attraverso un controllo del dolore e degli altri sintomi disturbanti.

… e la legge cosa dice?

La legge n. 38/2010 definisce le cure palliative come “L’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici.”

Attraverso tale legge lo Stato italiano ha sancito il diritto di accesso alle cure palliative ed alla terapia del dolore.

Lo sviluppo della medicina palliativa in Italia è stato successivamente favorito dal DM del 28 Marzo 2013, che ha inquadrato la disciplina “Cure Palliative”(istituita con l’Accordo della Conferenza Stato-Regioni del 7 Febbraio 2013) nell’area della medicina diagnostica e dei servizi.

Alle origini

La tradizione di fornire cure a tutti i bisognosi di conforto, anche ai moribondi, possono essere considerate alla base dell’istituzione degli ospedali, carattere che acquisirono in particolare con il passaggio della gestione agli ordini ecclesiastici, durante il medioevo. La nascita della moderna medicina palliativa, intesa come consapevole e mirata opera del portare sollievo ai malati senza speranza di guarigione, è però attribuita a Cicely Saunders, assistente sociale e infermiera inglese poi divenuta medico con lo specifico scopo di coinvolgere la medicina nel campo allora poco praticato della cura dei morenti. Dopo aver trascorso molti anni accudendo malati di tumore in fase terminale, la Saunders decise di fondare un’istituzione apposita per permettere un trattamento adeguato a tutti coloro su cui gravava una prognosi infausta. Vide così la luce nel 1967 il St. Christopher’s Hospice, ospedale intitolato al patrono dei viaggiatori, in cui l’attenzione principale, non potendo più focalizzarsi sulla guarigione, si rivolgeva alla qualità dell’ultima parte della vita dei pazienti, attraverso cure studiate appositamente per limitarne la sofferenza e i disturbi più invalidanti. Il modello trovò accoglienza rapida, diffondendosi in tutto il mondo grazie a istituzioni pubbliche e private, contribuendo a sviluppare una disciplina medica specifica.

Nel 1957 fu pubblicato il primo articolo sul nuovo approccio assistenziale dei morenti; nel 1972 in Inghilterra si tenne il primo congresso nazionale su cure palliative e malati terminali e nel 1980 diciassette paesi parteciparono alla prima conferenza internazionale sulle cure palliative.

In Italia la prima unità di cure palliative fu aperta nel 1980 presso l’Istituto Nazionale Tumori di Milano.

Nello stesso periodo nascono le principali associazioni che supportano attività di cure palliative e ne diffondono la cultura, diventando mediatrici fra l’attività sanitaria specialistica ed i bisogni espressi dai malati e dalle famiglie.

Gli obiettivi

La rete di cure palliative, definita anche dalla legge 38 del 2010 prima citata, vuole essere la risposta organizzata alle esigenze del paziente terminale al quale la medicina tradizionale non è più in grado di proporre soluzioni.

Le cure palliative si rivolgono ai pazienti che si avvicinano alla fine della vita a causa di ogni malattia cronica ed evolutiva, in primo luogo malattie oncologiche, ma anche neurologiche, respiratorie, cardiologiche. Hanno lo scopo di dare al malato la massima qualità di vita possibile, nel rispetto della sua volontà, aiutandolo a vivere al meglio la fase terminale della malattia, accompagnandolo verso una morte accettabile e dignitosa.

La fase terminale è quella condizione non più reversibile con le cure che evolve nella morte del paziente ed è caratterizzata da una progressiva perdita di autonomia, dal manifestarsi di sintomi fisici, come il dolore, e psichici che coinvolgono anche il nucleo familiare e le relazioni sociali.

L’équipe

Per rispondere a tutti gli obiettivi delle cure palliative occorre utilizzare, in modo coordinato, le competenze di molti diversi operatori professionali (medico, infermiere, psicologo, operatore socio-sanitario, assistente sociale, professionista sanitario). La partecipazione dei familiari è importante sia per l’équipe che per l’assistenza alla persona ammalata. Può essere opportuno anche l’ausilio di volontari.

L’équipe organizza il piano di cura personale in accordo con la famiglia, utilizzando anche risorse del paziente, dei familiari o degli amici, in quanto intende valorizzare l’ultima fase della vita laddove il suo termine diventa ineluttabile.

Il supporto al paziente ed ai familiari riguarda quindi anche gli aspetti emotivi, psicologici e spirituali.

I tempi

È opinione diffusa che le cure palliative siano le cure degli ultimi giorni: bisogna sottolineare che questa è una idea sbagliata. La cura degli ultimi giorni è sicuramente parte delle cure palliative ma ne è solo la parte estrema, seguita peraltro da un aiuto nell’elaborazione del lutto per chi resta. I tempi delle cure palliative possono essere di alcuni mesi, a volte di anni per alcune patologie non oncologiche quali sclerosi multipla e sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Queste cure hanno ovviamente una diversa intensità secondo i bisogni, ma possono in ogni caso assicurare una continuità di punti di riferimento, condivisi con altri specialisti e con il medico di famiglia.

L’approccio palliativo va applicato tempestivamente nel corso della malattia e non esclude le altre terapie specialistiche.

È opportuno rivolgersi alle cure palliative:

  • quando la malattia non risponde efficacemente ai trattamenti
  • quando occorre controllare il dolore e affrontare sintomi che ledono gravemente la qualità di vita dei pazienti
  • quando l’organizzazione ospedaliera e la famiglia non possono rispondere all’aumento dell’assistenza necessaria
  • quando la prognosi è infausta e l’aspettativa di vita è presumibilmente breve.

I luoghi

Il luogo di cura migliore per un malato che si avvicina alla fine della vita è la propria casa dove è circondato dai suoi cari e da tutto quello che ha scelto di avere intorno a sé nella propria quotidianità. Ma i familiari possono scoraggiarsi ed il malato sentirsi insicuro. Più sostegno viene dato alla famiglia, maggiori sono le possibilità di mantenere un malato a casa sua fino alla fine, attorniato dai suoi cari e dai suoi ricordi. Per questo possono essere attivate le cure palliative domiciliari, sia attraverso l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), sia attraverso le cure palliative specialistiche territoriali (assistenza Specialistica Territoriale di Cure Palliative: STCP).

Il ricovero presso l’hospice è indicato per far fronte a situazioni di difficile controllo di alcuni sintomi (prima di tutto dolore, ma anche difficoltà respiratorie, disturbi gastroenterici, …) e per fornire cure adeguate a pazienti per i quali l’assistenza domiciliare non è possibile o non opportuna, anche per brevi periodi.

Nell’hospice e a casa il malato è assistito con professionalità e calore umano, senza alcuna spesa a carico del paziente o della sua famiglia.

A chi posso rivolgermi

Per attivare le cure palliative rivolgiti al tuo medico di famiglia.

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Deambulatore

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Decidere

Decidere significa scegliere fra cose o possibilità diverse.

Deriva dal latino decīdĕre, formato da de e da caedĕre cioè “tagliare”; significa quindi “tagliar via”, risolvere, definire, riferito a lite, controversia, questione (assimilando la questione al nodo gordiano reciso da Alessandro Magno).

La vita degli esseri umani è caratterizzata dalla possibilità/necessità di compiere scelte che contribuiscono a determinare il corso della propria esistenza. Le scelte importanti spesso sono difficili da compiere perché comportano una assunzione di responsabilità rispetto alle conseguenze che ne derivano. Per questo motivo è comprensibile che, quando si rende necessario prendere una decisione che può modificare la propria vita o quella delle persone a cui si vuole bene, si possa provare una grande incertezza, che talvolta diviene blocco.

Se per i medici e gli infermieri le evidenze della letteratura rappresentano un riferimento che orienta scientificamente le scelte cliniche ed assistenziali, nella vita di tutti i giorni difficilmente esistono a priori “scelte giuste” o “scelte sbagliate”, slegate dal contesto, dal momento e dalle persone coinvolte; ciò è particolarmente vero quando queste riguardano la salute e l’assistenza alle persone care. In tale contesto, infatti, spesso entrano in gioco senso del dovere e regole che derivano dall’educazione e dall’esperienza, che pongono una serie di “dovrei” a cui frequentemente seguono dei “ma …”. Quasi sempre le scelte coinvolgono anche la famiglia nel suo complesso e nei suoi equilibri, incluso il rapporto di coppia, il lavoro, gli interessi personali ed il tempo libero, aspetti da non sottovalutare nel lungo termine. Ciò richiede di negoziare tra le proprie esigenze e quelle altrui, sulla scorta delle priorità e dei rischi che sono connessi ad ogni scelta.

Ciò premesso i medici e i pediatri di famiglia, gli infermieri e gli altri professionisti dell’assistenza domiciliare sono in grado di fornire tutte le informazioni utili a conoscere la rete dei servizi che può essere attivata e ad orientare rispetto alle possibili alternative. Altrettanto utile è, quando possibile, condividere la scelta con coloro che ne saranno coinvolti ed evitare di essere/sentirsi soli nel dover affrontare i problemi.

Consigli pratici

Tratto da http://it.wikihow.com alla pagina > Prendere una Decisione (consultazione 1/09/2014)

  • “Non smarrirti nel processo decisionale, datti un limite di tempo, soprattutto se hai una scadenza da rispettare. Non rischiare il detto “troppa analisi porta alla paralisi”.
  • Nessuno scenario è quello perfetto: una volta presa la tua decisione, tranquillizzati e non avere rimpianti, smetti di preoccuparti e di pensare alle altre possibili alternative.
  • Non riflettere in modo eccessivo se non vuoi perdere obiettività e chiarezza mentale.
  • Se, dopo aver preso una decisione, sopraggiungono nuove importanti informazioni che possono farti dubitare della tua scelta, non avere paura e rivaluta con calma.
  • Se, dopo una lunga riflessione, ti sembra che tutte le opzioni che hai preso in considerazione potrebbero portare ad un buon risultato e che ognuna di loro contenga lo stesso numero di vantaggi e svantaggi, forse nessuna di loro è davvero quella giusta, altrimenti avresti già scelto.
  • Talvolta potresti non avere sufficienti informazioni per prendere una buona decisione. Fai altre ricerche se ti accorgi di avere delle scelte limitate o di non avere a disposizione tutti i dettagli che ti servono. Può capitare comunque che, pur non avendo tutte le informazioni di cui avremmo bisogno, ci si trovi costretti a prendere una decisione.
  • Non rimandare. I ricercatori hanno scoperto che la nostra avversione a prendere delle decisioni definitive porta a risultati negativi.
  • Se devi decidere in merito alla rottura di un rapporto, puoi sempre farlo più tardi.”

Il nodo gordiano – Tradizione leggendaria

Tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera (1/09/2014)

L’espressione “nodo gordiano” trae origine da una tradizione letteraria e leggendaria a cui è legato anche un aneddoto sulla vita di Alessandro Magno. Con il tempo, l’espressione ha assunto, in varie lingue, una valenza metaforica, andando a indicare un problema di intricatissima soluzione, che si presta a essere risolto, alla maniera di Alessandro, con un brutale taglio. Da questo aneddoto derivano espressioni come «recidere, o tagliare, il nodo gordiano…»

L’aneddoto risale già all’VIII secolo a.C., periodo in cui il popolo dei Frigi stava costituendo un proprio stato con una struttura politica, nell’entroterra dell’Anatolia (l’attuale Turchia), ma non era ancora stato eletto un re.

L’oracolo di Telmisso (o Telmesso, l’attuale Makri), l’antica capitale della Licia, predisse che il primo uomo che fosse entrato in quella nuova città su un carro trainato da dei buoi, sarebbe diventato re. Il primo a entrare fu un misero contadino di nome Gordio che, in conformità all’oracolo, fu nominato re e la cittadina prese il suo nome (che oggi corrisponde all’attuale Yassihüyük). Tale previsione fu interpretata anche mediante un segno degli dei, attraverso un’aquila atterrata sul carro stesso. Secondo lo storico Arriano, il figlio adottivo di Gordio, Mida (il noto re che trasformava in oro tutto ciò che toccava), dedicò quindi il sacro carro del padre alla divinità frigia Sabazio (che i Greci identificavano con Dioniso).

Il carro fu legato permanentemente a un palo, assicurandone la stanga con un intricato nodo di robusta corda in corteccia di corniolo (Cornus mas), rimanendo così il saldo simbolo del potere regale e politico dei successivi re di Frigia, ben saldo nel tempio di Gordio, fino a quando non vi giunse Alessandro Magno nel IV secolo a. C., epoca in cui la stessa Frigia fu ridotta a satrapia (provincia) dell’impero persiano.

La profezia oracolare volle che chi fosse stato in grado di sciogliere quel nodo, sarebbe diventato imperatore dell’Asia Minore.

Dopo l’inverno 332-333 a.C., l’esercito militare di Alessandro Magno in espansione dalla Licia verso l’entroterra, entrò prima a Sagalassos e poi a Gordio. Qui, il condottiero provò a sciogliere il nodo ma, non riuscendovi, decise semplicemente di tagliarlo a metà con la spada, da cui, ancor oggi, si usa dire soluzione alessandrina per indicare la risoluzione di un problema intricato in modo netto, semplice, rapido e deciso.

Lo storico Plutarco mise comunque in discussione la pretesa secondo cui Alessandro Magno avrebbe tagliato il nodo con un colpo di spada, e riferisce che, secondo Aristobulo di Cassandra, Alessandro lo avrebbe semplicemente sfilato dalla staffa. A ogni modo, Alessandro andò alla conquista dell’allora Asia conosciuta, fino all’Indo e all’Oxus, facendo, così, avverare la profezia.”

La storia di Sara

“Bene, mi ritrovo qui a raccontare la mia esperienza, anzi, l’esperienza più dolorosa che io e la mia famiglia abbiamo dovuto affrontare.

Premetto che sono la primogenita di una famiglia di due figli; mio padre è un idraulico e mia madre

casalinga.

Avevo 17 anni e mio fratello 15 quando, nel giugno 2007, arrivò per posta il risultato del test genetico che mia madre aveva fatto più di 10 anni prima, quando era ormai già madre di me e mio fratello.

Iniziò dunque tutto nel 2007, con una importante depressione ed un esaurimento tremendo.

Gli anni passano, le cure non esistono e la malattia, la Corea di Huntigton, ti sfinisce: la vediamo in lei, ci fa soffrire e sentire impotenti e spesso inadatti al compito che cercavamo di ricoprire al meglio, quello appunto di accudirla.

A marzo 2014 si libera un posto in una vicina RSD. Cosa dire … ci riuniamo in famiglia, ne parliamo e decidiamo di provarci: vorremmo riuscire a farla stare meglio, a sistemarla in un posto in cui possa essere sotto controllo medico, dove possa svolgere attività mirate al suo stato di salute e la fisioterapia adatta a mantenere il suo fisico il più attivo possibile.

Benissimo, tutti presupposti ottimi…. ma il momento dell’inserimento è quello più complesso e difficile da affrontare.

Di solito si preparano le valigie per andare in ferie, questa volta no, non si trattava di una vacanza e nemmeno di un lungo viaggio ma bensì di un cambiamento che assomigliava molto di più ad una perdita e/o ad un abbandono.

Arrivati nel piazzale della RSD ci sentiamo decisi e prontissimi ad affrontare “il tutto”… fino all’ora in cui bisogna salutarsi… Quella sarà la prima notte in cui, se la vorrai abbracciare e ti sentirai solo, lei, nel lettone non ci sarà …

Sono passati 9 mesi ma, ripensando a questo momento, le mie reazioni sono le stesse: il cuore mi si stinge, come se qualcuno me l’avesse strizzato, poi comincia a battere fortissimo e sento nel petto un caldo esagerato.

È davvero difficile descrivere a parole ciò che ho provato la mattina del risveglio dalla prima notte in cui lei non c’era…ti domandi come avrà passato la notte, se sarà riuscita a riposare nel nuovo letto, cosa starà facendo ora,…

Ti accorgi allora che ti mancano i pezzi di un puzzle che pensavi non avresti mai e poi mai potuto smarrire. Mi viene da dire che a questo puzzle manca proprio il pezzo centrale, quello più bello, che ritrae la scena più importante, quella della mamma, la regina della casa, la moglie perfetta, la lettrice di sguardi, colei che con un sorriso ti comunicava anche troppo, colei i cui consigli sono quelli giusti, quelli incondizionati, quelli senza secondo fine, quelli su cui non ti viene nemmeno un minimo dubbio… Ecco, manca, è assente, non c’è … e questo ti fa sentire un corpo senza un anima, ti crea un senso di vuoto che solo lei potrebbe colmare con la sua presenza.

Questa sensazione non migliora nel tempo, ci fai solo l’abitudine, ti aggrappi ai presupposti iniziali e ti convinci che questa sia la scelta più giusta. Insomma, diciamo che, se pensi con il cuore, piangi, mentre, se pensi con il cervello, ti ripeti che quella è la scelta giusta. Può anche capitare di pensare con cuore e cervello e non arrivare sempre alla stessa conclusione, che, nella maggior parte dei casi, è la seguente: “Siccome non eravamo più in grado di accudirla a casa perché era diventato molto pericoloso per lei non avere una assistenza continua 24 ore su 24, abbiamo preso questa decisione e, visti i risultati ed i miglioramenti, ne siamo contenti e soddisfatti”, pensando addirittura che, se l’avessimo tenuta a casa, probabilmente non sarebbe così serena, felice e migliorata.

Insomma, se riesci a fartene una ragione, la vita migliora sia per te che per lei……anche se potranno passare anni ed anni ma resterà sempre una mancanza!”

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Demenza

Con il termine “demenza” si indica non una malattia ma una sindrome, cioè un insieme di sintomi, che comporta l’alterazione progressiva di alcune funzioni mentali (memoria, ragionamento, linguaggio, capacità di orientarsi, di svolgere compiti motori complessi), della personalità e del comportamento. Queste alterazioni sono di severità tale da interferire con il funzionamento sociale e con le attività quotidiane: la persona perde la capacità di far fronte alle richieste della vita di ogni giorno, non è più in grado di tenere un comportamento sociale adeguato alle circostanze e di controllare le proprie reazioni emotive. La demenza è, quindi, una condizione altamente invalidante che porta alla perdita progressiva dell’autonomia e dell’autosufficienza.

I diversi tipi di demenza

Nella definizione generica di “demenza” rientrano diverse malattie, alcune classificabili come demenze “primarie” (come la malattia di Alzheimer, la demenza con i corpi di Lewy, la demenza frontotemporale) ed altre invece definite “secondarie”, in quanto conseguenza di malattie infettive, neurologiche, immunologiche, sostanze tossiche, alterazioni metaboliche (demenza da AIDS, neurosifilide, meningoencefaliti,..).

Tutte le forme di demenza sono legate alla presenza di un danno cerebrale che può instaurarsi in modo acuto (come nel caso dell’ictus) oppure accumularsi gradualmente nell’arco di decenni ed iniziare a rendersi evidente quando viene superata una certa “soglia” oltre la quale le parti del cervello ancora sane non sono più in grado di compensare le funzioni cognitive venute meno a causa delle lesioni.

Forme di demenza reversibili

Alcune malattie psichiche e fisiche possono provocare disturbi simili a quelli dovuti alla demenza, senza però causare lesioni irreversibili al cervello. Le cause principali dei sintomi di tipo demenziale sono la depressione, i disturbi del metabolismo, l’abuso di alcol e farmaci. Eliminando i fattori scatenanti, lo stato mentale può tornare alla normalità.

La malattia di Alzheimer

Di tutte le demenze, quella di Alzheimer è la forma più diffusa (50-60%).

Prende il nome da colui che l’ha scoperta, Alois Alzheimer, e descritta per la prima volta nel 1906. È provocata dalla progressiva perdita di cellule cerebrali che a sua volta porta ad un lento declino delle facoltà mentali.

L’insorgenza dei sintomi è graduale e determina un progressivo declino delle funzioni cognitive, dalle complesse alle più semplici. Nelle prime fasi sono intaccate le capacità di apprendimento di nuove conoscenze, le competenze lavorative e le attività socialmente complesse. Con il progredire della malattia, la persona non è più in grado di svolgere le attività di base della vita quotidiana quali, ad esempio, l’igiene personale e l’alimentazione. Nelle fasi avanzate sono intaccate le capacità motorie come la deambulazione e la deglutizione.

Le cause che portano allo sviluppo della demenza di Alzheimer non sono ancora completamente chiarite. I meccanismi coinvolti sono comunque molteplici. Dal punto di vista biologico si osserva una progressiva morte (atrofia) delle cellule cerebrali (i neuroni).

La durata media della malattia è di 10-15 anni e la morte nella maggior parte dei casi è dovuta all’insorgenza di altre patologie, alle complicanze dell’allettamento e all’aggravarsi delle condizioni cliniche generali. La demenza infatti accentua la fragilità globale della persona, comportando un aumento delle patologie che la affliggono e un aumento del rischio di mortalità.

Ad oggi non esistono esami per determinare in modo certo la probabilità di sviluppare questa malattia.

L’assistenza domiciliare di una persona affetta da demenza

Assistere una persona colpita da demenza richiede un notevole impegno non soltanto in termini di organizzazione e gestione pratica, ma anche sul piano psicologico ed emotivo.

Il carico di invalidità della demenza pare sia il più alto di quasi tutte le altre condizioni di malattia. Le alterazioni comportamentali dovute ad allucinazioni, deliri, agitazione, aggressività, depressione sono un importante fonte di carico emotivo per i familiari e sono spesso causa di istituzionalizzazione.

Il percorso di accettazione della malattia

Il percorso psicologico che compie un familiare per cercare di accettare la demenza di un congiunto è simile a quello di chi vive un lutto. Esso dipende da:

  • le risorse individuali e familiari
  • il momento in cui è fatta la diagnosi
  • il tipo di rapporto con il malato
  • la presenza di supporti esterni.

La demenza di un congiunto può risvegliare precedenti conflitti, per le caratteristiche stesse della malattia. Ne conseguono atteggiamenti opposti:

  • accanimento assistenziale (conseguente ad un totale soffocamento delle proprie emozioni)
  • abbandono del malato (per la difficoltà di curare qualcuno per cui non si è disponibili).

Sono frequenti reazioni di negazione che si traducono nella ricerca di nuove diagnosi o della terapia miracolosa.

Avvicinandosi alla realtà della malattia, i familiari iniziano a provare rabbia e frustrazione per l’incapacità di cambiare la diagnosi o trovare aiuti risolutivi.

Per limitare l’ansia, i familiari seguono il bisogno di “fare qualcosa” (tentativo di controllo sulla situazione). Il caregiver si sostituisce al malato nella attività quotidiane per aiutarlo, evitargli la frustrazione o evitare di dover controllare due volte le cose. L’iperattivismo del caregiver impedisce che i principali deficit del malato si manifestino, conservando più a lungo una sua immagine sociale integra ma ostacola l’allenamento delle abilità residue del malato ed affatica il caregiver.

L’investimento di energie da parte del caregiver finisce “fisiologicamente” per non andare a buon fine e ciò produce frustrazione, delusione, rabbia verso se stessi e verso il malato e la percezione di aver perso il controllo della situazione con conseguente aumento dell’ansia.

Le emozioni della cura

Il caregiver è sottoposto ad un carico emotivo significativo e può provare la spiacevole sensazione di essere in balia di varie emozioni, anche contrastanti e talvolta considerate inappropriate:

  • rabbia verso la malattia, il mondo (da cui ci si sente abbandonati), l’assistito
  • compassione verso il malato e sé
  • vergogna e imbarazzo
  • senso di colpa per gli scatti d’ira e per il risentimento verso l’assistito
  • senso di impotenza

Oltre alle preoccupazioni sulla capacità di gestire la situazione e di sopportarne lo stress derivante, spesso i familiari vengono anche colti dalla paura dell’ereditarietà, cioè di essere essi stessi destinati a quel futuro.

Ricorda che

  • Nessuno è pronto ad affrontare cosa significa badare ad una persona cara affetta da demenza
  • Scegliere di affrontare questa prova da soli significa già condizionare negativamente il proseguo dell’assistenza
  • La vita media del paziente dalla diagnosi è di circa 10/12 anni. Come questi anni verranno trascorsi dipende sia dal paziente, sia dal caregiver
  • Non c’è nessun trattamento farmacologico che può curare la demenza, ma ci sono strategie per risolvere i problemi quotidiani che si è chiamati ad affrontare
  • La malattia evolve nel tempo: si deve diventare in grado di adattarsi alla situazione, calibrando il livello di aiuto
  • Se si è nervosi, stanchi o ansiosi, questo nervosismo, stanchezza o ansia contagerà anche la persona di cui ci prendiamo cura
  • Gli obiettivi irrealistici non aiutano nessuno, tanto più che la demenza è una malattia progressiva, nel corso della quale le richieste al caregiver sono sempre maggiori
  • Non ci si deve far cogliere impreparati,è necessario, fin da subito, conoscere i servizi di aiuto disponibili sul territorio
  • Richiedere aiuto e pianificare in anticipo la gestione della malattia può ridurre il peso dell’assistenza
  • Chi si avvale del sostegno di gruppi di supporto e di strutture specializzate tende a tenere il malato a casa più a lungo ed a sentirsi più in salute e più gratificato dal compito della cura
  • La qualità della cura che si è in grado di elargire è in relazione alla propria condizione psicofisica: salvaguardare la propria salute fisica (alimentazione, sonno, visite mediche, movimento) e psichica (parenti, amici e vicini non devono essere tralasciati; le attività piacevoli, anche se ridimensionate, devono essere preservate) permette di potersi meglio dedicare all’assistito.

Libri, film, canzoni

La famiglia savage” – Film – USA – 2007 – Regia: Tamara Jenkins

https://www.youtube.com/watch?v=zAggpIFHo_4

Davanti alla difficile decisione di inserire in una casa di cura il padre, così a lungo temuto ed evitato e che ora sta lentamente sprofondando nella demenza, i due fratelli imparano a conoscersi e a conoscere meglio il proprio genitore. Attraverso le sofferenze del padre i due riescono ad uscire dal proprio isolamento ed iniziano a pensare nuovamente le proprie vite. Il film tratta il tema della vecchiaia, della famiglia e della morte senza mai scadere nel melodramma.

Lontano da lei” – Film – Canada – 2006 – Regia: Sarah Polley

https://www.youtube.com/watch?v=mY8kgyCzZwY

Fiona e Grant sono marito e moglie da più di quarant’anni e vivono serenamente da pensionati in una bella casa sul lago. Basta un gesto per incrinare questa tranquilla felicità: un giorno, dopo pranzo, Fiona asciuga una padella e la ripone nel frigorifero.  È il primo segno dell’Alzheimer e ulteriori comportamenti preoccupanti convinceranno Fiona che è meglio entrare in una struttura di assistenza, anche contro il parere del marito che vorrebbe assisterla personalmente. Nel progredire della malattia Grant continua ad interrogarsi e cercare aiuto per sopportare una situazione emotivamente molto pesante e destabilizzante.

Una sconfinata giovinezza” – Film – Italia – 2010 – Regia: Pupi Avati

https://www.youtube.com/watch?v=RCTpqNNYGbE

 Lino e sua moglie  Chica conducono una vita coniugale serena e senza serie difficoltà.  L’oggi però, in modo totalmente inatteso, presenta loro una grossa preoccupazione: Lino da qualche tempo accusa problemi di memoria che mano a mano si accentuano andando a compromettere in modo sempre più evidente il quotidiano svolgersi delle sue attività sia nell’ambito professionale che familiare. Dapprima sia lui che Chicca decidono di riderci sopra ma il disturbo si manifesta sempre più fino a quando, dopo attenti e approfonditi esami, un neurologo diagnostica una patologia degenerativa delle cellule cerebrali: il morbo di Alzheimer.

La malattia scombussola molto la relazione tra i due con Chicca che, mossa da amorevoli sentimenti, si ritrova tra mille dubbi ed angosce a dover trattare come un figlio piccolo il proprio marito pur di stargli vicino ed evitargli la sofferenza del ricovero.

Still Alice”- Film – USA – 2014 – Regia: Richard Glatzer, Wash Westmoreland

http://www.mymovies.it/film/2014/stillalice

Tratto dal romanzo “Perdersi (Still Alice)” racconta la storia di Alice a cui viene diagnosticata la demenza di Alzheimer.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “La persona con demenza e disturbi comportamentali”.

Guida per chi si prende cura dei malati di Alzheimer

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Depressione

Nel linguaggio comune il termine “depressione” definisce il sentimento del “sentirsi giù” che tutti noi sperimentiamo di tanto in tanto anche senza motivi apparenti e che fa parte delle normali oscillazioni dell’umore.

Tutti noi, nel corso della vita, andiamo incontro ad eventi e situazioni che potrebbero essere causa di depressione, ma la maggior parte delle persone riesce ad affrontare queste circostanze senza cadere nella depressione intesa come patologia.

La depressione è infatti una patologia psichiatrica, caratterizzata da episodi di umore depresso accompagnati principalmente da una bassa autostima e perdita di interesse o piacere nelle attività normalmente piacevoli (anedonia). È una malattia invalidante che coinvolge sia la sfera affettiva che cognitiva della persona influendo negativamente sulla vita familiare, lavorativa, sullo studio, sulle abitudini alimentari, sul sonno e sulla salute in generale.

Come riconoscere la vera depressione

Sentirsi stanchi, demotivati, tristi o frustrati è una condizione normale, che può succedere a tutti. Perché si possa parlare di vera depressione è necessario che questi ed altri sintomi siano presenti per un periodo sufficientemente lungo ed in maniera persistente.

Per fare diagnosi di depressione devono essere presenti per la gran parte della giornata, quasi tutti i giorni e per almeno due settimane almeno cinque di questi sintomi:

  • mancanza o eccesso di energie, sensazione costante di fatica o, al contrario, di agitazione
  • aumento o diminuzione dell’appetito – e quindi del peso corporeo – in modo significativo e del tutto indipendente dalla volontà della persona
  • disturbi del sonno (ipersonnia, insonnia o frequenti risvegli durante la notte)
  • sensi di colpa continui e immotivati
  • pensieri di morte o di suicidio
  • tristezza persistente, ansia e sensazione di vuoto
  • disperazione, visione totalmente pessimistica della vita
  • perdita d’interesse o piacere (anedonia) in attività che prima davano soddisfazione, compreso il sesso
  • sensazione di essere “rallentati”, difficoltà a concentrarsi, a ricordare, a prendere decisioni
  • dolori continui o altri sintomi fisici persistenti, non causati da una malattia fisica o da una lesione.

Poiché non esiste attualmente un test di laboratorio per la sua diagnosi, questa si basa sulle esperienze auto riferite dal paziente, sul comportamento riportato da parenti o amici e su un esame dello stato mentale eseguito dal medico o dallo psicologo.

Esordio e decorso della malattia

Il momento più comune di esordio è tra i 20 e i 30 anni, con un picco tra i 30 e i 40 anni.

La comprensione della natura e delle cause della depressione si è evoluta nel corso dei secoli, anche se è tuttora considerata incompleta. Le cause proposte includono fattori psicologici, psicosociali, ambientali, ereditari, evolutivi e biologici.

Il decorso della malattia è molto variabile: da un episodio unico della durata di alcune settimane fino ad un disordine perdurante per tutta la vita con ricorrenti episodi.

Cosa prova la persona depressa

La fatica di vivere:

“La depressione lascia il corpo intatto ma consuma l’anima, la sofferenza non è dovuta ad un male fisico. È come combattere contro un nemico che continua a colpirti sempre nello stesso punto fino a sfiancarti.”

“Il dolore che si prova è come quello della perdita di una persona cara: vivere il lutto con la sensazione continua della perdita di qualcuno, ma in realtà sono io che manco…ed elaboro il lutto per la perdita di me stesso.”

“Essere depresso vuol dire provare duramente la fatica di vivere e la stanchezza che questo comporta, la perdita di energia, sapere di dover fare qualsiasi cosa al primo tentativo perché non si ha la forza di riprovare.”

Mancanza di energia:

“La mancanza di energia è stato sempre il sintomo peggiore e ripetere azioni anche banali una fatica immane. Al risveglio inizia la fatica di vivere, si ha la sensazione di portare addosso un peso enorme. Arrivo in ufficio ed è come se avessi già lavorato l’intera giornata. Al ritorno a casa devo sdraiarmi per poter recuperare le forze.”

Malessere fisico:

“Ho sintomi dovuti al continuo stato di tensione: mal di stomaco, mal di schiena, alle ossa, alla testa e dolori al petto che non hanno giustificazione, è il vivere che li provoca.”

Come affrontare la depressione

La depressione è una malattia che colpisce, non solo l’umore, ma anche il pensiero, la volontà e tutto quanto l’individuo; non è semplicemente un “sentirsi giù”.

La depressione non è un segno di debolezza del soggetto o una condizione che dipende dalla sua volontà. Il depresso non può sentirsi meglio semplicemente “sforzandosi”, “dandosi una mossa”, mettendoci “la buona volontà”.

Senza un adeguato trattamento, la depressione può durare mesi ed anche anni: è necessaria una valutazione medica per approntare una terapia appropriata (il farmaco giusto, alle dosi giuste e somministrato per tutto il tempo necessario) eventualmente affiancata da un percorso di psicoterapia. L’ospedalizzazione può essere necessaria quando esiste un significativo rischio di danno per sé (dalla grave trascuratezza di sé fino al suicidio) o per altri.

“Quando si vive con un depresso bisogna stargli vicino senza farlo pesare, si deve sapere che i farmaci provocano effetti collaterali, che la malattia può generare dolori, anche un semplice raffreddore o uno sforzo possono provocare una ricaduta. Bisogna avere coscienza che il proprio caro soffre di una malattia grave, coinvolgerlo e non isolarlo, dargli dolcezza e amore, perché è di questo che ha bisogno”.

A chi posso rivolgermi

Per avere consigli ed indicazioni rivolgiti al tuo medico di medicina generale che ti aiuterà a valutare ed affrontare il problema nella maniera più opportuna.

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Diabete

Il diabete mellito è una malattia cronica che comporta una compromissione completa (diabete di tipo 1) o parziale (diabete di tipo 2) della produzione di insulina.

L’insulina è un ormone prodotto dal pancreas, la cui funzione è quella di consentire l’ingresso dello zucchero (glucosio) nelle cellule dell’organismo che lo utilizzano quale fonte di energia.

La sua carenza porta ad un aumento della concentrazione di glucosio nel sangue (iperglicemia) con conseguenti problemi di salute, sia immediati che a lungo termine. Infatti, l’impossibilità da parte dell’organismo di utilizzare gli zuccheri quale fonte di energia porta ad utilizzare proteine e grassi (lipidi) che, anziché essere immagazzinati nelle cellule, vengono portati nel circolo sanguigno. Elevati tassi di grassi e di prodotti derivanti dal metabolismo dei grassi (corpi chetonici) hanno ripercussioni negative sullo stato dei vasi sanguigni (in particolare a livello della retina, del rene, della circolazione periferica, delle coronarie e dei grossi vasi) ripercussioni che, nel tempo, provocano gravi complicanze (retinopatia diabetica, neruropatia, cardiopatia, nefropatia).

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “La persona diabetica”.

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Dialisi

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Dignità

Il termine dignità, si riferisce all’esigenza di tutelare il proprio valore morale e la propria onorabilità. È una caratteristica costitutiva dell’uomo (ma anche di ogni altro essere vivente).

Deriva dal latino: dignitas, derivato di dignus   degno, meritevole.

“Nei gesti di assistenza, si racchiude qualcosa che va oltre l’azione e rappresenta un luogo di senso sia per chi li effettua, sia per chi li riceve, sollevando o calpestando la dignità della persona che abbiamo preso in carico.

La persona che riceve un gesto non riceve solo una risposta alle proprie necessità, ma sente la sua dignità sollevarsi e il suo essere persona confermarsi. Inoltre il gesto fa nascere dignità anche in chi lo effettua e non solo a chi lo contempla ricevendolo. Ecco la nostra straordinaria potenzialità. (…)

Un gesto può calmare, può dare sicurezza, può esprimere partecipazione, può far sentire speranza. Azioni quotidiane che raccontano quanto le parole non possono contenere. Gesti da gustare in silenzio”.

(Tratto da Edoardo Manzoni – Dal curare al prendersi cura: le nostre potenzialità – Bergamo, 9 giugno 2012).

Libri, film, canzoni

“La forza della mente” – film – USA – 2001 – Regia: Mike Nichols

https://www.youtube.com/watch?v=9xC73Ys9jLc 

Basato sulla piece teatrale di Margaret Edson, intitolata “Wit”, il film di Nichols racconta la storia della professoressa Vivian Bearing la quale, dopo una diagnosi di carcinoma ovarico in stadio avanzato, decide di sottoporsi ad un regime di chemioterapia altamente aggressivo, di fatto inutile ai fini della guarigione.

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Disabilità

In termini generali si può dire che la persona con disabilità è una persona che, in una certa fase della sua vita, si trova nella condizione di avere bisogno di aiuto a causa di un problema correlato con le proprie condizioni fisiche e con le caratteristiche del contesto in cui vive.

Oggi la disabilità non viene più considerata come malattia, disordine o disturbo ma come “la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e una serie di fattori personali e ambientali che rappresentano il contesto di riferimento in cui la persona vive ed esprime le proprie capacità” (OMS, 2001)

La salute è definita come “benessere globale della persona, considerata in una visione innovativa caratterizzata dalla multidimensionalità, dall’interazione tra più variabili e fattori, legata al funzionamento umano a tutti i livelli (biologico, personale e sociale) e “Qualunque persona in qualunque momento della vita può avere una condizione di salute che in un ambiente sfavorevole diventa disabilità” (OMS. 2001)

In termini più specifici, una persona è “disabile” quando “soffre di menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali durature che, interagendo con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione alla vita della società su base paritaria” (Convenzione sui diritti delle Persone con Disabilità, 2006)

Al fine di individuare il tipo e l’intensità dell’aiuto di cui le persone con disabilità hanno bisogno perché sia loro garantita una buona qualità di vita è utile distinguere le disabilità conseguenti a menomazioni fisiche da quelle conseguenti a menomazioni mentali o intellettive o a menomazioni sensoriali. Per ciascuna di queste tipologie possono essere necessari sostegni o servizi molto differenti, che vanno dall’utilizzo di ausili meccanici/tecnologici, protesica personale ed ambientale, facilitazioni comunicative, interventi specialistici,  servizi specializzati di assistenza domiciliare, diurna e residenziale.

Disabilità, diversità, normalità

Una delle domande che sorgono quasi immediatamente riflettendo sul concetto di disabilità è “La disabilità è diversità?

La prima risposta, quella che viene spontanea e risulta suggerita dall’esperienza di tutti i giorni, è “” poiché, fortunatamente –verrebbe da dire– la condizione di disabilità è una forma di diversità, di anormalità, dal momento che la maggior parte delle persone non è disabile.

Ma… c’è un ma… le cose non sono proprio così semplici e lineari.

La prima considerazione è che, se i criteri di diversità e normalità sono quelli sopra accennati, allora emerge un primo importante aspetto: sia la normalità che la diversità -e quindi, anche la disabilità, che è una forma di diversità- non sono concetti definibili in assoluto, bensì solamente in rapporto agli altri: si è normali o diversi solo in relazione agli altri, alla maggior parte delle persone, alla società. Normalità e diversità sono dunque due nozioni relative e necessariamente connesse: l’una presuppone l’altra, dato che senza la normalità non esisterebbe la diversità, e viceversa.

Emerge un primo problema: a seconda dell’elemento oggettivo che prendiamo in considerazione per determinare la normalità/diversità, ecco che scopriamo di non essere più così sicuri di poter definire cosa sia normale e cosa sia diverso, poiché la verità è che siamo tutti individui, singole persone, ciascuna dotata di sue specifiche capacità, attitudini, abilità ma anche propri limiti, incapacità, inadeguatezze.

A seconda dell’elemento oggettivo che assumiamo a criterio di giudizio e solo confrontando ciascuno di noi con gli altri, ecco che scopriamo che c’è chi è bravo in matematica e chi è portato per le lingue, chi è alto e chi è basso, chi è magro e chi è più in carne, chi ci vede benissimo e chi porta gli occhiali, chi sa dipingere, chi fa bene le torte, chi gioca bene a pallone… insomma, siamo tutti straordinariamente diversi!

Azzardando una provocazione verrebbe da chiedersi: “Ma siamo poi così sicuri di voler essere normali”? Se fosse davvero così, allora perché siamo contenti quando qualcuno ci dice: “Tu sei proprio una persona speciale”?

Essere speciali, in effetti, vuol dire essere diversi!

Dunque un po’ di diversità, in fondo in fondo, non ci dispiace perché impedisce l’omologazione ed il conformismo. Man mano la nostra personalità si rafforza e si fa più adulta, tutti cerchiamo di distinguerci dagli altri, dalla massa, di essere quindi “diversi”.

Evidentemente, per risultarci gradita, questa diversità deve riguardare un aspetto, un’attitudine, un’abilità che rappresenti un “meglio” ed “un di più”. Tutti, del resto, vogliamo il “meglio”.

Purtroppo oggi il “meglio” lo si fa coincidere troppo spesso con il “più”, trascurando a volte il valore positivo del “meno”: meno attività, meno frenesia, meno accumulo di cose da fare, da avere, da usare e poi buttare via… Sarebbe molto importante prendere consapevolezza dell’impossibilità di poter avere, ottenere, essere tutto: nessuno di noi, nella sua vita, potrà mai “avere tutto” ed “essere tutto”. Nessuno basta a se stesso: l’essere umano non è completo in sé, non è sufficiente a sé stesso ma si realizza solo nel rapporto con gli altri; ciascuno di noi ha bisogno degli altri e qualcosa, nel singolo, mancherà sempre: una abilità, una qualità, un elemento, un’esperienza, un’emozione, una sensibilità,…Nella vita, insomma, siamo tutti alle prese, ogni giorno, con i nostri difetti, i nostri limiti, le nostre umane manchevolezze e le nostre inadeguatezze, le nostre dis-abilità. L’ambizione di ognuno dovrà, dunque, essere quella di saper valorizzare le proprie differenze e far fronte, il meglio possibile, ai propri piccoli o grandi handicap.

Ecco che, allora, siamo tutti “diversamente abili”, per un motivo o per un altro.

Occorre pertanto passare dalla cultura dell’handicap a quella della normalità, affermando la diversità di ogni essere umano come condizione normale, quindi come risorsa positiva, patrimonio di cultura, capacità, vitalità.

Questa “biodiversità sociale”, questo riconoscersi tutti uguali ma ciascuno in modo diverso, rappresenta un arricchimento: la mancata accettazione delle diversità conduce all’esclusione, alla discriminazione, al pietismo ed amplifica il pregiudizio verso chi non rientra nella cosiddetta “normalità”.

L’integrazione vera presuppone il capire che la diversità non è un incidente di percorso ma è parte della realtà. Educare alla diversità significa acquisire piena e diffusa consapevolezza di questo dato di fatto, presupposto e requisito indispensabile per superare qualsiasi forma di disagio ed emarginazione dei soggetti “diversi”.

In quest’ottica, si potrebbe arrivare ad affermare che il vero disabile è colui che non riesce ad accettare la figura del “diverso”, dell’altro da sé, diverso per colore della pelle, per cultura, per religione, per orientamento sessuale, ecc….

Ed allora il problema più grande non è la “disabilità dei disabili”, bensì una certa “dis-abilità degli abili”, della società, dei cosiddetti “normali”, troppo spesso incapaci di integrare, di accogliere, di trovare i giusti strumenti per valorizzare la “specialità”.

Dalla “Convenzione ONU sui diritti delle Persone Disabili del 2006”

Gli Stati Parte alla presente Convenzione

  • (e) Riconoscendo che il concetto di disabilità è in continua evoluzione e che la disabilità è il risultato di un’interazione tra persone afflitte da una menomazione e barriere comportamentali e ambientali che ostacolano la loro piena ed effettiva partecipazione alla vita sociale alla pari con gli altri individui
  • (i) Riconoscendo altresì la diversità delle persone disabili
  • (m) Riconoscendo l’apporto significativo concreto e potenziale dato dalle persone disabili al benessere generale ed alla diversità all’interno delle loro comunità, e consapevoli che la promozione del pieno godimento da parte delle persone disabili dei diritti umani e delle libertà fondamentali nonché la piena partecipazione delle persone disabili accresceranno il senso di appartenenza e consentiranno di compiere importanti progressi nello sviluppo umano, sociale ed economico della società e nella lotta alla povertà,
  • (n) Riconoscendo l’importanza che le persone disabili annettono alla loro autonomia ed indipendenza personali, compresa la libertà di compiere le proprie scelte,
  • ….
  • (o) Ritenendo che le persone disabili debbano avere l’opportunità di essere attivamente coinvolte nei processi decisionali relativi alle politiche ed ai programmi, compresi quelli che le riguardano direttamente
  • (v) Riconoscendo l’importanza della fruibilità dell’ambiente fisico, sociale, economico e culturale, delle strutture sanitarie, dell’informazione e della comunicazione, al fine di consentire alle persone disabili il pieno godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali
  • (x) Convinti che la famiglia costituisca il nucleo naturale e fondamentale della società ed abbia diritto ad essere tutelata dalla società e dallo Stato, e che le persone disabili e i loro familiari abbiano diritto a ricevere l’assistenza e la protezione necessarie a consentire loro di contribuire al pieno e paritario godimento dei diritti da parte delle persone disabili

Articolo 1 – Scopo

La presente Convenzione si prefigge lo scopo di promuovere, tutelare e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte di tutte le persone disabili, nonché di promuovere il rispetto della loro dignità intrinseca.

Tra le persone disabili sono comprese le persone che soffrono di menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali durature che, interagendo con barriere di diversa natura, possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione alla vita della società su base paritaria.

La storia di Claudio

“Nel 2002 ho scoperto di essere affetto da sclerosi multipla, una malattia che, progressivamente ma inesorabilmente, mi ha portato a perdere la mobilità degli arti.

Quando ti capita una cosa del genere ti fai delle domande, ti chiedi perché è successo a te, come sarà il futuro e soprattutto che senso ha tutto ciò. La fede mi ha aiutato a comprendere e convivere con questa situazione…..devi trasformare la tua disabilità in un pregio: ora ho tutto il tempo per fare quello che mi è sempre piaciuto e non avevo il tempo di fare – leggere- e riesco a vedere il lato positivo di ciò che mi capita. Ho affinato la mia sensibilità verso le cose che prima vedevo ma non mi godevo: le nuvole che nel cielo cambiano forma, il pettirosso sul ramo. Bellezze che prima vedevo ma non avevo il tempo di guardare.”

A chi posso rivolgermi

Presso l’Azienda Sanitaria Locale dovrebbe essere attiva la “Unità Operativa Disabilità” che promuove interventi basati sulla presa in carico della persona in situazione di handicap, avvalendosi, a livello distrettuale, delle “Equipe Operative Handicap“: sono composte da uno psicologo, assistente sociale, che collaborando con gli assistenti sociali dei Comuni ed i medici specialisti delle Aziende Ospedaliere territoriali.

Servizi dedicati elettivamente alle disabilità sono i Centri Diurni per Disabili (CDD) ed i Centri Socio Educativi (CSE).

Per avere maggiori informazioni

Per avere informazioni su recapiti e indirizzi dei servizi attivati consulta il sito web dell’Azienda Sanitaria Locale.

Libri, film, canzoni

“Uomo allo stato bradipo” – libro autobiografico di Flavio Careddu – 2013 – editore Ilmiolibro.it “La mia lenta, paziente, autoironica battaglia con la sclerosi multipla” (2013, editore Ilmiolibro.it)

A proposito di sentimenti” – Film – Italia – 1999 – Regia: Daniele Segre

https://www.youtube.com/watch?v=liYzCNpnMnA

Il film, partendo dall’esperienza e dal percorso di crescita sviluppato all’interno delle iniziative dell’Associazione Italiana Persone Down, incontra la realtà di 15 giovani con sindrome Down. Con loro esplora sentimenti di quotidianità, scopre storie individuali e di coppia, le gioie e le fatiche di amori possibili, le domande sul presente e sul futuro, i sogni e le perplessità rispetto a una vita autonoma. Con loro riscopre il piacere di manifestare i propri sentimenti e cerca una strada per una felicità possibile.

Gaby una storia vera” – Film – Messico, USA – 1987 – Regia: Luis Mandoki

https://www.youtube.com/watch?v=AuoLqjNR7WM

Dal libro autobiografico di Gaby Brimmer, una scrittrice messicana affetta da paralisi cerebrale che le impedisce di parlare, camminare, muovere le mani. Può solo scrivere con le dita dei piedi ma questo le basterà per ottenere un titolo di studio, avviarsi alla carriera letteraria ed essere abbastanza autosufficiente dopo la morte dei genitori.

Gabrielle: un amore fuori dal coro” – Film – Canada – 2013 – Regia: Louise Archambault

https://www.youtube.com/watch?v=dFsvmmexhWU

Affetta dalla sindrome di Williams, Gabrielle è una giovane donna animata da una contagiosa gioia di vivere e con uno straordinario dono per la musica. Ha incontrato Martin, il suo ragazzo, al centro ricreativo dove cantano insieme in un coro e da allora sono inseparabili. Alla vigilia di un importante festival musicale, Gabrielle fa di tutto per dar prova di autonomia e guadagnare la propria indipendenza. Determinata a vivere con Martin una storia d’amore completa, Gabrielle dovrà affrontare molti pregiudizi ed i suoi stessi limiti per poter vivere pienamente la sua vita.

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Disorientamento

In senso lato il disorientamento è una condizione d’incertezza o d’inefficienza, provocata dall’impossibilità di adeguarsi a una situazione.

In senso figurativo è disorientato chi ha perso i propri punti di riferimento, ideali o pratici.

In un ambiente nuovo, in una situazione nuova o inaspettata ci si può sentire disorientati cioè smarriti, confusi, spaesati.

Nella patologia

In diverse malattie mentali si verifica la perdita della nozione dei rapporti fra se stessi e l’ambiente, tale per cui la persona non sa dove si trova (disorientamento spaziale), in che ora ed anno (disorientamento temporale), chi sono le persone che lo attorniano.

Il disorientamento temporale è tipico della demenza senile: gli avvenimenti più recenti sono dimenticati e si forma nel tempo una lacuna più o meno estesa, che viene sommariamente colmata da rappresentazioni fantastiche; il ricordo della vita risulta accorciato per cui la persona si attribuisce un’età inferiore a quella reale.

Quali sono le cause del disorientamento?

Il disorientamento può avere molteplici cause, tra cui:

  • lesioni
  • malattie
  • farmaci
  • fattori ambientali
  • abuso di sostanze tossiche.

A chi posso rivolgermi

Se ti senti disorientato rispetto a ciò che stai vivendo puoi rivolgerti al tuo medico di medicina generale che saprà accompagnarti ad individuare il percorso più adatto alla tua situazione.

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Disperazione

Con il termine disperazione si intende uno stato di abbattimento, di sconforto, provocato dall’incapacità di reagire di fronte alle avversità.

Di fronte ad una diagnosi di malattia infausta o degenerativa la persona ed i suoi familiari possono provare un sentimento di assoluta impotenza e disperazione.

È una condizione che richiede attenzione, poiché chi è disperato si sente bloccato, immobile, incapace a reagire e prendere decisioni. Può essere necessario in questi casi ricorrere al supporto di uno psicologo che offra gli strumenti per reagire alla situazione con lucidità.

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Dolore

Il dolore rappresenta per l’organismo un potente mezzo di difesa da potenziali minacce, ma diventa un nemico implacabile quando si manifesta come sintomo di una malattia cronica e inguaribile.

Possiamo descrivere il dolore come composto da

  • una parte percettiva (la nocicezione) che permette la ricezione ed il trasporto al sistema nervoso centrale degli stimoli che indicano una potenziale lesione per l’organismo
  • una parte esperienziale (quindi del tutto personale, la vera e propria esperienza del dolore) che è lo stato psichico collegato alla percezione di una sensazione spiacevole.

Con la Legge 38/2010 il dolore viene identificato come quinto parametro vitale, da rilevare e monitorare nel tempo.

Il dolore è fisiologico, un sintomo vitale/esistenziale, un sistema di difesa, quando rappresenta un segnale d’allarme per una lesione tissutale, essenziale per evitare un danno. Diventa patologico quando si automantiene, perdendo il significato iniziale e diventando a sua volta una malattia (sindrome dolorosa).

Epidemiologia del dolore

In Italia il dolore cronico affligge 1 cittadino su 4 (circa 15 milioni di italiani), per un periodo medio di 7,7 anni (1/5 circa dei pazienti soffre di dolore per oltre 20 anni). Il problema non affligge solo i pazienti affetti da patologie oncologiche, ma anzi è particolarmente sentito nei pazienti affetti da patologie croniche quali artriti, artrosi, fibromialgia, ecc.

Tipi di dolore

Dal punto di vista della durata temporale, il dolore è classificabile come:

  • transitorio: scompare con la cessazione dello stimolo nocicettivo, non vi è danno dei tessuti
  • acuto: di breve durata, causato da una causa esterna o interna evidente; si ha, in genere, un danno dei tessuti; scompare con la riparazione del danno
  • recidivo (es. nelle in cefalgie)
  • persistente: legato alla persistenza dello stimolo nocicettivo
  • cronico: produce profonde modificazioni della personalità e dello stile di vita della persona. Il dolore cronico presente nelle malattie degenerative, neurologiche, oncologiche, specie nelle fasi avanzate e terminali di malattia, assume caratteristiche di “dolore globale”, legato a motivazioni fisiche, psicologiche e sociali.

L’esperienza del dolore

L’esperienza del dolore è determinata da fattori affettivi, socio-culturali e dalle esperienze passate.

Il dolore può essere utile e non utile; diventa utile quando rappresenta un campanello d’allarme e ci fa capire che siamo di fronte a un potenziale problema per il nostro organismo. Tutti i dolori che non hanno questo obiettivo sono inutili e devono essere trattati sistematicamente.

Il fatto che sia una esperienza personale implica un valore soggettivo che non è facilmente quantificabile. In altre parole è assai difficile misurare e valutare un dolore nella sua completezza.

Dolore e qualità di vita

Il dolore condiziona in maniera negativa la capacità di condurre una vita normale, determina infatti

  • difficoltà a svolgere le attività di tutti i giorni, come i lavori domestici o le occupazioni familiari e ricreative
  • diminuzione della capacità lavorativa
  • alterazione dei rapporti familiari e sociali
  • alterazione della qualità del sonno e delle relazioni sessuali
  • alterazione dello stato emotivo (senso di isolamento e solitudine, ansia, depressione, insofferenza ed incapacità di tollerare il dolore sperimentato)

Il “dolore globale” del paziente cronico

Valutare il dolore

Ogni individuo reagisce in maniera personale ad un determinato stimolo doloroso, sulla base delle esperienze pregresse e di quella che viene definita la soglia del dolore. Ogni persona è in grado di valutare, secondo il suo parametro, quanto è forte il suo dolore oggettivandolo tramite una misurazione.

Ogni individuo apprende il significato della parola dolore attraverso le esperienze correlate ad una lesione durante i primi anni di vita. Essendo un’esperienza spiacevole, alla componente somatica del dolore si accompagna anche una carica emozionale. Il dolore pertanto è sempre soggettivo ed è molto importante che il paziente impari a misurare il suo dolore e a prenderne nota in un diario giornaliero, ciò anche per valutare se la terapia antalgica impostata è efficace.

È importante che il dolore venga misurato con regolarità anche per poter capire se la terapia antalgica impostata ha effetto.

Terapia del dolore

Il dolore è un segnale di allarme che ci avverte che qualcosa non va nel nostro corpo.

Il dolore deve essere misurato dagli operatori sanitari per poterlo controllare adeguatamente: questa rilevazione è un diritto del cittadino.

Il dolore è una sensazione soggettiva, influenzata da vari fattori individuali. Per tali motivi la collaborazione del malato diviene fondamentale affinché sia individuata la terapia più adeguata. Attualmente disponiamo di una vasta gamma di farmaci, dai più leggeri ai più potenti, che permettono di controllare il dolore in base alla sua intensità. Si tratta di farmaci sicuri che possono essere presi a tutte le età. Se assunti correttamente, sotto controllo medico, i derivati dell’oppio come la morfina, sono degli eccellenti analgesici. L’assunzione di questi farmaci per un dolore acuto o cronico non abbrevia la vita e non altera lo stato di coscienza.

Ci sono anche alcune tecniche che possono essere utilizzate singolarmente o come supporto ai farmaci: terapie fisiche e tecniche psicologiche che procurano analgesia, rilassamento, controllo dei vissuti emotivi come ansia e paura.

… e la legge cosa dice?

La legge n. 38 del 2010 è da tutti riconosciuta come una sintesi del percorso compiuto dal movimento delle cure palliative in Italia e stabilisce in modo ufficiale la nascita delle reti per la terapia del dolore e per le cure palliative. Con questo provvedimento il legislatore sancisce il dovere etico di offrire al malato ed alla sua famiglia il diritto di accedere alle cure palliative ed alla terapia del dolore. La sofferenza non è più un aspetto inevitabile di un percorso di malattia, un semplice sintomo, ma diventa una dimensione che va affrontata con serenità, e, per il sistema professionale, diventa un obbligo occuparsene con competenza.

Rete di terapia del dolore

La rete di terapia del dolore opera per migliorare la qualità della vita delle persone affette da dolore cronico, indipendentemente dalla causa, riducendo il grado di disabilità della persona malata e favorendo il suo reinserimento nel contesto sociale e lavorativo. Sono presenti centri periferici di prima valutazione e centri di riferimento superspecialistici diffusi su tutto il territorio regionale.

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Emergenze

Il nostro Servizio Sanitario garantisce l’accesso gratuito a numerosi servizi dedicati ad affrontare i problemi di salute.

Perché si possa usufruire del servizio giusto al momento del bisogno, è necessario conoscerli, sapere che cosa offrono e quali sono le modalità corrette di accesso.

L’utilizzo corretto dei servizi da parte di tutti i cittadini consente di renderli più efficaci e di avere le risposte più appropriate. In molti casi infatti il medico di famiglia, che conosce l’assistito e la sua storia, può inquadrare più rapidamente un problema rispetto ad uno specialista o al medico del pronto soccorso. In altri casi, quando la tempestività dell’intervento è fondamentale per evitare aggravamenti e sono necessarie competenze o attrezzature specialistiche, è sicuramente consigliato attivare il 118/112 o recarsi in pronto soccorso.

Nella tabella sottostante sono riassunti i diversi servizi disponibili e le indicazioni per utilizzarli correttamente; è inoltre previsto uno spazio nella seguente tabella per inserire i numeri di telefono utili (del medico, della guardia medica, del pronto soccorso più vicino), che è opportuno tenere a disposizione per non perdere tempo a cercarli nel momento del bisogno.

SERVIZIO QUANDO ACCEDERE
Medico di Medicina Generale (MMG) Per affrontare i problemi legati a malattie acute e croniche.

Garantisce anche consulenze telefoniche che possono offrire consigli per affrontare alcuni semplici problemi di salute o, in casi urgenti, orientare verso altri servizi

Medico di continuità assistenziale

(ex guardia medica)

Nelle fasce orarie in cui il medico di medicina generale ed il pediatra di famiglia non sono presenti e la consulenza del medico non può essere rinviata alla riapertura dell’ambulatorio
Numero unico di emergenza Deve essere attivato in tutte le situazioni di urgenza ed emergenza in cui è necessario garantire che operatori esperti (soccorritori formati, infermieri o medici di pronto soccorso) arrivino tempestivamente sul luogo in cui si è verificato il problema di salute.

Va attivato in tutti i casi in cui non è consigliato muovere o trasportare l’assistito con i normali mezzi di trasporto

Pronto soccorso ospedaliero L’accesso al pronto soccorso va riservato alle situazioni di effettiva urgenza, non gestibili dal medico di medicina generale/pediatra di famiglia o dalla guardia medica e quando il trasporto su una comune automobile e senza precauzioni specifiche è sicuro e non rischia di compromettere ulteriormente lo stato di salute dell’assistito

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Emiplegia-emiparesi

Si parla di emiplegia o emiparesi quando il movimento volontario risulta compromesso in una metà del corpo, totalmente (nella emiplegia) o parzialmente (nella emiparesi), a seguito di lesioni che interessano le sezioni del sistema nervoso adibite al controllo motorio. Diverse possono essere le cause, ma più frequentemente si tratta di un accidente vascolare: trombosi, emorragia, embolia. Quasi sempre la compromissione motoria si osserva nel lato opposto a quello della lesione del sistema nervoso centrale. Sintomi comuni sono: l’alterazione del tono muscolare nella metà del corpo colpita (flaccidità prima, spasticità in seguito), l’atteggiamento degli arti (in flessione il superiore, in estensione l’inferiore), l’andatura falciante, l’alterazione dei riflessi che segue l’andamento dei disturbi del tono. Può essere associata anche l’incapacità di parlare.

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Equipe Operative Handicap

Presso l’ASL di Brescia è attiva la “Unità Operativa Disabilità” che promuove interventi basati sulla presa in carico della persona in situazione di handicap, avvalendosi, a livello distrettuale, delle “Equipe Operative Handicap“: sono composte da uno psicologi e da assistenti sociali, che collaborando con gli assistenti sociali dei Comuni ed i medici specialisti delle Aziende Ospedaliere territoriali; svolgono le seguenti attività:

  • presa in carico, elaborazione e gestione del progetto di intervento
  • valorizzazione delle risorse familiari
  • integrazione scolastica (certificazione L. 104/92,…)
  • orientamento post scolastico
  • integrazione sociale
  • proposta di ammissione o di dimissione dai servizi e/o strutture dell’area disabilità
  • raccordo tra famiglia, rete dei servizi e volontariato

Quanto costa

Il servizio è gratuito.

Posso richiederlo?

Il servizio è rivolto alle persone con disabilità ed alle loro famiglie.

A chi posso rivolgermi

 L’interessato può rivolgersi all’Equipe Operativa Handicap del proprio Distretto di residenza.

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Enterostomia

Il termine stomia deriva dal greco “stòma” e significa apertura. Nel linguaggio medico, quando l’apertura riguarda il collegamento di un tratto dell’intestino con l’esterno, prende il nome di enterostomia.

L’enterostomia viene effettuata con un intervento chirurgico e porta ad una modifica della via di eliminazione delle feci, che vengono convogliate in una sacca di raccolta che aderisce alla pelle.

La persona portatrice di enterostomia necessita di un adattamento delle abitudini di vita quotidiana e della propria immagine corporea.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “La persona con enterostomia”.

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Famiglia

Assistere un proprio caro genera dei cambiamenti all’interno di tutto il sistema familiare. I familiari assumono gradualmente la totale responsabilità del malato e la loro vita viene turbata sia dalla malattia che dal carico assistenziale.

Si perdono i ruoli precedenti (figlio, padre, marito, moglie) per assumere quelli di malato e caregiver, devono essere affrontati aspetti organizzativi e pratici (chi presta assistenza, quando, dove, per quanto tempo al giorno,..) ma anche esistenziali (“quanto tempo resta per me?”, “potrà capitare anche a me?”), psicologici e sociali (sentimenti ambivalenti verso l’assistito, progressivo ritiro dalla vita sociale).

L’impatto della presenza della persona malata in famiglia dipende anche dal grado di vicinanza/ presenza “fisica” quotidiana; questo influenza la vita quotidiana della caregiver e del resto della famiglia soprattutto da un punto di vista pratico.

Convivere con la persona assistita significa un minor grado di autonomia ed una situazione oggettivamente più pesante:

  • l’assistenza rischia di diventare totalizzante
  • i momenti e gli spazi di riposo (anche mentale) del caregiver dal malato si assottigliano
  • il caregiver tende a perdere la libertà poiché hapaura di lasciare il malato da solo
  • la vita sociale del caregiver e degli altri membri della famiglia è limitata.

Reazioni emotive dei familiari alla malattia

  • Depressione e angoscia legate all’esperienza di perdita ed al tentativo di recuperare la persona per come “era prima”
  • Rabbia verso di sé, verso l’assistito, verso i sanitari, legata all’aumento di stress per la crescente responsabilità
  • Senso di colpa legato alla rabbia nei confronti dell’assistito e sé stessi per il timore di non essere adeguati al compito
  • Solitudine, tendenza all’isolamento, alla perdita dei rapporti sociali, che rendono l’assistenza ancora più gravosa.

L’importanza di non essere soli

Essere soli o condividere il compito di “assistenza” con altri familiari o professionisti è molto diverso:

  • cambia moltissimo il vissuto di solitudine e oppressione che deriva dal ricoprire da soli il ruolo di caregiver
  • è di grande aiuto avere la possibilità di delegare alcuni aspetti, come la gestione della relazione con i sanitari e della parte burocratica.

L’inserimento di personale di assistenza può essere fonte di stress per il caregiver, specie se anziano.

Le difficoltà di delega possono essere legate alla sfiducia nel personale, al senso di onnipotenza, a sensi di colpa (“lo abbandono, soffrirà”), alla convinzione di venir meno ad un dovere (“dovrei gestire io la situazione”).

Libri, film, canzoni

La famiglia savage” – Film – USA – 2007 – Regia: Tamara Jenkins

https://www.youtube.com/watch?v=zAggpIFHo_4

Davanti alla difficile decisione di inserire in una casa di cura il padre, così a lungo temuto ed evitato e che ora sta lentamente sprofondando nella demenza, i due fratelli imparano a conoscersi e a conoscere meglio il proprio genitore. Attraverso le sofferenze del padre i due riescono ad uscire dal proprio isolamento ed iniziano a pensare nuovamente le proprie vite. Il film tratta il tema della vecchiaia, della famiglia e della morte senza mai scadere nel melodramma.

Paradiso amaro” – Film – USA – 2011 – Regia: Alexander Payne

https://www.youtube.com/watch?v=V9FQCeBlNjw

Racconta la storia di un marito e padre da sempre indifferente e distante dalla famiglia finquando la moglie rimane vittima di un incidente in barca che lo costringe a riavvicinarsi alle due figlie e quindi a riconsiderare il suo passato e valutare un nuovo futuro.

Il film esplora il confine fra la sofferenza causata dal distacco e la rabbia che spesso si prova per l’oggetto del distacco. Con grande sensibilità ci mostra gli stati d’animo altalenanti di chi si sta preparandosi ad una perdita e passa dal risentimento alla quasi indifferenza, dall’incredulità alla rassegnazione, affronta infine il mistero della morte e solleva tutte quelle domande che ci facciamo quando uno dei nostri cari sta per lasciarci.

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Farmaci

Il farmaco rappresenta una delle sintesi più alte del progresso compiuto dall’umanità nella sua storia. La lotta contro il dolore, la malattia e la morte è infatti da sempre la priorità assoluta del genere umano, il cui percorso di sviluppo è stato segnato e reso possibile -anche se non soprattutto- dalle progressive conquiste della scienza medica, favorita e sostenuta dal decisivo contributo di ricerca dell’industria farmaceutica.

Il grande risultato rappresentato dalla possibilità di disporre con facilità di prodotti che curano e guariscono le malattie, consentendo di prolungare l’aspettativa di vita a livelli di durata e di qualità impensabili appena qualche decennio fa, rischia però di generare il pericoloso “effetto collaterale” di atteggiamenti eccessivamente disinvolti nel ricorso al farmaco. Sono infatti sempre di più le persone che tendono a non considerare o a sottovalutare le ineliminabili criticità del farmaco e i rischi inevitabilmente connessi al suo impiego: non va mai dimenticato che si parla di una sostanza che, quando introdotta in un organismo vivente, determina una o più variazioni funzionali. Il progressivo processo di “banalizzazione” rischia di trasformare il farmaco in ciò che non è, ovvero un semplice prodotto di consumo, senza tener conto delle precauzioni che vanno tenute per evitare che un prodotto che dovrebbe essere utile e benefico diventi invece dannoso e tossico.

I farmaci vanno usati in maniera responsabile, consapevole ed appropriata: conservarli ed assumerli nella maniera corretta può segnare la differenza tra salute e malattia, tra guarigione e insorgenza di complicazioni, tra spreco e corretto uso di risorse preziose per la salute di tutti.

Come conservare correttamente i farmaci

In tutte le case sono presenti dei farmaci: è bene sapere che per mantenere la loro efficacia è necessario attenersi ad alcune semplici regole di conservazione.

I farmaci vanno conservati:

  • sempre nella confezione originale, senza buttare il foglietto illustrativo: non travasare mai i farmaci in contenitori diversi
  • normalmente a temperatura ambiente, in luogo asciutto e al riparo dalla luce diretta
  • in un armadietto chiuso e lontano dalla portata dei bambini
  • alcuni farmaci devono essere conservati in frigorifero; possono essere messi nella parte più alta, lontani dal fondo e MAI nella cella del congelatore.

Attenzione:

  • all’umidità (evitare il bagno e la cucina) perché capsule, compresse, ecc. possono deteriorarsi precocemente
  • durante la stagione estiva l’ambiente nel quale è posto l’armadietto dei medicinali non deve superare i 30 gradi
  • non lasciare farmaci in auto perché troppo esposti alle variazioni di temperatura
  • molti farmaci, una volta aperti, scadono in pochi giorni (colliri, gocce, ecc.).

La scadenza dei farmaci

  • Su tutte le confezioni è riportata la data di scadenza, termine ultimo entro il quale i farmaci, conservati nel rispetto delle indicazioni, possono essere utilizzati [inserire immagine]
  • le confezioni aperte possono avere una validità ridotta: controllare le indicazioni sul foglietto illustrativo
  • i farmaci scaduti vanno portati negli appositi contenitori che si trovano all’esterno delle farmacie

Come utilizzare correttamente i farmaci

Farmaci per uso orale (per bocca )

Attenersi alle istruzioni circa gli orari e le modalità di ingestione (a stomaco pieno o vuoto); alcune compresse vanno sciolte in bocca, altre masticate, altre ancora possono essere divise, mentre le capsule devono necessariamente essere inghiottite intere.

Per le gocce e gli sciroppi è necessario sempre usare il contagocce o il misurino presente nelle confezioni. Qualora vi siano problemi di deglutizione chiedere al medico se è possibile la sostituzione con altra forma farmaceutica o altra via di somministrazione.

Cerotti transdermici

Sono cerotti che rilasciano gradualmente il farmaco che viene assorbito attraverso la pelle. Il cerotto va applicato su una zona della pelle asciutta, integra, pulita e senza peli.

Applicarlo premendo con cura la parte adesiva sulla superficie della pelle. Se nell’applicazione il cerotto si rompesse o non aderisse alla pelle è bene rimuoverlo e sostituirlo con uno nuovo. Non prolungare più del tempo prescritto il posizionamento del cerotto perché potrebbe creare disturbi.

Colliri

I colliri sono farmaci molto particolari in quanto sono sterili e devono mantenere tale caratteristica per evitare l’insorgenza di infezioni agli occhi. Prima di utilizzarli è necessario lavarsi accuratamente le mani. Per mettere le gocce è necessario inclinare la testa all’indietro e allontanare, con il dito indice, la parte esterna della palpebra inferiore dell’occhio. Lasciare cadere la goccia senza toccare l’occhio con il contagocce, rilasciare la palpebra e chiudere l’occhio. Chiudere bene la confezione dopo l’uso. Se si devono mettere più colliri lasciare trascorrere almeno 5 minuti tra uno e l’altro. È bene annotare sulla confezione la data di apertura perché condiziona la scadenza del farmaco (leggere bene il foglietto illustrativo).

Gocce auricolari (otologiche)

Prima di procedere è necessario lavarsi le mani. Piegare la testa in modo da rivolgere verso l’alto l’orecchio in cui introdurre le gocce. Per rendere più accessibile il condotto dell’orecchio tirare delicatamente il lobo verso l’alto e indietro, far cadere le gocce nell’orecchio mantenendo la testa piegata per almeno un minuto. Nella manovra è necessario evitare che il beccuccio del contenitore del farmaco tocchi l’orecchio. Chiudere bene la confezione dopo l’uso. Leggere scrupolosamente il foglio illustrativo contenuto nella confezione facendo attenzione alla eventuale scadenza del farmaco una volta aperto il flacone.

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Fatica

La fatica è lo sforzo fisico o mentale compiuto nell’attuazione di un lavoro o di un’altra attività che porta alla diminuzione progressiva della resistenza fisica, della volontà e dell’attenzione.

Assistere è un’attività che comporta fatica; lo dimostrano l’esperienza quotidiana dei caregiver ed i risultati di molti studi.

Risultati di una ricerca: la fatica di assistere

Nel 2010 l’ASL di Brescia ha realizzato una ricerca per raccogliere informazioni dai familiari e dai professionisti che assistono a domicilio persone non autosufficienti, in merito agli aspetti positivi, alle criticità ed alle possibili aree di miglioramento per sostenere le famiglie coinvolte in questo impegnativo percorso.

L’analisi dei dati ha permesso di delineare le caratteristiche di chi assiste, di evidenziare l’impegno ed i vissuti dei familiari, la loro soddisfazione per quanto riescono a fare ed il bisogno di momenti di sollievo dall’attività di assistenza, nonché di aiuto per essere sempre più preparati a gestire tale ruolo.

In particolare, l’analisi dei questionari compilati dai familiari ha evidenziato che i caregiver svolgono attività di assistenza da un periodo di tempo che va dai 2 ai 10 anni e ben il 18,0% degli intervistati da più di 10 anni. Il tempo dedicato mediamente all’attività di assistenza supera le 12 ore giornaliere nel 53,9% dei casi, seguito da un 14,6% che ne destina tra le 5 e le 8 ore al giorno.

Tempo mediamente dedicato dai familiari all’assistenza

Nel 59,2% dei casi collabora all’assistenza (oltre agli operatori previsti da piano di cura concordato con l’ASL) anche un altro familiare e nel 27,2% anche un/una badante; il 14,8% dichiara di non avere supporti.

Tra gli stati d’animo/sensazioni più avvertiti durante l’attività di assistenza sono evidenziate la fatica (20,0%), la paura di commettere errori (14,1%), il senso di utilità (13,4%), l’ansia (12,2% ). L’ansia si manifesta più o meno costantemente (variando dal 20,0% al 31,9%) in tutti gli intervistati, indipendentemente dalla durata del periodo di assistenza, mentre la fatica aumenta proporzionalmente alla durata del periodo di assistenza (dal 30,0% in chi assiste in meno di due mesi al 54,3% in chi assiste da più di dieci anni).

La consapevolezza di svolgere un ruolo faticoso è importante. Riconoscere i propri limiti e cercare l’aiuto di cui si ha bisogno consente di assistere meglio e di affrontare la vita con maggiore serenità.

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Fede

La fede e la ragione molto spesso sono collocate in campi totalmente separati e opposti, e molti conside- rano qualsiasi tipo di credenza – in particolare quella religiosa – come una paralisi della ragione: una sorta di stampella intellettuale.

Filosofi del XX secolo come Ludwig Wittgenstein e Josè Ortega y Gasset hanno però rilevato che ogni
persona vive, agisce e pensa all’interno di un sistema di convinzioni che è anche inconscio e senza il quale sarebbe impossibile qualsiasi pensiero o azione. La ragione, in questo senso, è fondata sulla “fede”, sulla nostra convinzione. Secondo questa interpretazione la fede è la base della vita, non abbiamo davvero la possibilità di scegliere se credere o no: possiamo però scegliere in cosa credere e quale sarà la sostanza del nostro credere.

La storia di Gianfranco

“Nel 2002 ho scoperto di essere affetto da sclerosi multipla, una malattia che, progressivamente ma inesorabilmente, mi ha portato a perdere la mobilità degli arti.

Quando ti capita una cosa del genere ti fai delle domande, ti chiedi perché è successo a te, come sarà il futuro e soprattutto che senso ha tutto ciò.

All’inizio cercavo risposte in modo spasmodico; da credente le ho cercate nelle sacre scritture ma non le trovavo. Poi, ad un cero punto, leggendo le lettere di San Paolo, ho avuto un flash che mi ha fatto capire perché stavo soffrendo: ho avuto un’illuminazione e tutto mi è apparso chiarissimo.

Da quel momento ho cambiato completamente rotta: prima era uno studio di ricerca nella religione delle risposte che cercavo rispetto alla mia sofferenza, poi ho scoperto l’importanza della parola e me ne sono innamorato. Tutto è partito dalla voglia di capire le parole: la parola diventa carne e mi dà la forza di andare avanti.

In questi 12 anni mi sono dedicato alle letture religiose per trovare risposte: tutto ti dà qualche cosa ma non c’è un qualcosa che ti dà tutto.

La fede ha avuto ed ha una parte preponderante, senza quella non so come poterei andare avanti. Mi ha dato una marcia in più; se non hai questa fortuna ti manca qualcosa.

Sono sempre stato credente e praticante ma in maniera superficiale finché non ho fatto il passo fondamentale: abbandonarsi a Dio. Finché non fai questo, non riesci a dare senso a quello che vivi, tutto non ha senso, scopo, significato. La voglia di capire ti fa prendere una decisione e decidi di abbandonarti a Dio: da quel momento in poi tutto diventa più facile, più leggero e riesci a vedere il bello anche nelle cose che per gli altri sono normali. Bisogna abbandonarsi a Dio e dirsi che, se tu delle risposte non le hai, lui comunque le ha.

Non sempre questo riesce. La fede è ciò che mi dà la forza ma ci sono anche momenti bui. Da un mese sono in crisi anche perché sono stato male e, quando stai male, tutto è più duro. Per superare questi momenti devo pregare, non devo pensare. Se prego sto meglio, riesco a vedere con lucidità e trovo le soluzioni: più cerchi di contrastare una cosa e peggio stai, più riesci ad abbandonarti nelle braccia di Dio e meglio stai”.

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Fine vita

Consentire ad una persona di lasciarci senza creare in lui un senso di colpa o di inadeguatezza è il più grande regalo d’addio che si possa offrire al nostro caro in punto di morte. Dire addio è sicuramente doloroso. Il commiato potrà essere ripetuto diverse volte in diversi modi. Sentire le vostre parole, avere la vostra benedizione, crea un fondamento di fiducia che fa sì che il vostro caro possa sentirsi sicuro nell’andarsene.

Affrontare le questioni importanti

Chi sa che la propria esistenza sta volgendo al termine riflette sulla propria vita ed in ciò non deve sentirsi solo.

È benefico per la persona che se ne sta andando poter parlare apertamente e serenamente delle questioni per lui importanti, che gli creano preoccupazione, ansia, tensione.

Se ve la sentite, affrontate con il vostro caro le questioni per lui maggiormente significative:

  • cosa sente di dover ancora terminare
  • cosa vuole che voi facciate per mettere in ordine i suoi affari personali
  • se ci sono problemi da risolvere o questioni da affrontare
  • cosa pensa della morte, cosa pensa succeda durante e dopo la morte
  • cosa può aiutarlo nei suoi sentimenti di paura o tristezza
  • chi vuole che ci sia con lui durante il trapasso
  • come vuole che siano celebrate le sue esequie.

Le persone in fase terminale hanno bisogno di presenze positive e solide, che le incoraggino ad affrontare queste questioni, che ascoltino e forniscano supporto. Sebbene questi temi siano dolorosi ed impegnativi, l’affrontarli in maniera serena contribuisce a sciogliere tensioni e favorisce la pace interiore.

Accompagnare

Una morte prevista non è un emergenza. Tener presente ciò vi permetterà di vivere al meglio il prezioso tempo che vi rimane da trascorrere con il vostro caro, fino all’ultimo momento di vita.

Essere presenti fino alla fine è molto importante.

Per aiutare il vostro amato nel trapasso è utile:

  • toccarlo, tenergli la mano, strofinargliela
  • dirgli che lo amate e se lui non è in grado di rispondere dirgli “Penso che anche tu me ne voglia”
  • perdonarlo per le sue mancanze, comportamenti, parole. Se non è in grado di rispondere dirgli “ E penso che anche tu perdonerai me”
  • parlare della vostra comune spiritualità
  • condividere con il vostro caro i vostri migliori ricordi con lui, dirgli perché lui è importante per voi, esprimere la gratitudine che provate per lui
  • dargli il permesso di andarsene.

Libri, film, canzoni

La famiglia savage” – Film – USA – 2007 – Regia: Tamara Jenkins

https://www.youtube.com/watch?v=zAggpIFHo_4

Davanti alla difficile decisione di inserire in una casa di cura il padre, così a lungo temuto ed evitato e che ora sta lentamente sprofondando nella demenza, i due fratelli imparano a conoscersi e a conoscere meglio il proprio genitore. Attraverso le sofferenze del padre i due riescono ad uscire dal proprio isolamento ed iniziano a pensare nuovamente le proprie vite. Il film tratta il tema della vecchiaia, della famiglia e della morte senza mai scadere nel melodramma.

La fine è il mio inizio” – Film – Italia – 2011 – Regia: Jo Baier

https://www.youtube.com/watch?v=7qEr1VXG33U

Tratto dall’omonimo romanzo di Tiziano Terzani, il film racconta gli ultimi giorni di vita passati in famiglia del famoso giornalista.  Al termine della sua vita densa di avvenimenti, il grande viaggiatore, appassionato giornalista e autore di libri di successo, si ritira a vivere con sua moglie nell’appartata casa in Toscana. Vede chiaro in se stesso ed è preparato a chiudere il cerchio della sua vita. Lo sconvolgente viaggio dentro sé stesso, quando a causa del cancro si congeda dal giornalismo e si apre ad esperienze spirituali in Asia, diventa per lui l’esperienza decisiva che gli rende possibile guardare alla morte non come un’interruzione ma come parte di un’esperienza meravigliosa durata tutta la sua vita.

Paradiso amaro” – Film – USA – 2011 – Regia: Alexander Payne

https://www.youtube.com/watch?v=V9FQCeBlNjw

Racconta la storia di un marito e padre da sempre indifferente e distante dalla famiglia finquando la moglie rimane vittima di un incidente in barca che lo costringe a riavvicinarsi alle due figlie e quindi a riconsiderare il suo passato e valutare un nuovo futuro.

Il film esplora il confine fra la sofferenza causata dal distacco e la rabbia che spesso si prova per l’oggetto del distacco. Con grande sensibilità ci mostra gli stati d’animo altalenanti di chi si sta preparandosi ad una perdita e passa dal risentimento alla quasi indifferenza, dall’incredulità alla rassegnazione, affronta infine il mistero della morte e solleva tutte quelle domande che ci facciamo quando uno dei nostri cari sta per lasciarci.

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Fisioterapista

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Forza

La forza d’animo è quella risorsa che ci permette di superare delusioni, sconfitte, tensioni, lutti e di continuare, più forti, il cammino dell’esistenza. La si può chiamare anche capacità di reagire, riferendosi a quell’insieme di risposte positive che ciascuno di noi mette in atto quando si trova a dover affrontare momenti e passaggi difficili o anche veri e propri traumi.

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Girello

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Gruppo di auto-aiuto

I gruppi di auto-aiuto sono piccoli gruppi formati da persone che, trovandosi a vivere situazioni simili, condividono le stesse problematiche e difficoltà. Si costituiscono volontariamente per cercare di soddisfare un bisogno, superare un problema, ottenere un cambiamento in maniera reciproca.

Non si utilizzano operatori professionali, se non per un ruolo definito e mai centrale (facilitatore), poiché la caratteristica dell’autonomia è fondamentale in un gruppo di supporto.

Ci sono diversi tipi di gruppi di auto-aiuto: quelli formati da persone che condividono un handicap o una malattia cronica, quelli costituiti da persone che vogliono cambiare una abitudine, un comportamento (ad esempio gli Alcolisti Anonimi), quelli organizzati da familiari di persone con gravi problemi, gruppi di persone che attraversano un periodo di crisi (un lutto, una separazione), o un periodo positivo ma che cambia radicalmente le loro vite (es. nascita di un figlio) o, infine, persone che devono affrontare una situazione o un cambiamento che influisce sulle loro identità (ad esempio, la menopausa o il pensionamento).

L’intento comune di tutti i gruppi di auto-aiuto è quello di trasformare coloro che domandano aiuto in persone in grado di fornirlo, aumentando la padronanza ed il controllo sui problemi.

All’interno del gruppo, infatti, ogni persona che inizialmente si percepisce spesso solo come bisognosa d’aiuto, può sperimentare d’essere persona in grado di dare aiuto; da soggetto passivo, quindi, diviene soggetto attivo, verso se stesso e verso gli altri.

Perché frequentare un gruppo di auto-aiuto

  • Per confrontarsi e condividere i propri sentimenti ed emozioni in un clima di supporto reciproco (conoscere persone che hanno attraversato o stanno attraversando le stesse difficoltà, fa sentire meno soli e aiuta a capire che sentimenti e reazioni che sembrano “cattivi” o “folli “, non sono affatto tali)
  • per rompere l’isolamento e stabilire nuove relazioni di mutuo aiuto ed amicizia
  • per imparare a gestire meglio lo stress attraverso lo scambio di esperienze (incontrare persone che hanno superato gli stessi problemi o hanno trovato modi ottimali per affrontarli e gestirli può regalare speranza e ottimismo)
  • per rendersi conto che alcuni problemi non hanno soluzione, per cui bisogna accettare la situazione così com’è.

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Hospice

La definizione che si trova all’articolo 2 della legge 38/2010 descrive così l’hospice: “L’insieme degli interventi sanitari, socio-sanitari e assistenziali nelle cure palliative erogati ininterrottamente da équipe multidisciplinari presso una struttura, denominata «hospice»”.

In realtà l’hospice nella sua complessità richiede una definizione più articolata che tenga conto degli aspetti clinici, organizzativi e psicosociali che lo caratterizza.

Sarebbe profondamente sbagliato identificare l’hospice come il luogo dove si va a morire (anche se questo può succedere) ma anche come un normale reparto ospedaliero: in esso, infatti, tutto è orientato all’ottenimento della miglior qualità di vita compatibile con la condizione di malattia in quei casi in cui, sia per le condizioni cliniche sia per le condizioni psicosociali, non siano possibili cure palliative domiciliari.

Con questo obiettivo collaborano medici, infermieri, operatori sociosanitari e socio-assistenziali, psicologi, fisioterapisti, dietologi ed assistenti religiosi e spirituali interagendo, ognuno con la propria competenza, per offrire le migliori cure ai pazienti che si stanno avvicinando alla fine della vita.

In hospice sono possibili anche brevi ricoveri di sollievo per consentire alla famiglia di recuperare le forze, a volte logorate da lunghe assistenze, per poi continuare le cure domiciliari.

Dal punto di vista logistico l’hospice è caratterizzato da camere singole con un divano o una poltrona letto per consentire una permanenza anche notturna ad un familiare oltre ad un bagno privato: il tutto per assicurare a malati e famiglie la massima riservatezza ed il massimo comfort.

Si potrebbe definire l’hospice come il prolungamento della casa, un luogo accogliente e confortevole in cui, insieme a buone cure, si offra anche una buona relazione umana che sappia accompagnare in momenti tanto difficili ed impegnativi sia per chi si avvicina alla morte, sia per le persone care che li assistono.

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Ictus

L’ictus cerebrale (dal termine latino Ictus che letteralmente significa ‘colpo’) è una lesione cerebrovascolare causata dall’interruzione del flusso di sangue al cervello dovuta all’ostruzione (ictus ischemico) o alla rottura (ictus emorragico) delle arterie che lo attraversano ed irrorano.

Quando un’arteria nel cervello scoppia o si ostruisce, fermando o interrompendo il flusso di sangue, i neuroni, privati dell’ossigeno e dei nutrimenti necessari anche solo per pochi minuti, vanno incontro a morte.

La chiusura o l’ostruzione delle arterie che portano il sangue al cervello si verifica spesso in seguito alla formazione di depositi di grasso nelle arterie.

Questo processo, che interessa prevalentemente le arterie del collo (carotidi), è favorito dall’azione prolungata dell’ipertensione arteriosa non curata sulle pareti dei vasi.

Persistenti valori elevati di pressione sanguigna causano inoltre l’indurimento delle pareti dei vasi delle arterie cerebrali che perdono elasticità, si assottigliano, diventano meno resistenti e si rompono facilmente in seguito a sbalzi di pressione anche minimi.

L’ictus è la terza causa di morte (dopo le cardiopatie ed il cancro) e la prima causa di invalidità nel mondo.

I sintomi dell’ictus

L’ictus può presentarsi con sintomi diversi che compaiono in maniera improvvisa e durano più di 24 ore determinando la perdita di determinate funzioni.

In presenza di questi sintomi contatta immediatamente il 118: è fondamentale intervenire il più velocemente possibile!

Le conseguenze dell’ictus

In molti casi l’ictus è mortale o lascia gravi conseguenze che dipendono dalla parte del cervello danneggiata (problemi di movimento per una paralisi degli arti di un lato del corpo, difficoltà di linguaggio, di pensiero).

La riabilitazione può fare molto per il recupero funzionale causato da questi deficit, che tuttavia hanno un impatto significativo sulla qualità di vita della persona.

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Igiene quotidiana

Ogni persona ha bisogno di sentirsi autosufficiente provvedendo in modo autonomo al soddisfacimento dei propri bisogni. Nella persona ammalata e/o anziana, questa capacità può essere più o meno compromessa, tanto da richiedere assistenza nell’esecuzione delle attività di vita quotidiana.

Chi assiste deve essere consapevole che ogni persona ha un vissuto, delle abitudini che a volte, negli anni, diventano veri e propri riti.

Il rispetto delle persone passa necessariamente attraverso la conoscenza ed il mantenimento, per quanto possibile, di queste abitudini.

L’aiuto fornito all’assistito deve tenere conto del suo livello di autonomia e stimolare il mantenimento delle capacità ancora presenti, anche se spesso questo comporta l’allungamento dei tempi richiesti.

Assicurare l’igiene e la sicurezza della persona

La persona anziana e/o ammalata ha generalmente necessità di assistenza nell’esecuzione dell’igiene personale. Va ricordato che, anche quando sia compromessa l’iniziativa o la capacità di eseguire autonomamente le cure igieniche, è importante da parte di chi assiste garantire stimoli e aiuto nel soddisfacimento di questo bisogno rispettando la dignità e la privacy della persona.

Ogni manovra deve essere preceduta da una adeguata informazione che coinvolga l’assistito e crei le premesse per una proficua collaborazione.

Anche la preparazione dell’ambiente è importante. In particolare è necessario:

  • controllare l’esistenza di garanzie di sicurezza per la persona (maniglie di sostegno, tappetini antiscivolo, etc.)
  • garantire una temperatura ambientale di 22/25°C
  • chiudere porte e finestre per evitare correnti d’aria
  • predisporre idonei accorgimenti per rispettare l’intimità dell’assistito
  • accertarsi che tutto il materiale necessario sia pronto e a portata di mano (compresa la biancheria pulita)
  • valutare la necessità di utilizzare camice e guanti monouso, a protezione di chi assiste o di chi è assistito.

È inoltre indispensabile garantire un numero di assistenti adeguato al livello di dipendenza della persona ed alle manovre che si intendono eseguire.

Igiene quotidiana

Per mantenere pulito il corpo della persona, eliminare eventuali odori sgradevoli e creare benessere ed effetto tonico su organismo e psiche, quotidianamente (anche più volte al giorno) devono essere effettuati l’igiene del viso, delle mani, l’igiene orale e l’igiene intima. Queste operazioni sono anche una preziosa occasione per verificare, soprattutto in caso di persone allettate o particolarmente defedate, lo stato della cute e delle mucose, e consentono di intervenire precocemente in caso di alterazioni.

Almeno due volte alla settimana va inoltre prevista, nel rispetto dei bisogni e delle abitudini della persona assistita (orari, temperatura dell’acqua, tipo di sapone, …), l’igiene completa con bagno, doccia o, per chi non si può alzare, spugnatura a letto.

Bagno e doccia

La scelta fra bagno o doccia è determinata dalla disponibilità del bagno di casa e dalle condizioni di autosufficienza dell’assistito.

Quando ci si lava bisogna incominciare dalle parti più pulite: la testa, il viso, gli arti superiori, il tronco (il petto e la schiena), la regione genitale, cioè le parti intime e gli arti inferiori. Se non sono espresse preferenze è consigliabile l’utilizzo di un sapone liquido neutro.

Bisogna poi che la persona si asciughi molto bene, ponendo particolare attenzione alle zone in cui due parti del corpo vengono a contatto: cavo ascellare, pieghe addominali, inguine, interno coscia, fra le dita dei piedi. Ci si può aiutare anche con il phon passato a temperatura tiepida sul corpo oltre che sui capelli. Al termine dell’asciugatura si provvede a rivestire la persona con biancheria e abiti puliti.

Per mantenere la cute integra e prevenire lesioni cutanee, prima di rivestirla, è bene applicare sul corpo della crema idratante o olio di mandorle. Per evitare di scivolare e di mantenere zone di umidità è bene areare e asciugare il bagno.

È possibile fare il bagno o la doccia anche a persone totalmente dipendenti utilizzando l’apposito sollevapersone dotato di una imbracatura che andrà poi lavata ed asciugata. L’utilizzo di questo presidio viene insegnato dagli operatori del servizio domiciliare. Per la doccia sono inoltre disponibili appositi sgabelli che possono essere utilizzati per coloro che riescono a mantenere la posizione seduta.

L’utilizzo della spugna o del guanto di crine è utile per eseguire una detersione più energica ma non aggressiva e per dare la piacevole sensazione di massaggio che è gradita da molte persone. Al termine del bagno bisogna però risciacquare molto bene la spugna e farla subito asciugare per evitare che diventi ricettacolo, e quindi veicolo, di funghi e batteri per l’assistente e l’assistito.

È bene posizionare sul fondo della doccia o della vasca un tappeto antiscivolo perché la contemporanea presenza di acqua e sapone aumentano il rischio di cadute. Anche questi tappeti devono poi essere lavati ed asciugati come già detto per le spugne.

È molto importante ricordare che durante le cure igieniche si entra in rapporto con l’intimità della persona; le persone anziane hanno quasi tutte un grande senso del pudore per cui non è bene scherzare o essere troppo disinvolti mentre li si aiuta. Il rispetto del corpo è rispetto della persona.

Spugnatura a letto

Nonostante i presidi disponibili, alcune persone sono impossibilitate ad accedere alla vasca o alla doccia e, a volte, anche ad essere alzate in poltrona o carrozzina.

In questi casi è necessario eseguire a letto l’igiene completa. Per queste persone è ancora più importante e necessaria la frequenza del bagno perché lo sfregamento della cute con le lenzuola, la presenza di materiale di sfaldamento (residui di pelle), il sudore e lo sfregamento delle parti del corpo fra loro aumenta il rischio di lesioni da decubito. Per eseguire il bagno a letto è necessario che il materasso venga isolato da una tela cerata che impedisca di bagnarlo. Servono inoltre un catino, una brocca, una padella e tutto l’occorrente già indicato nel paragrafo precedente.

La persona va spogliata completamente ma mantenuta coperta con un lenzuolo e scoperta progressivamente e solo per lo stretto necessario, in modo da non fargli prendere freddo. La successione per lavare è quella già descritta per bagno e doccia, avendo l’accortezza di cambiare frequentemente l’acqua del catino per evitare che rimangano sul corpo residui di sapone. Bisogna porre particolare attenzione ad asciugare bene la cute e ad idratarla con creme o olio di mandorle.

Igiene degli occhi

Gli occhi devono regolarmente essere puliti ogni mattina e comunque ogni volta che presentino secrezioni. Sono necessari: acqua, eventualmente acqua borica, garze o pezzuole di cotone pulite. Per prevenire infezioni è necessario procedere dall’angolo interno dell’occhio verso l’angolo esterno, cambiando ogni volta la garza. Non si deve mai utilizzare la stessa pezzuola per pulire entrambi gli occhi. Nel caso in cui si osservino aumento delle secrezioni, arrossamenti o modificazioni rispetto alla norma è bene avvisare il medico prima di prendere qualsiasi iniziativa.

Igiene orale

Deve essere eseguita due volte al giorno, mattino e sera, e, comunque ogni volta che si verifichino alterazioni della mucosa orale o permangano residui alimentari.

Guanti, spazzolino, bicchiere, dentifricio e collutorio sono il materiale necessario per l’igiene orale. Se la persona è allettata, vengono utilizzati anche un catino e un telo impermeabile di protezione.

Igiene della protesi dentale (dentiera)

Se la persona ha una protesi dentale non fissa, totale o parziale, questa deve essere rimossa per poterla lavare accuratamente con lo spazzolino; è bene procedere a questa operazione ponendosi sopra un contenitore pieno di acqua per evitare rotture in caso di caduta accidentale. Alla sera si deve riporre la protesi nell’apposito contenitore, al mattino prima di rimetterla in bocca deve essere risciacquata. Se l’assistito è in grado di rimuovere autonomamente la protesi, prenderla in consegna per procedere alle operazioni sopra descritte. Diversamente, indossare i guanti monouso e fare attenzione che la persona assistita sia tranquilla; con il dito indice o medio si entra nel cavo orale sino a toccare il palato e contemporaneamente con il pollice si fa presa nella parte davanti dei denti superiori e così si estrae la parte superiore della protesi. La parte inferiore si sfila prendendo i denti fra pollice e indice.

La mucosa della bocca va risciacquata con collutorio; nel caso in cui la persona corra il rischio di ingerire o inalare, si deve provvedere alla pulizia del cavo orale con garze bagnate di collutorio. La garza deve essere avvolta intorno al dito indice e, dopo averla bagnata, si passa sul palato, sopra e sotto la lingua, all’interno delle guance, cambiandola ad ogni passata e sino a che le medesime non risultino pulite.

Igiene intima

Deve essere eseguita due volte al giorno e, comunque, tutte le volte che a causa di evacuazioni o perdite di materiale biologico, si renda necessario. La persona autosufficiente o parzialmente dipendente deve essere stimolata e sorvegliata nell’esecuzione dei movimenti che è grado di compiere.

Per il bidè al letto sono necessari: i guanti monouso, la padella, una brocca, il detergente, un asciugamano, un telo impermeabile per la protezione del letto.

Dopo aver indossato i guanti monouso, si posizionano il telo impermeabile e la padella facendo mantenere piegate le gambe ed appoggiati i piedi sul letto; si versa un po’ d’acqua e si insapona con il detergente partendo dalla zona del pube e procedendo in basso verso la zona anale.

Quando si esegue il bidè ad una donna bisogna aprire le grandi labbra durante la detersione che avverrà sempre dall’alto verso il basso. Se invece si deve lavare un uomo è indispensabile che dal glande venga abbassato il prepuzio, si deterge e, al termine, il prepuzio deve essere riposizionato sul glande per evitare arrossamenti e gonfiori.

Si deve poi risciacquare molto bene per evitare che rimangano residui di sapone. Al termine si asciuga con un asciugamano tamponando per evitare di provocare arrossamenti o lesioni.

Igiene del materiale d’uso

Tutte le tele, asciugamani, lenzuola che vengono a contatto con la persona assistita devono essere lavate frequentemente o comunque ogni volta si sporchino di liquidi biologici (sudore, sangue, feci, urine…).

La biancheria pulita deve essere riposta ordinatamente negli armadi o cassetti. Le brocche, i pappagalli, le padelle e i catini, devono essere lavati dopo l’uso con varechina o candeggina (ipoclorito di sodio), diluita a seconda delle concentrazioni (vedere istruzioni per l’uso riportate sulle confezioni).

Se questi contenitori presentassero incrostazioni, queste vanno rimosse prima di lavarli.

Quando si cambia il pannolone o la traversa o si rifà il letto, bisogna avere molta cura nel non lasciare pieghe a contatto con la pelle. Una buona igiene del corpo, un’accurata idratazione, la cura del letto riducono in modo rilevante il rischio di insorgenza delle piaghe da decubito. Lavare sempre le mani prima e dopo l’utilizzo dei guanti monouso.

Osservare i materiali dell’eliminazione fisiologica

Per la salute della persona assistita è fondamentale osservare attentamente urina, feci, espettorato, eventuale vomito e segnalare al medico o all’infermiera ogni alterazione.

In particolare è opportuno rilevare alcuni aspetti:

  • feci: controllare la regolarità delle scariche, la consistenza delle feci, l’eventuale presenza di muco o sangue
  • urine: valutare il colore (molto scuro o paglierino), l’eventuale presenza di sangue, la frequenza dello stimolo ad urinare, l’eventuale presenza di bruciore. Può essere richiesta dal medico la raccolta delle urine nelle 24 ore per effettuare particolari esami. In questo caso seguire le indicazioni che verranno fornite dal medico o dall’infermiera
  • vomito: è importante essere in grado di riferire il momento in cui si è manifestato rispetto ai pasti e all’assunzione di farmaci, l’eventuale precedente presenza di nausea o di mal di testa, il colore e le caratteristiche del vomito (alimentare, mucoso, catarrale, con presenza di sangue).

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Incompetenza

Tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera (1/09/2014)

Il significato dell’aggettivo competente, riferito a colui che ha autorità in un certo ambito, deriva dal diritto romano (dal latino competens–entis) e lo ritroviamo ancora oggi nel diritto e sta ad indicare la qualità di un individuo che è responsabile, autorizzato, qualificato e quindi abilitato. Secondo il dizionario etimologico della lingua italiana, competente significa essere conveniente, congruo ed appropriato. Competente è dunque chi agisce in maniera volutamente responsabile, secondo criteri relativi (quindi adattabili alle illimitate esigenze) e variabili, nonché socialmente e politicamente riconosciuti sia in termini di una prestazione tecnicamente valida che eticamente corretta e coerente con i valori di un gruppo (professionale).”

Risultati di una ricerca: il caregiver si sente preparato?

Nel 2010 l’ASL di Brescia ha realizzato una ricerca con la finalità di raccogliere informazioni dai familiari e dai professionisti che assistono a domicilio persone non autosufficienti, in merito agli aspetti positivi, alle criticità ed alle possibili aree di miglioramento per sostenere le famiglie coinvolte in questo impegnativo percorso.

Dallo studio emerge che gli aspetti assistenziali di cui si occupa prevalentemente chi assiste riguardano l’igiene personale dell’assistito (13,4%), la somministrazione di farmaci (13,3%), l’alimentazione (11,7%), i rapporti con i sanitari di riferimento (11,0%), l’attività di compagnia e d’intrattenimento (10,9%), gli aspetti burocratici ed amministrativi (9,6%), l’incontinenza (8,0%), la mobilizzazione della persona (8,0%) e la gestione delle medicazioni (6,9%). In media ogni intervistato svolge 5 attività tra quelle indicate nella risposta.

Per quando riguarda l’aspetto assistenziale per il quale chi assiste necessiterebbe di più aiuto, prevalgono la mobilizzazione della persona, l’igiene personale e la gestione delle medicazioni.

Percezione della preparazione del familiare nei diversi aspetti assistenziali

Anche a seguito dei risultati di questo studio sono stati potenziati alcuni strumenti e servizi per aiutare il caregiver nell’affrontare quotidianamente la cura e l’assistenza, tra questi una scuola di assistenza familiare rivolta ai caregiver ed il manuale “Assistere in famiglia – Istruzioni per l’uso”.

A chi posso rivolgermi

Gli operatori dell’UVG-UVMD-UCAM del proprio distretto possono fornire utili suggerimenti e consigliare l’attivazione di servizi che supportano il lavoro di cura.

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Incontinenza urinaria e fecale

L’incontinenza urinaria e/o fecale è la perdita involontaria di urina e/o feci dovuta all’incapacità di trattenerle.

L’incontinenza urinaria è un fenomeno frequentemente sottovalutato e taciuto a causa del forte “tabù” che ancora lo circonda, con vergogna a parlarne sia da parte di chi ne soffre che di chi assiste.

Spesso l’incontinenza, che viene erroneamente considerata una conseguenza normale ed inevitabile dell’invecchiamento, è trattabile e risolvibile.

Questo disturbo solitamente provoca ricadute negative anche a livello psicologico, influenzando significativamente lo stato d’animo, l’immagine di sé, lo stile di vita di chi ne soffre. Il timore di non riuscire a trattenere l’urina e di perderla, il disagio di trovarsi bagnati, la paura che gli altri se ne accorgano, influenzano negativamente la qualità della vita della persona, le sue relazioni sociali e la possibilità di allontanarsi da casa.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “La persona con incontinenza urinaria”

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Infermiere

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Infezioni

Nell’organismo umano sono presenti molti batteri ma non tutti causano una malattia; alcuni infatti ci aiutano a restare sani (per esempio i germi che vivono sulla pelle).

L’infezione si manifesta quando i batteri normalmente presenti nell’organismo o i germi (batteri, virus o funghi) che penetrano dall’esterno, si moltiplicano in modo incontrollato. Il nostro sistema immunitario ci protegge riconoscendo i germi “buoni” da quelli “pericolosi”. A volte però, quando il sistema di difesa è indebolito, si può sviluppare un’infezione per combattere la quale è necessario utilizzare dei farmaci (antibiotici, antivirali o antimicotici in relazione alla natura del germe).

La regola più efficace per salvaguardare la propria salute e quella degli altri ed impedire la diffusione di infezioni è racchiusa in un semplice gesto: il lavaggio delle mani.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “Indicazioni generali”.

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Insufficienza renale cronica

I reni sono due organi di forma simile ad un fagiolo, lunghi circa 12 cm e larghi 6, posti nella regione lombare ai lati della colonna vertebrale.

Il compito principale dei reni è quello di filtrare il sangue per eliminare con l’urina scorie, sali ed acqua nella quantità necessaria.

I reni possono essere colpiti da malattie che, in un tempo più o meno lungo, ne danneggiano la funzione, riducendo sia la capacità di eliminare normalmente scorie, sali ed acqua che quella di produrre ormoni.

Molto spesso sono la pressione arteriosa elevata (ipertensione) o il diabete a danneggiare i reni, ma ci sono anche malattie che colpiscono esclusivamente i reni (ad esempio le glomerulonefriti) o le vie urinarie (ad es. la calcolosi) e malattie ereditarie (ad es. la malattia renale policistica).

Le terapie variano in funzione della compromissione della funzione renale e comprendono terapie farmacologiche, dieta, controlli clinici e terapie sostitutive (emodialisi, dialisi peritoneale, trapianto).

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “La persona con insufficienza renale”.

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Insufficienza respiratoria cronica

L’insufficienza respiratoria è una condizione di malattia in cui i valori di ossigeno nel sangue arterioso sono inferiori rispetto a quelli di un individuo sano di pari età.

Nell’insufficienza ventilatoria vi è invece un innalzamento dei valori di anidride carbonica nel sangue arterioso. Quando le due condizioni sono contemporaneamente presenti si parla di insufficienza respiratoria globale.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “La persona con problemi respiratori”.

Manuale di educazione terapeutica dell’ASL di Brescia “Le vie aeree: concordiamo la rotta per gestire la BPCO (BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva)”.

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Insulina

L’insulina è un ormone prodotto dal pancreas, la cui funzione è quella di consentire l’ingresso dello zucchero (glucosio) nelle cellule dell’organismo che lo utilizzano quale fonte di energia.

La sua carenza o completa assenza porta ad un aumento della concentrazione di glucosio nel sangue (iperglicemia) che è il principale sintomo del diabete.

Nel diabete di tipo 1 l’insulina è completamente assente a causa della distruzione delle cellule del pancreas che la producono e va perciò somministrata dall’esterno attraverso iniezioni giornaliere.

Viene utilizzata anche nel diabete di tipo 2 quando non si riesce più a tenere sotto controllo la glicemia con i soli farmaci antidiabetici.

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Invalidità

L’invalidità è la difficoltà a svolgere le funzioni tipiche della vita quotidiana o di relazione a causa di una menomazione o di un deficit fisico, psichico o intellettivo, della vista o dell’udito.

L’invalidità si definisce civile quando non deriva da cause di servizio, di guerra o di lavoro e viene espressa in percentuale (es. “invalido civile al 50%”).

Non rientrano tra gli invalidi civili gli invalidi di guerra, del lavoro, per servizio, i ciechi ed i sordomuti poiché per queste categorie si applicano leggi diverse.

Ai fini dell’assistenza sociosanitaria (esenzione ticket, fornitura ausili,..) e della concessione dell’indennità di accompagnamento, si considerano mutilati e invalidi civili i soggetti ultrasessantacinquenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.

L’indennità di accompagnamento è un beneficio economico che spetta agli invalidi civili che hanno ottenuto il riconoscimento di una invalidità totale e permanente del 100% e che si trovino nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognino di una assistenza continua. A differenza di altri benefici economici concessi agli invalidi, è indipendente dall’età e dalla condizioni reddituali della persona.

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Lavoro

Conciliare l’assistenza ad un proprio caro con un’attività lavorativa esterna può essere difficoltoso.

Nel caso in cui l’assistito sia stato riconosciuto come  persona con handicap in situazione di gravità (art. 3, comma 3, della Legge n. 104 del 1992), la normativa prevede la possibilità di usufruire di permessi lavorativi retribuiti (3 giorni al mese o, in alternativa, 18 ore al mese) per consentire al lavoratore di assistere il familiare.

Possono usufruire di questi permessi il genitore del disabile, il coniuge, il parente o l’affine entro il secondo grado (nonni, nipoti in quanto figli del figlio, fratello, cognato). Il diritto a goderne non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente.

Il lavoratore può inoltre chiedere un congedo straordinario di due anni, fruibili anche in maniera frazionata. Il congedo è retribuito e può essere preso dal coniuge, dai genitori, dai figli e dai fratelli e sorelle del disabile da assistere e, ancora, dal parente o dall’affine entro il terzo grado. Ad accezione dei genitori, tutti gli altri familiari possono richiederlo solo se conviventi con il disabile da assistere.

Per avere maggiori informazioni

Consulta il sito www.inps.it > Informazioni > Prestazioni a sostegno reddito > Assistenza ai disabili > Permessi retribuiti legge104

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Letto articolato

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Lutto

Con la parola lutto (dal latino luctus, pianto, lugere, piangere ed essere in lutto) s’intende sia la reazione emozionale che si sperimenta quando perdiamo una persona significativa della nostra esistenza, sia il tempo che segue la sua morte.

Reazioni emotive

Il lutto per la morte di una persona cara è una esperienza che tocca la persona nella sua dimensione globale: fisica, psichica, spirituale.

Chiunque sia mancato, un figlio, un coniuge, un genitore, un fratello, un nonno, un amico, sentiamo di aver perso una parte di noi stessi e, com’è naturale, sperimentiamo un periodo di sofferenza e difficoltà.

Non si può amare qualcuno e perderlo, senza sentirsi soli e deprivati del suo affetto, della sua esistenza, senza diventare vulnerabili e provare dolore.

I familiari che hanno accompagnato il loro caro durante la malattia si confrontano con profonde emozioni, che necessitano di spazio e tempo per essere elaborate, sia singolarmente che con il sostegno di un professionista o attraverso lo scambio con persone che vivono la stessa situazione (gruppi di auto-aiuto).

Riconoscere il proprio stato di lutto e viverlo nel modo più giusto per ognuno riveste un importante significato per la propria salute e per quella della famiglia.

Elaborazione del lutto

Il lutto è come una ferita, il cui processo di cicatrizzazione e di guarigione richiede tempo e fatica, un vero e proprio lavoro per poter tornare a vivere una vita sicuramente molto diversa da quella di prima e che, piano piano con il tempo, potrà essere comunque densa di valore se si riuscirà ad integrare la perdita nella trama della propria vita.

Spesso l’istinto spinge a rifugiarsi nella solitudine della propria sofferenza; altre volte invece, viene sentita l’esigenza di condividere il proprio dolore con qualcuno che ha vissuto un’esperienza simile, senza però sapere a chi rivolgersi.

Chi ha attraversato un’esperienza così dolorosa come quella del lutto ed è riuscito ad andare avanti, sa che ci si può dare forza, scoprendo che la vulnerabilità, la disperazione, la paura convivono in ciascuno di noi a fianco del coraggio e della determinazione a vivere.

Le fasi di elaborazione del lutto

Ogni lutto è diverso per qualità, intensità e durata delle reazioni emozionali, ma a tutte le persone richiede tempo ed un vero e proprio lavoro per elaborarlo.

Ciò che accomuna tutti i lutti è la presenza di un percorso con delle fasi che si susseguono: shock iniziale, disperazione, struggimento per la perdita, espressione di sentimenti e di reazioni emotive violente, nascita di una relazione interiore con il defunto, accettazione della perdita subita e, solo alla fine, riorganizzazione di sé senza più la presenza fisica della persona cara.

Diversi modi di affrontare il lutto

Il lutto viene vissuto ed elaborato in tempi e modi molto personali e differenti: non esiste una maniera giusta in assoluto.

Ciascuno di noi ha una personalità, modi di affrontare la vita e storie passate diverse, per cui il dolore ed i comportamenti saranno differenti da quelli di qualsiasi altra persona, anche degli altri membri della famiglia.

Alcuni superano il lutto in breve tempo, altri lo portano nel loro cammino a ogni passo, alcuni ne risentono profondamente, altri diventano più maturi: certamente tutti ne soffrono e portano il ricordo della persona scomparsa.

Anche le manifestazioni del lutto sono molto diverse: alcune persone si comportano in maniera distaccata e controllata, altre piangono e si disperano rumorosamente; alcune vogliono stare da sole, altre preferiscono una compagnia costante; alcune eliminano subito dopo la morte le cose che appartenevano al defunto, altre le conservano immutate per anni; alcune vanno ogni giorno al cimitero, altre lo rifuggono totalmente.

Possibili conseguenze psico-fisiche sugli adulti

La sofferenza per la perdita di una persona amata ha ripercussioni pesanti sul corpo e può causare una serie di problemi come spossatezza, pianto incontrollabile, insonnia o sonnolenza, palpitazioni, affanno, mal di testa, perdita dell’appetito o fame insaziabile, disturbi digestivi, aumento della pressione, interruzione del ciclo mestruale, caduta dei capelli e infezioni ricorrenti dovute all’abbassamento delle difese immunitarie.

Malattie croniche o preesistenti quali l’artrite, l’asma o l’eczema, possono peggiorare o riacutizzarsi oppure, come accade per il diabete o la pressione alta, subire forti alterazioni.

Essendo corpo e mente strettamente collegati, in genere ai disturbi fisici si accompagnano disturbi di tipo psicologico, in prevalenza stati di ansia e stati depressivi.

Lo stato di ansia si manifesta con un’accelerazione del battito cardiaco, sudori caldi, insonnia e mancanza o eccesso di appetito.

È frequente che nel periodo del lutto alcune persone cerchino rifugio nei farmaci antidepressivi e ansiolitici (da usare solo sotto controllo medico) o nell’alcol e perfino nella droga, ma questi ultimi rimedi non servono a risolvere realmente i problemi del lutto, anzi rischiano di provocarne di nuovi (alcolismo, dipendenze).

I tempi del lutto

Ogni persona ha i propri tempi per elaborare la perdita. A volte il processo di elaborazione del lutto può durare mesi, a volte anni.

Pensare di superare questa fase in pochi mesi, come vi sentirete forse dire da molti, è irrealistico.
Perché una ferita profonda si rimargini ci vuole tempo: così anche per il vuoto lasciato dalla perdita di una persona amata. Solo con il passare del tempo lo stato di sofferenza si attutisce e gradualmente la vita comincia ad apparire meno vuota e priva di senso.

Cosa fare per aiutarsi

  • Non aspettarsi troppo da sé stessi, accettare di non riuscire a tenere tutto sotto controllo.
  • Non lasciarsi andare fisicamente
  • Cercare di essere consapevoli delle proprie emozioni
  • Cercare di condividere il dolore
  • Cercare di mantenere vivo il ricordo della persona amata
  • Non precipitarsi a prendere decisioni importanti
  • Frequentare la comunità religiosa alla quale si appartiene

In caso di difficoltà

Purtroppo non sempre e non per tutti è possibile il compimento del processo d’elaborazione del lutto in tempi rapidi ed in senso positivo e trasformativo. Talvolta infatti, di fronte agli eventi che l’esperienza del lutto provoca, la persona non riesce ad adattarsi alla nuova situazione mentre prevalgono atteggiamenti passivi e distruttivi, carichi di angoscia, disperazione, paura e ribellione, atteggiamenti che impediscono di utilizzare le risorse proprie e dell’ambiente.

Se, trascorsi dei mesi, al limite un anno, dalla perdita della persona amata, vi sentite ancora afflitti da sintomi quali inappetenza o fame insaziabile, insonnia, stati di ansia, difficoltà di concentrazione, desiderio di rimanere isolati, sensi di colpa, incapacità a pensare ad altro che alla morte, depressione, lentezza eccessiva nei movimenti e difficoltà a riprendere le normali attività quotidiane, non esitate a parlarne al vostro medico di fiducia. Sarà lui a decidere se consigliarvi di consultare un professionista (psichiatra, psicologo) e ricorrere al servizio sanitario pubblico della ASL d’appartenenza, presente nel territorio (per i bambini: servizio di neuropsichiatria infantile, consultorio; per gli adulti: dipartimento di salute mentale).

È bene farsi aiutare per non correre il rischio che la situazione degeneri in una forma di lutto complicato, dal quale è più difficile uscire.

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Malattie e principali problemi di salute

Le malattie:

  • sono condizioni dell’organismo anomali, caratterizzata dalla alterazione dei processi fisico-chimici attraverso i quali l’organismo si mantiene in equilibrio, all’interno e verso l’esterno;
  • presentano disturbi e alterazioni o lesioni;
  • possono essere associate alla percezione di un mutamento dello stato del proprio corpo;
  • possono interessare parti dell’organismo (malattie della pelle, del sistema nervoso,…) o essere generalizzate;
  • sono causate da fattori singoli o multipli, di natura fisica (traumi, scottature, …), chimica (veleni, inquinanti,…), organica (batteri, virus,…), ereditaria, psicosomatica.

In base al decorso le malattie possono essere:

  • acute, ovvero che in un breve lasso di tempo possono portare a guarigione, anche se con possibili esiti o disabilità permanenti, o alla morte
  • croniche, ovvero che permangono, con possibilità di progredire, nel tempo.

Tra queste ultime, le malattie cronico-degenerative:

  • sono le più diffuse, anche in relazione al prolungamento della durata della vita e quindi all’invecchiamento della popolazione, che porta a prolungare il “convivere” con malattie e disabilità croniche;
  • si caratterizzano per avere cause multiple, che hanno agito e agiscono a lungo nel tempo, spesso in modo impercettibile;
  • si accompagnano alla progressiva “compromissione funzionale” di diversi organi e apparati: ad esempio, la capacità del cuore e dell’apparato circolatorio di sostenere la richiesta di “lavoro in più” (fare sforzi, salire le scale,…) si assottiglia man mano, sino a non bastare nemmeno per svolgere le funzioni basali (respirare, mangiare, fare i minimi movimenti necessari).

Principali malattie con possibile impatto sull’autonomia

Malattie Per approfondimenti vedi:

Ansia e depressione

Demenze:

  • Morbo di Alzheimer
  • Demenza multi-infartuale (aterosclerotica)
  • ….

Diabete:

  • Tipo I (insulino-dipendente, cosiddetto “giovanile”)
  • Tipo II (cosiddetto “dell’adulto”)

Insufficienza renale cronica

Malattie cardiovascolari croniche:

  • Ipertensione
  • Cardiopatia ischemica cronica
  • Scompenso cardiaco
  • ….

Malattie neurologiche degenerative:

  • Parkinson
  • Sclerosi Multipla
  • SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica o malattia del motoneurone)
  • Distrofie muscolari

Malattie rare

Malattie respiratorie croniche:

  • Bronco-Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO)
  • Insufficienza respiratoria cronica
  • Enfisema polmonare
  • Bronchiectasie
  • …..

Malattie reumatologiche:

  • Artrosi
  • Artrite reumatoide
  • ….

Stato Vegetativo Persistente

Tumori

Vasculopatie cerebrali:

  • Ictus
  • TIA (Attacco Ischemico Transitorio cerebrale)
  • ….

Malattie croniche

Le malattie croniche costituiscono un ampio gruppo di patologie molto diverse tra loro (cardiopatie, ictus, cancro, diabete, malattie respiratorie croniche, malattie mentali, malattie neurologiche e neurodegenerative, disturbi muscolo-scheletrici e dell’apparato gastrointestinale, difetti della vista e dell’udito, AIDS, epatite, alcune malattie genetiche) accomunate dal fatto di presentare sintomi che durano nel tempo in maniera costante o con fasi di remissione parziale e di riacutizzazione. Le terapie possono portare miglioramenti ma non sono risolutive (curano ma non guariscono la malattia).

Alla base delle principali malattie croniche ci sono fattori di rischio comuni e modificabili, come alimentazione poco sana, consumo di tabacco, abuso di alcol, mancanza di attività fisica, che causano ipertensione, glicemia elevata, eccesso di colesterolo e obesità.

Sono la principale causa di morte in quasi tutto il mondo e possono essere particolarmente invalidanti.

Prevenirle è possibile: tutti possono ridurre in modo significativo il rischio di sviluppare queste malattie semplicemente adottando sani stili di vita, in particolare evitando il fumo, avendo un’alimentazione corretta, limitando il consumo di alcol e svolgendo regolarmente attività fisica.

Una volta manifestatasi, la malattia va curata per tutta la vita, principalmente dal paziente stesso. Il paziente cronico deve infatti essere in grado di gestire la propria patologia autonomamente: ciò presuppone una corretta informazione sulla malattia, abilità pratiche per gestire le terapie e capacità di prendere decisioni in relazione alla propria patologia.

Tali competenze si acquisiscono nel tempo e grazie all’aiuto dei sanitari che, nelle mattie croniche, assumono un ruolo di educatori che accompagnano il paziente nel percorso di conoscenza, accettazione e capacità di farsi carico della propria patologia (educazione terapeutica).

I pazienti affetti da malattia cronica hanno diritto all’esenzione totale dalla partecipazione al costo delle prestazioni specialistiche riferite alla patologia e all’esenzione parziale per i farmaci correlati alla stessa (1 € a confezione).

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Malattie rare

Si definisce rara una malattia che colpisce meno di una persona su 2.000.

Esistono moltissime malattie rare. Nel 2006 la cifra stimata è stata tra le 6000 e le 7000 diverse patologie già classificate, ma questa cifra cresce costantemente con l’avanzare della scienza medica e della ricerca genetica.

La rarità di tali patologie fa sì che le persone che ne sono affette sperimentino maggiori problematiche rispetto ai pazienti colpiti da malattie comuni, per le difficoltà diagnostiche, la carenza di informazioni (anche fra gli operatori sanitari) e di opzioni terapeutiche (soprattutto farmacologiche) e per il vissuto di isolamento che affligge i pazienti ed i loro familiari.

Per affrontare questo gruppo di malattie occorre un particolare impegno congiunto, una conoscenza specifica ed una informazione capillare.

La Rete Nazionale per la prevenzione, sorveglianza, diagnosi e terapia delle malattie rare rappresenta il principale strumento di tutela dei pazienti. È stata istituita dal Decreto Ministeriale N. 279 del 18 maggio del 2001 ed è costituita da Presidi di Rete (Centri di riferimento riconosciuti per le singole patologie) e da Centri interregionali o regionali con funzioni di coordinamento. Il coordinamento nazionale è affidato al Centro Nazionale Malattie Rare istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità.

In Lombardia la Rete Regionale per le Malattie Rare è stata istituita con la Delibera della Giunta Regionale N. 7328 dell’11 dicembre 2001 ed è attualmente costituita da 35 Presidi di rete e da un Centro con funzioni di Coordinamento (Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare Aldo e Cele Daccò dell’IRCCS – Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Bergamo).

I pazienti affetti da malattia rara hanno diritto all’esenzione totale dalla partecipazione al costo delle prestazioni specialistiche riferite alla patologia e all’esenzione parziale per i farmaci correlati alla stessa (1 € a confezione).

Per avere maggiori informazioni

Accedi ai siti:

Decreto Ministeriale 20279 del 20 maggio 2001

www.iss.it/cnmr/ (Centro Nazionale Malattie Rare)

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Materassino antidecubito

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Medicazioni e bendaggi

Le ferite sono una interruzione della continuità dei tessuti (pelle, mucose ed eventualmente dei tessuti sottostanti) che possono avere diversa origine e diverse caratteristiche. Comprendono le ulcere da pressione (piaghe da decubito), problema che spesso chi assiste familiari a domicilio, si trova a dover prevenire e gestire.

Per aiutare l’organismo ad attivare i processi di riparazione dei tessuti lesi, la medicazione rappresenta un importante intervento. Consente infatti di promuovere e mantenere le migliori condizioni affinché il complesso processo della riparazione dei tessuti possa iniziare e proseguire senza ostacoli fino alla guarigione della lesione, nonché di proteggere l’area lesionata dalle possibili contaminazioni ambientali.

Esistono oggi molti tipi di medicazione (tradizionali e avanzate) indicati per le diverse situazioni (presenza o meno di infezioni, di tessuto necrotico, di secrezioni, …) e per i vari stadi della lesione (superficiale o profonda) per cui, in particolare quando si tratta di lesioni complicate o che faticano a guarire, è necessario rivolgersi ad operatori esperti (medici o infermieri). Anche la scelta del disinfettante da utilizzare non va sottovalutata perché, in alcune fasi, un prodotto sbagliato può ostacolare la guarigione.

In ogni caso, l’esecuzione della medicazione prevede alcune fasi:

  • l’informazione della persona da medicare e la preparazione di un ambiente idoneo (temperatura adeguata, evitare correnti d’aria, …) che rispetti anche la privacy. In presenza di lesioni importanti è necessario anche intervenire con adeguata terapia per prevenire il dolore legato al cambio della medicazione
  • la predisposizione di tutto il materiale necessario
  • il lavaggio delle mani da parte dell’operatore
  • la rimozione della precedente medicazione
  • la pulizia (detersione) e la disinfezione della ferita
  • l’applicazione della medicazione idonea
  • il bendaggio
  • il riordino del materiale utilizzato e lo smaltimento dei rifiuti.

Rientrano nelle tecniche di medicazione anche le fasciature e i bendaggi.

 “Bendare” significa avvolgere una parte del corpo con tessuti e garze, allo scopo di proteggere la parte interessata dalle infezioni, dagli urti e dallo sfregamento con gli indumenti, oppure di assorbire le secrezioni, tamponare le emorragie, bloccare lussazioni, distorsioni e fratture.

Di uso comune sono il bendaggio con garza e cerotto, realizzato con benda fissata con cerotto o con gli appositi gancetti e tubolare a rete di maglie elastiche, disponibile in diverse grandezze. Le garze utilizzate a contatto con una ferita devono essere sterili ed il bendaggio, una volta terminato, non si deve muovere. Va rinnovato quando è sporco o umido.

Le fasciature sono i bendaggi eseguiti con fasce di varia larghezza, scelte in funzione della zona del corpo interessata. La scelta dipende dalla grandezza e dalla posizione della zona da proteggere e dalla necessità di limitare, o viceversa favorire, i movimenti.

Nelle situazioni complesse, in cui la persona è affetta da patologie acute o croniche importanti e presenta significative limitazioni dell’autonomia, le medicazioni delle lesioni devono essere associate ad altri interventi clinico-assistenziali di carattere più generale (igiene e mobilizzazione, idratazione, alimentazione, terapie antibiotiche, interventi riabilitativi, …) per gestire i fattori di rischio e creare anche le condizioni favorevoli al processo di riparazione dei tessuti lesi.

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Medico

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Memoria

La memoria è la capacità del cervello di conservare e richiamare mentalmente informazioni ed esperienze passate, di riconoscerle come tali e di collocarle nello spazio e nel tempo.

Non è un semplice “immagazzinamento” di dati in uno spazio mentale statico ma un processo dinamico ed attivo, legato a molti fattori, sia cognitivi che emotivi (emozioni, motivazione).

Gran parte dell’attuale conoscenza sulla memoria deriva dallo studio dei disturbi delle funzioni mnestiche, anomalie che si possono rintracciare in varie sindromi, malattie congenite o degenerative, quali ad esempio la demenza e la malattia di Parkinson.

La perdita di memoria è chiamata amnesia, un disturbo presente in molti tipi di patologie.

L’amnesia può essere anterograda (quando non è più possibile apprendere e ricordare nuovi eventi ) o retrograda (quando vengono cancellati i ricordi relativi agli eventi passati).

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Minialloggio protetto

Sono alloggi con diversi livelli di protezione (lieve, media, elevata) destinati a persone con limitata autonomia, ancora in grado di provvedere alla gestione della vita quotidiana ma con necessità di risiedere in ambienti controllati e protetti.

Cosa offre

Oltre all’alloggio offrono interventi di sostegno, di accompagnamento e di controllo all’interno di un progetto sottoscritto dall’ospite e periodicamente verificato. Consentono alla persona di mantenere una propria autonomia in un ambiente controllato e protetto, prevenendo situazioni di emarginazione e disagio sociale.

Quanto costa

È prevista una retta mensile a carico del cittadino o della famiglia. Eventuali riduzioni economiche vanno richieste al servizio sociale del Comune di residenza.

Posso richiederlo?

Il servizio è rivolto a persone in condizione di parziale autosufficienza o a rischio di marginalità sociale che necessitano di una particolare protezione sociale o sanitaria.

A chi posso rivolgermi

La richiesta va presentata al Servizio Sociale del Comune di residenza, che esprime parere di idoneità all’utilizzo del servizio e predispone una graduatoria per l’ammissione alla struttura.

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Mobilizzazione

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Morfina

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Movimento

Il movimento è un bisogno primario delle persone. Quando viene compromessa la possibilità di muoversi e di spostarsi in base ai propri desideri ed alle proprie esigenze è fondamentale, per prevenire i danni che possono conseguire all’immobilità, che chi assiste sappia aiutare l’assistito ad assumere posizioni corrette e sicure.

Quando non controindicato, è utile considerare le capacità di movimento residue della persona come una risorsa da valorizzare e mantenere. Ciò significa che, anche se a volte è più semplice e richiede meno tempo sostituirsi completamente alla persona mobilizzandola in modo passivo, è importante, sia sul piano psicologico che su quello del mantenimento dell’autonomia possibile, coinvolgere attivamente l’assistito nei diversi passaggi di posizione.

Chi assiste in modo continuativo persone con difficoltà di movimento deve prestare attenzione anche alla propria salute: alcuni semplici accorgimenti possono prevenire danni alla schiena che, quando si devono sollevare o spostare pesi importanti in modo continuativo, è particolarmente sottoposta a sollecitazioni e sovraccarichi.

La prevenzione dei danni alla schiena si basa essenzialmente sull’utilizzo di giuste tecniche, comprendenti anche l’uso di ausili ed eventualmente l’aiuto di un’altra persona.

Consigli utili per chi assiste

  • quando ci si deve abbassare per sollevare un peso, flettere le gambe mantenendo la schiena dritta
  • allargare i piedi (stessa larghezza delle spalle) per aumentare la base di appoggio e migliorare la stabilità
  • portare il peso da sollevare il più vicino possibile al corpo
  • negli spostamenti della persona a letto, per meglio distribuire lo sforzo fisico, appoggiare eventualmente un ginocchio sul letto
  • rimuovere eventuali ostacoli (tappeti, lampade, ecc.) e fare in modo di avere sufficiente spazio intorno al letto per eseguire le manovre richieste e per avvicinare il più possibile la carrozzina (ricordarsi sempre di azionare i freni prima di procedere agli spostamenti)
  • utilizzare gli ausili disponibili (in particolare il sollevatore) anche se richiedono più tempo rispetto alla movimentazione manuale
  • se possibile, effettuare regolarmente esercizi fisici per mantenersi in buona salute.

Ausili per la deambulazione

TIPOLOGIA   FUNZIONE
Bastone

 

  • Migliora la stabilità del cammino
  • utile nei casi di dolore articolare dovuto ad artrosi (anca/ginocchio)
  • offre un relativo sostegno del peso corporeo
  • deve essere utilizzato dal lato opposto all’arto compromesso
Tripode-Quadripode

 

  • Oltre a dare un relativo sostegno del peso corporeo aumenta la base d’appoggio dando maggiore stabilità
  • solitamente viene utilizzato da persone con esiti di ictus
  • occorre un buon addestramento all’utilizzo in quanto i piedini d’appoggio possono intralciare il passo
Stampelle o bastoni canadesi

 

  • Vengono utilizzate da persone con esiti di fratture agli arti inferiori e amputazione, impianto di protesi anca/ginocchio
  • è necessario avere una buona forza e funzionalità delle braccia, buon equilibrio e capacità di coordinazione
Girello antibrachiale
  • Viene utilizzato a volte in alternativa alle stampelle
Girello con appoggio ascellare

 

  • Viene utilizzato a volte in alternativa alle stampelle
 

Deambulatore da interno e esterno

  • Sostiene parte del peso corporeo e rende più stabile il cammino migliorando l’equilibrio
  • esistono vari modelli in base alla loro funzione:
    • da interno: due ruote/due puntali
    • da esterno: 4 ruote
  • È necessaria una attenta valutazione dei bisogni e delle capacità della persona per effettuare la scelta corretta.

Carrozzina (sedia a rotelle)

La carrozzina è indicata nel caso di persone con limitazioni del movimento; permette il mantenimento della posizione seduta corretta e confortevole ed una maggiore autonomia.

Esistono diversi tipi di carrozzine: comoda imbottita, pieghevole standard, leggera, superleggera, posturale e basculante, elettrica, con unità di postura.

É importante sceglierla in funzione delle caratteristiche e necessità della persona; in particolare è bene tenere conto di:

  • ambiente in cui vive la persona (misure delle porte e dell’ascensore, accesso al bagno ed al letto)
  • luogo di utilizzo (interno o esterno)
  • tempo di utilizzo (occasionale 1-2 ore al giorno o prolungato)

Sollevatore mobile (solleva-persone)

Si usa nel caso di persone totalmente non autosufficienti (ad esempio nei trasferimenti dal letto alla carrozzina e viceversa). Garantisce sicurezza alla persona e diminuisce il carico assistenziale del caregiver.

Esistono diverse tipologie di sollevatore: fisso (a parete), mobile (a pavimento).

La scelta del modello è legata ad una attenta valutazione del singolo caso, che deve tenere in considerazione le condizioni di disabilità della persona ed il contesto nel quale viene utilizzato il sollevatore.

Il funzionamento si basa sulla presenza di un braccio di sollevamento a cui viene agganciata una imbracatura che avvolge l’assistito.

Nel caso di un sollevatore mobile, è importante che l’altezza fra il margine inferiore del letto e il pavimento sia di almeno 8-10 cm, in modo da garantire lo spazio nella manovra di avvicinamento al letto.

È controindicato nel caso di persone con:

  • tubo tracheale o drenaggio e che devono mantenere una posizione supina
  • frattura di femore o limitazioni nel piegare l’articolazione dell’anca.

Montascale

Il montascale è un dispositivo il sollevamento di persone totalmente non deambulanti per consentirne la salita delle scale; può essere:

  • fissato all’edificio e costituito da: poltroncina, sistema di accensione, comando (solitamente posizionato sul bracciolo o tramite telecomando) e sistemi di sicurezza;
  • a cingoli o a ruote, per i soggetti dimoranti abitualmente in edifici sprovvisti di ascensore e serviti da scale non superabili mediante l’installazione di un montascale fisso.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “La persona con problemi di movimento”

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 Montascale

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NAD (Nutrizione Artificiale Domiciliare)

La Nutrizione Artificiale Domiciliare (NAD) è il trattamento mediante il quale soddisfare il fabbisogno nutrizionale delle persone che non sono in grado di alimentarsi per via naturale.

Sono possibili due modalità di esecuzione della nutrizione artificiale:

  • la NPD (Nutrizione Parenterale Domiciliare) che utilizza il circolo venoso
  • la NED ( Nutrizione Enterale Domiciliare) che utilizza la via gastroenterica.

La scelta viene effettuata dal medico prescrittore in base alle condizioni cliniche e socio-familiari della persona.

La capacità di gestire autonomamente la nutrizione artificiale domiciliare da parte del paziente e/o del caregiver è di fondamentale importanza e viene garantita attraverso un percorso educativo rivolto al paziente/caregiver che inizia nella struttura di ricovero e cura prima della dimissione ospedaliera e continua a domicilio con l’infermiere che prende in carico l’assistenza domiciliare.

A chi posso rivolgermi

Per avere maggiori informazioni rivolgiti al tuo medico di medicina generale o all’UCAM-UVG-UVMD del distretto.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “La persona con problemi di nutrizione”.

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Operatori

La parola operatori sanitari evoca, nella maggior parte dei casi, l’immagine di persone in divisa che lavorano in ospedale e che intervengono direttamente per soddisfare i bisogni di salute e di assistenza delle persone: medici, infermieri, fisioterapisti, ostetriche, operatori di supporto, … presenti in corsia nelle 24 ore.

Non tutti sanno che gli stessi operatori (più altri) sono presenti anche sul territorio e sono disponibili per l’assistenza domiciliare.

A domicilio il loro ruolo prevede di mettere in campo, oltre alla competenza specifica e all’assistenza diretta alla persona ammalata, anche e soprattutto il sostegno, la formazione, l’accompagnamento e la consulenza nei confronti dei familiari/caregiver che assistono nelle 24 ore.

Gli operatori, al momento della presa in carico dell’assistito/della famiglia, condividono un piano assistenziale personalizzato che definisce gli obiettivi ed il ruolo che ciascuno deve svolgere per garantire la miglior qualità di vita possibile nelle singole situazioni.

Gli operatori che intervengono, integrandosi tra loro, variano in relazione ai bisogni. L’obiettivo, oltre al soddisfacimento dei bisogni di base della persona, non sempre è la guarigione ma può essere rappresentato anche dal mantenimento della condizione in essere, evitando o limitando il peggioramento, dal recupero di autonomie o dall’accompagnamento nel fine vita.

Assistente sociale

È il professionista che, agendo secondo i principi, le conoscenze ed i metodi specifici della professione, svolge la propria attività nell’ambito del sistema organizzato delle risorse messe a disposizione dalla comunità (servizi sociali) per prevenire e risolvere situazioni di disagio ed emarginazione di singole persone, nuclei familiari e particolari categorie (minori, anziani, tossicodipendenti, portatori di handicap,…). Fornisce orientamento e supporto nell’uso delle risorse della comunità, mantenendo l’ autonomia e la responsabilità degli utenti.

Farmacista

Il farmacista è l’operatore sanitario cui è affidato il compito della distribuzione al pubblico di medicinali, di alimenti destinati a fini medici speciali, di presidi medico-chirurgici; è specializzato nell’informazione al pubblico sui farmaci e sui loro effetti. Si occupa quindi della corretta dispensazione dei farmaci, della giusta posologia, della aderenza alla terapia, degli effetti collaterali; è specializzato nella preparazione, fabbricazione e controllo dei medicinali ed è autorizzato a consigliare in materia di farmaci nonché a svolgere funzioni epidemiologiche, preventive e di educazione sanitaria presso la popolazione.

Per avere ulteriori informazioni, si può accedere al sito web della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani.

Infermiere

È il professionista sanitario che opera nell’ambito della prevenzione (informando, educando e sostenendo il cittadino, la famiglia e la comunità verso corretti stili di vita ed il rispetto dell’ambiente di vita), della cura (con interventi relativi alla diagnosi, cura e riabilitazione), dell’assistenza (individuando e gestendo i bisogni di assistenza della persona e della famiglia) e della riabilitazione (promuovendo e sostenendo il recupero ed il mantenimento della maggiore autonomia possibile, educando il singolo e le sue persone di riferimento all’autocura e ad adeguati stili di vita).

Gli infermieri svolgono, quindi, attività preventive, curative, riabilitative e palliative, che li pongono particolarmente vicini alla persona lungo tutte le fasi della sua vita, dalla nascita all’accompagnamento alla morte.

Per avere ulteriori informazioni, si può accedere al sito web della Federazione Ordini delle Professioni Infermieristiche.

Medico

Con il termine di medico ci si riferisce, in modo estensivo, all’operatore sanitario che  si occupa della salute umana, prevenendo, diagnosticando e curando le malattie: l’attività del medico, in estrema sintesi, si riconduce al diagnosticare (individuare) malattie o disturbi, sulla base dell’anamnesi (la storia clinica), dell’esame obiettivo (la visita), dell’esito di indagini strumentali (gli esami) e quindi prescrivere (decidere e proporre la/e cura/e) e, eventualmente, effettuare direttamente interventi e cure, terapeutiche o palliative.

Il medico, mediante appositi percorsi di perfezionamento professionale, può specializzarsi per operare in specifici ambiti di attività, che richiedono l’utilizzo di strumenti, terapie e modalità di approccio differenti.

  • Il medico di medicina generale (MMG) e pediatra di famiglia (PDF): sono definiti medici di assistenza primaria ed hanno il compito di accompagnare gli assistiti lungo la loro storia sanitaria; li educano alla salute, ne conoscono la storia clinica e definiscono il piano di cura più appropriato nel caso di malattia. Sono liberamente scelti all’interno del novero dei medici che operano nell’ambito (un territorio definito): il medico di famiglia assiste tutta la popolazione al di sopra dei 14 anni; il pediatra quella fino a 14 anni; qualora la famiglia lo desideri, nel periodo che va dai 6 ai 14 anni, la scelta è a discrezione fra medico di famiglia e pediatra.
  • Il medico di continuità assistenziale (ex guardia medica) opera negli orari in cui il Medico di Medicina Generale e il Pediatra di Famiglia non sono attivi, nei casi in cui il bisogno sia indifferibile, cioè per le situazioni di malattia che non possono essere rinviate il giorno successivo al proprio medico di famiglia.
  • Il geriatra studia e cura le malattie dell’anziano ponendosi come obiettivo: prevenire le conseguenze disabilitanti, ritardare il declino funzionale e mentale, mantenere l’autosufficienza e la miglior qualità di vita possibile; opera sulla base dei principi della gerontologia, branca che cerca di identificare i meccanismi biologici dell’invecchiamento, compresi gli aspetti sociali e psicologici che possono influenzare lo stato di salute e l’insorgenza delle malattie tipiche della persona anziana.
  • Il fisiatra, specializzato in medicina fisica e riabilitativa, orienta la propria attività nel trattamento di disabilità causate dalle diverse malattie e/o dal dolore, in ambito neuromuscolare, osteoarticolare, cognitivo-relazionale; ha competenze per valutare ed affrontare le problematiche relative alla limitazione dell’autonomia anche in relazione al proprio ambiente fisico, familiare, lavorativo e sociale.
  • Il palliatore (o palliativista) è un medico che ha acquisito specifiche competenze per effettuare cure globali e multidisciplinari, orientate in particolare al controllo del dolore, degli altri sintomi e dei problemi psicologici, sociali e spirituali dei pazienti affetti da malattie che non rispondono più a trattamenti specifici e la cui diretta evoluzione nell’arco di alcuni mesi è la morte.
  • Gli specialisti di “branca” (cardiologo, diabetologo, neurologo, dermatologo, oculista, ….) sono medici che, a seguito di percorsi di studio e preparazione specialistica, possiedono conoscenze e competenze per diagnosticare e curare specifiche problematiche sanitarie.

Operatore Socio-Sanitario (O.S.S.)

È l’operatore di supporto all’assistenza che svolge, in contesti sanitari e sociali, attività finalizzate a soddisfare i bisogni primari della persona.

Favorisce il benessere e l’autonomia dell’utente e svolge attività rivolte alla persona ed al suo ambiente di vita (assistenza diretta ed aiuto domestico alberghiero, intervento igienico-sanitario e di carattere sociale).

Psicologo

Lo psicologo è il professionista che opera per favorire il benessere delle persone, dei gruppi, degli organismi sociali e della comunità.

Si occupa di una molteplicità di situazioni personali e relazionali che possono essere fonte di sofferenza e disagio.

L’attività dello psicologo ha l’obiettivo di favorire il cambiamento, potenziare le risorse e accompagnare gli individui, le coppie, le famiglie, le organizzazioni (es. scuola, aziende, strutture sanitarie,…) in particolari momenti critici o di difficoltà.

Per avere ulteriori informazioni, si può accedere al sito web www.psy.it > lo psicologo

Tecnico della riabilitazione

Le Professioni sanitarie della riabilitazione ricomprendono diverse figure rappresentate da

  • Fisioterapista
  • Logopedista
  • Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva
  • Tecnico della riabilitazione psichiatrica
  • Terapista occupazionale
  • Educatore professionale
  • Ortottista – assistente di oftalmologia

Si tratta di operatori sanitari specializzati nel recupero funzionale delle abilità compromesse.

In collaborazione con il medico e altre professioni sanitarie, valutano, elaborano e attuano un programma riabilitativo, praticano un’attività terapeutica di rieducazione funzionale mediante l’utilizzo di tecniche fisioterapiche (esercizio fisico mirato), di terapie fisiche, manuali, occupazionali, educative su disturbi conseguenti ad eventi patologici di diversa tipologia, congeniti o acquisiti, di tipo motorio, neuro motorio, cognitivo, di natura acuta o cronica.

Promuovono modificazioni dell’ambiente di vita dell’utente, svolgono attività educativa nei confronti della persona assistita dei suoi familiari e della collettività.

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Ospedalizzazione

Quando si assistono persone care a domicilio può succedere che, a seguito di complicanze o riacutizzazione di malattie, si debba ricorrere ad un ricovero ospedaliero.

E’ importante, fatte salve le situazioni di urgenza, concordare l’esigenza con il medico di famiglia e con gli operatori dell’assistenza domiciliare, se presenti, in modo da evitare ricoveri impropri.

In questi casi chi si è preso cura della persona, si trova ad affidare ad altri l’assistenza. Se da un lato questa delega può alleggerire l’impegno quotidiano, dall’altro può costituire una preoccupazione legata al timore che l’assistenza non sia adeguatamente personalizzata.

E’ opportuno, in questi casi, identificare le cose importanti per la persona cara e riferirle al personale che assiste in modo da garantire una continuità di cura, tenuto conto delle specificità che caratterizzano il contesto ospedaliero.

Consultare la carta dei servizi della struttura di ricovero può aiutare a conoscere l’offerta e l’organizzazione dei servizi, orientando al corretto utilizzo.

E’ importante inoltre sapere che esistono accordi finalizzati a garantire la continuità assistenziale in previsione della dimissione, che consentono di attivare i servizi territoriali prima del rientro a domicilio, per adeguare eventualmente la casa ai nuovi bisogni.

Per l’ASL di Brescia il punto di riferimento è rappresentato dalle Unità di Continuità Assistenziale Multidimensionale (UCAM-UVG-UVMD).

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Ossigenoterapia

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Pasti a domicilio e mense

Sono servizi che permettono alle persone sole non in grado di provvedere correttamente alle proprie necessità alimentari di usufruire di un pasto a domicilio o in una delle mense convenzionate/ comunali. Il servizio è garantito tutti i giorni dell’anno.

Cosa offre

Il servizio permette di salvaguardare l’indipendenza di persone sole non in grado di provvedere correttamente alle proprie necessità alimentari garantendo un pasto quotidiano variato e completo di tutti i principi nutritivi.

Quanto costa

Il servizio è a pagamento in rapporto alla situazione economica dell’interessato.

Posso richiederlo?

Il servizio è rivolto a persone adulte o anziane con limitata autonomia personale, con gravi patologie certificate o disabili, autosufficienti a rischio di emarginazione sociale.

A chi posso rivolgermi

La richiesta va presentata al Servizio Sociale del Comune di residenza, che esprime parere di idoneità all’utilizzo del servizio compatibilmente con le risorse disponibili.

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Pannoloni

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Pediatra di famiglia

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PEG

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Perdita

Perdere significa “rimanere privo”. Può riferirsi a persone, cose (materiali e non) o condizioni.

Nel campo dell’assistenza è un tema che interessa sia la persona assistita che chi assiste: la nuova condizione può causare la perdita di ruolo in famiglia, nel lavoro, nella vita sociale e nelle relazioni, di autonomia fisica, nella gestione del proprio tempo e della propria esistenza quotidiana.

La presenza di operatori, altri familiari o badanti che supportano il lavoro di assistenza può far perdere l’intimità della propria casa.

Vale la pena ricordare che quando si assiste, in particolare per lunghi periodi, l’attenzione non può e non deve essere posta solo sulla persona assistita. Anche chi assiste, se non vuole rischiare di esaurire le proprie energie, compromettere le relazioni affettive, il proprio equilibrio, il lavoro, deve mettere in campo accorgimenti e strategie utili a mantenere un buon livello di salute fisica, emotiva, relazionale, affettiva.

Consigli utili possono essere trovati nel testo, anche attraverso il confronto con le storie riportate. È altrettanto utile parlarne con il proprio medico o con l’infermiere di fiducia, che possono orientare verso la conoscenza e l’attivazione dei servizi ed operatori esistenti sul territorio.

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Piaghe da decubito

Le piaghe da decubito sono lesioni della pelle e dei tessuti sottostanti causate dalla compressione prolungata di un tessuto molle situato tra la sporgenza di un osso ed una superficie esterna di appoggio (es. materasso, poltrona, carrozzina ecc.).

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “Le piaghe: come salvare la pelle

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Preoccupazione

La parola preoccupazione deriva dal latino “praeoccupare“, ovvero occuparsi prima, prevenire. Pertanto, il termine indica lo stato d’animo di colui che cerca soluzioni o rimedi a situazioni critiche o ad eventuali pericoli futuri (che, peraltro, non è detto si avverino…).

Preoccuparci può essere utile a spingerci verso l’azione, per trovare una soluzione ad un problema.

Questo stato d’animo è spesso sentito da chi si trova coinvolto in un percorso assistenziale senza avere le competenze per gestirlo. Può essere legato al timore o alla consapevolezza di non essere adeguati rispetto alla situazione ed ai bisogni che necessitano di una risposta ma può anche scaturire dalla paura della sofferenza o della perdita dei propri cari.

Consigli pratici

Affinché la preoccupazione non diventi ansia o addirittura Angoscia è utile consultare gli operatori di riferimento (medico di medicina generale, assistente sociale del comune, infermiere delle cure domiciliari,…), condividere la preoccupazione con familiari ed amici, confrontarsi con chi ha già vissuto una situazione simile.

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Presidi

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Prevenzione

La prevenzione è l’insieme di azioni finalizzate ad impedire o ridurre il rischio che si verifichino eventi non desiderati.

In ambito sanitario indica l’azione che mira a ridurre la mortalità, l’incidenza e le possibili complicanze delle malattie o gli effetti dovuti a determinati fattori di rischio, promuovendo la salute ed il benessere individuale e collettivo.

Le attività di prevenzione sono parte della tutela e promozione della salute e rientrano nelle competenze tipiche delle professioni sanitarie (medico, infermiere, ostetrica, assistente sanitario, psicologo, fisioterapista…).

La promozione della salute e gli interventi di prevenzione (corretti stili di vita, diagnosi precoce, vaccini e prevenzione degli incidenti a casa, al lavoro, in strada e nel tempo libero, sicurezza di ciò che mangiamo e beviamo, protezione dei bambini da giochi e prodotti pericolosi) sono determinanti per il benessere delle persone, per la qualità della vita ma anche per la sostenibilità del sistema sanitario.

Esistono tre livelli di prevenzione:

  • Prevenzione primaria: è la forma classica e principale di prevenzione, focalizzata sull’adozione di interventi e comportamenti in grado di evitare o ridurre l’insorgenza e lo sviluppo di una malattia o di un evento sfavorevole. La maggior parte delle attività di promozione della salute verso la popolazione sono misure di prevenzione primaria, in quanto mirano a ridurre i fattori di rischio da cui potrebbero derivare un aumento dell’incidenza delle malattie. Alcuni esempi: le vaccinazioni, la promozione dell’attività fisica, l’educazione alimentare, gli interventi educativi e di sostegno alla cessazione dell’abitudine tabagica; in campo ambientale la riduzione dell’inquinamento, la realizzazione di piste ciclabili o percorsi pedonali nell’ambito dei piani di governo del territorio, la gestione corretta dei rifiuti, …
  • Prevenzione secondaria: è detta anche diagnosi precoce ed ha lo scopo di impedire che una patologia, ancora agli inizi o in assenza di sintomi che la rendano evidente, possa diventare più grave. Nella prevenzione secondaria i controlli generalmente sono mirati alle persone a maggior rischio, per età o per familiarità con patologie particolari. La precocità di intervento aumenta le opportunità terapeutiche e riduce gli effetti negativi. Un esempio di prevenzione secondaria sono gli screening, che coinvolgono la popolazione sana in determinate fasce di età, invitandola a sottoporsi a test specifici (pap test, ricerca del sangue occulto nelle feci, mammografia).
  • Prevenzione terziaria: è orientata alla prevenzione delle complicanze delle malattie, delle probabilità di ricadute o di riacutizzazioni. In particolare per le malattie croniche (quali diabete, ipertensione, scompenso cardiaco, broncopneumopatia cronica ostruttiva, …) l’aderenza alla terapia prescritta e l’adozione di stili di vita adeguati (alimentazione, attività fisica, evitare il fumo) rappresentano fattori di prevenzione fondamentali per migliorare il controllo della malattia e la qualità di vita della persona (e spesso anche dei familiari).

Quando si assiste a domicilio una persona che ha perso in parte o completamente l’autonomia, è importante adottare tutti gli accorgimenti utili a prevenire ulteriori problemi e rendere il più sicuro possibile l’ambiente di vita.

È in quest’ottica che si sviluppano gli interventi per prevenire le piaghe da decubito e, più in generale, la sindrome da immobilizzazione nelle persone allettate, la prevenzione delle cadute nelle persone che presentano difficoltà nel camminare o problemi di attenzione o che sono costrette a letto, la prevenzione degli incidenti domestici, di errori nella somministrazione dei farmaci, …

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Privacy

Quando si parla di privacy spesso il primo pensiero va ai moduli che devono essere compilati e firmati per poter usufruire di servizi o prestazioni nei settori più disparati: dalla banca all’ospedale, dall’assicurazione all’ufficio postale, per avere tessere di esercizi commerciali, per registrarsi su siti internet o fare acquisti on line, …

In tanti casi, infatti, l’approccio burocratico fa perdere di vista il significato di un processo finalizzato a tutelare un diritto fondamentale: la riservatezza dei dati che ci riguardano (personali, identificativi, sensibili, giudiziari).

Il concetto di privacy ha subito una notevole evoluzione nel nostro ordinamento giuridico.

Dall’iniziale interpretazione legata al “Diritto ad essere lasciato solo” (1890 Warren e Brandeis) si è passati al “Diritto a chiedere di se stesso”, al “Diritto di scegliere quel che si è disposti a rivelare agli altri”, fino al “Diritto di controllare l’uso delle informazioni che ci riguardano”, accentuando il ruolo della privacy come forma di libertà.

Oltre a questa accezione giuridica, il termine privacy, per chi assiste e viene assistito, evoca anche altri aspetti che nascono dalla situazione che ci si trova ad affrontare.

Primariamente tutelare la privacy dell’assistito vuol dire rispettare la sua intimità ed il suo bisogno di riservatezza: molti gesti finalizzati a soddisfare i bisogni di base (igiene, movimento, alimentazione, eliminazione, …), così come molte tecniche assistenziali, comportano un contatto con il corpo, da cui derivano emozioni e sentimenti. Si comprende pertanto come è a partire dai semplici gesti quotidiani, dall’attenzione alle abitudini ed alle preferenze dell’assistito che ha luogo il rispetto della persona e della sua privacy.

Un altro “punto nevralgico”, che viene sollecitato quando si attiva un’assistenza a domicilio, è la presenza di estranei in casa che, seppure rappresentano delle risorse fondamentali (si pensi all’infermiere, al medico curante, all’assistente sociale, alla eventuale badante o assistente domiciliare, …), dall’altro “invadono” il proprio ambiente di vita.

Spesso, per garantire maggiore comfort alla persona assistita e a chi assiste, è necessario cambiare arredi, sostituire mobili che hanno accompagnato una vita con presidi sanitari molto più funzionali ma “freddi” (un esempio per tutti il letto articolato che sostituisce il letto matrimoniale).

Trovare compromessi accettabili diventa indispensabile, non dimenticando le proprie emozioni e quelle della persona assistita.

… e la legge cosa dice?

Il Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 – “Codice in materia di protezione dei dati personali”, conosciuto come “Codice della privacy” in vigore dal 1° gennaio 2004 – riunisce in un Testo Unico la legge 675/1996 – ora abrogata – e gli altri decreti legislativi che disciplinano i trattamenti di dati personali in particolari settori, regolamenti e codici deontologici che si erano succeduti negli anni e contiene rilevanti innovazioni, tenendo conto dei più importanti provvedimenti e decisioni adottati dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali e delle direttive UE in materia.

La finalità del codice è quella di garantire che il trattamento dei dati si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato (persone fisiche, persone giuridiche e ogni altro ente o associazione), riconoscendo al soggetto il diritto alla conoscenza e al controllo della circolazione delle informazioni che lo riguardano.

Ricevere chiare informazioni rispetto a quanto viene proposto ed esprimere un consenso informato anche in merito a come saranno gestiti i dati richiesti è, quindi, un diritto previsto dalla normativa.

Libri, film, canzoni

Film “Mar Nero” Italia,Romania,Francia 2008, Regista: Federico Bondi

https://www.youtube.com/watch?v=Na_0Qkm8JWk

Angela è appena giunta in Italia dalla Romania avendo trovato un posto come badante a Firenze. La donna anziana di cui si deve occupare è Gemma che ha un figlio sposato che vive a Trieste. Il marito le è appena morto e ha bisogno di aiuto. È però una donna dal carattere molto rigido e autoritario e fa fatica ad accettare che una sconosciuta le giri per casa.

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Pronto soccorso

Il pronto soccorso è il servizio ospedaliero dedicato ai casi di urgenza ed emergenza.

L’accoglienza viene effettuata da personale infermieristico secondo un sistema di valutazione chiamato triage. Tale valutazione aiuta ad individuare, sulla base della gravità del caso (e non sull’ordine di arrivo in pronto soccorso!), a chi prioritariamente prestare le prime cure.

L’infermiere presente in sala di attesa raccoglie i dati sull’accaduto ed esegue i primi interventi di soccorso; ad ogni caso viene assegnato un codice/colore:

  • codice rosso che corrisponde a emergenza assoluta con necessità immediata di cure
  • codice giallo (o “urgenza”), con possibile attesa di 10-15 minuti prima dell’accesso alle cure
  • codice verde (o “urgenza differibile”) cioè senza segni di imminente pericolo di vita
  • codice bianco (o “nessuna urgenza”) che in alcuni casi viene fatto coincidere con “accesso improprio” e quindi sottoposto al pagamento del ticket.

È bene utilizzare i servizi del pronto soccorso per problemi urgenti e non risolvibili dal medico di famiglia, dal pediatra di famiglia o dai medici della continuità assistenziale (guardia medica): un corretto utilizzo delle strutture sanitarie evita disservizi per le strutture stesse e per gli altri utenti.

Quando si assistono persone a domicilio, è bene condividere con il medico di famiglia quali sono le situazioni di instabilità che possono essere gestite a domicilio (anche con il supporto degli operatori di riferimento) e quali necessitano invece di cure urgenti presso il pronto soccorso.

In particolare, quando si decide di assistere i propri cari a domicilio anche nel “fine vita” è importante essere preparati a gestire l’evolversi della situazione ed evitare ricoveri “dell’ultimo minuto” che portano la persona a morire in ospedale. Non è facile, ma se si è condiviso il percorso-frutto in molti casi del desiderio dell’assistito- e si è sostenuti da tutta l’équipe, è possibile portare fino in fondo questa scelta.

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Protezione giuridica

La Legge 6 del 2004, ha introdotto una nuova misura di Tutela della persona fragile: “La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio.”

Regione Lombardia ha emanato disposizioni regionali per assicurare la piena applicazione della L 6/2004, in particolare istituendo in ogni ASL della Lombardia un Ufficio di Protezione Giuridica che:

  • offra ai cittadini, alle famiglie ed alle strutture informazioni e consulenza
  • coordini le attività dei diversi Enti a favore della protezione giuridica
  • collabori con il Tribunale per la realizzazione degli obiettivi indicati dalla L 6/2004.

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Psicologo

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Rabbia

Tra le emozioni, la rabbia è sicuramente una delle più intense e travolgenti, quella che accende e colora di toni intensi la nostra vita. È un sentimento comune di cui tutti noi abbiamo fatto esperienza, sia come semplice e fugace fastidio, sia come vera esplosione incontrollata. È un’emozione considerata fondamentale da tutte le teorie psicologiche; insieme alla gioia e al dolore è una tra le emozioni più precoci (il bambino che non è coccolato dalla mamma ha come reazione il pianto, che equivale allo sfogo della rabbia).

Moltissimi sono i termini linguistici che si riferiscono a questa reazione emotiva: collera, esasperazione, furore ed ira rappresentano lo stato emotivo intenso della rabbia, mentre irritazione, fastidio, impazienza esprimono lo stesso sentimento ma d’intensità minore.

Si tratta di un’esperienza forte e molto comune, che ognuno vive secondo le proprie specificità individuali: c’è chi dice di non arrabbiarsi mai e chi è sempre pronto a scattare.

La rabbia è la reazione ad un limite; esprime il bisogno, molto vitale, di affermare il proprio Io: i bambini si arrabbiano violentemente con le cose, con i divieti e le persone.

Come tutte le emozioni, non è mai giusta o sbagliata: c’è e bisogna prenderne atto, comprenderla e gestirla al meglio, per evitare che possa causare problemi a sé stessi e nei rapporti interpersonali.

Perché ci arrabbiamo

Per la maggior parte delle teorie la rabbia rappresenta la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica che psicologica: ci si arrabbia quando qualcosa o qualcuno si oppone intenzionalmente alla realizzazione di un nostro bisogno.

Alcune persone si arrabbiano più facilmente e più intensamente rispetto ad altre. Ci sono persone che mostrano la loro rabbia in modi spettacolari ad alta voce, altre che sono costantemente irritabili e scontrose, altre che non manifestano mai atteggiamenti di opposizione o aggressivi, per scelta o incapacità ad esprimere emozioni forti.

Come si esprime la rabbia

Per quanto siano estremamente forti le pressioni contro la manifestazione della rabbia, essa possiede una tipica espressione facciale, ben riconoscibile in tutte le culture studiate. L’aggrottare violento della fronte e delle sopracciglia e lo scoprire e digrignare i denti, rappresentano le modificazioni sintomatiche del viso che meglio esprimono l’emozione della rabbia. Tutta la muscolatura del corpo può estendersi fino all’immobilità.

Le sensazioni soggettive più frequenti sono la paura di perdere il controllo, l’irrigidimento della muscolatura, l’irrequietezza ed il calore. La voce si fa più intensa, il tono sibilante, stridulo e minaccioso.

L’organismo si prepara all’azione, all’attacco e all’aggressione. Le variazioni psicofisiologiche sono quelle tipiche di una forte attivazione del sistema nervoso autonomo simpatico (accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione arteriosa e dell’irrorazione dei vasi sanguigni periferici, aumento della tensione muscolare e della sudorazione).

Esprimere o inibire la rabbia?

Un’ampia letteratura scientifica sottolinea quanto sia importante, per il proprio benessere fisico e psicologico, regolare le emozioni. Non controllarle, ma saperle gestire. È dimostrato che reprimere cosa si sente, così come esserne sopraffatti, è fisiologicamente molto “costoso” per l’organismo e comporta effetti negativi che possono sfociare in disturbi di vario tipo.

Un incremento sia in senso repressivo che aggressivo della regolazione della rabbia è correlata a stati patologici diversi. In sostanza, mandarla giù fa male, come fa male anche urlarla. Il mito dello sfogo, di fare a pezzi quello che capita, di urlare e aggredire per scaricarsi è una modalità che non solo non aiuta a liberarsene ma, anzi, la alimenta causando inoltre grossi disagi relazionali.

D’altro canto anche reprimere le manifestazioni d’ira è nocivo alla salute psicofisica: depressione, problemi psicosomatici come l’ulcera e l’emicrania possono colpire i troppo accomodanti.

Come gestire la rabbia

La rabbia è spesso considerata come un emozione negativa da non esprimere e, di conseguenza, non sempre impariamo a gestirla o incanalarla in modo costruttivo.

Non è negativa di per sé, ha infatti funzioni adattive importanti (rende energici, difende, allerta e dà la carica per affrontare le situazioni) ma non saperla dosare ed elaborare intossica e danneggia seriamente salute e relazioni.

Il modo più naturale che abbiamo di esprimerla è quello di comportarci in modo aggressivo, sia verbalmente che con azioni. Questo atteggiamento non è costruttivo, danneggia la relazione ed impedisce il confronto.

La cosa migliore – che dobbiamo imparare a fare – è entrare in contatto con ciò che proviamo, decodificarlo (cercare di capire chiaramente il suo messaggio: dove ci sentiamo colpiti, cosa vorremmo) e cercare di esplicitare ciò che ci crea disagio evitando che l’interlocutore si senta aggredito.

Per scaricare la tensione è inoltre utile dedicarsi ad attività fisiche quali frequentare una palestra, praticare sport, lavorare manualmente, ecc.

Se il malessere tende a perdurare e ripresentarsi significa che vi è un comportamento, uno stile di vita ormai consolidato su cui occorre lavorare più approfonditamente, eventualmente con una psicoterapia.

I vantaggi di saper gestire correttamente la rabbia

La rabbia è l’emozione più soggetta a disapprovazione sociale e quindi è diffuso negarla o inibirla. Nonostante ciò la sua gestione emotiva è una necessità imprescindibile per poter affrontare i conflitti con competenza ed efficacia e per il proprio benessere psicofisico.

È stato dimostrato un legame tra regolazione delle emozioni e salute fisica degli individui. Per quanto riguarda la rabbia si è osservato che:

  • quando ci arrabbiamo il nostro corpo produce e rilascia gli ormoni dello stress adrenalina e cortisolo
  • il cortisolo ha un effetto depressivo sul sistema immunitario, favorisce l’atrofia delle cellule cerebrali e la perdita di memoria, innalza la pressione sanguigna e il tasso di zuccheri, tende a indurire le arterie e a provocare malattie cardiache
  • l’espressione abnorme della rabbia, così come un’eccessiva inibizione, si correla a disturbi asmatici
  • reprimere la rabbia comporta effetti negativi a carico del sistema nervoso centrale, cardiovascolare, endocrino e immunitario. Depressione, ulcera e mal di testa sono i disturbi più comuni per i troppo accomodanti
  • chi è irascibile e aggressivo rischia molto di più aritmie e attacchi di cuore rispetto a chi reagisce senza infiammarsi alle situazioni di stress e di conflitto
  • esistono legami evidenti tra dolore cronico, rabbia e depressione.

Caregiving e rabbia

Fare il caregiver è fonte di stress fisico e mentale.

Molto spesso le persone assistite sono affette da patologie la cui progressione spesso non può essere arrestata ma, al più, solo rallentata.

Vedere che il proprio continuo investimento di energie non produce i risultati immaginati fa nascere il sentimento di forte delusione e fallimento che spesso produce irritazione, nervosismo, rabbia.

Si può provare rabbia verso Dio, che ha fatto sì che questo (la malattia e la necessità di farvi fronte) succedesse, verso i sanitari che hanno comunicato la diagnosi (“ambasciatori che portano pena”) e che si stanno occupando della cura in maniera differente da come ci si attenderebbe, verso l’assistito, che avrebbe forse potuto comportarsi diversamente per evitare di ammalarsi, verso sé stessi, poiché ci si sente incastrati in un ruolo che non si riesce a vivere come si vorrebbe (impossibilità di migliore le cose).

Di fronte a momenti di rabbia, più che colpevolizzarsi è utile cercare un aiuto e parlare con altri caregiver che hanno avuto o che stanno affrontando la stessa esperienza.

Libri, film, canzoni

Paradiso amaro” – Film – USA – 2011 – Regia: Alexander Payne

https://www.youtube.com/watch?v=V9FQCeBlNjw

Racconta la storia di un marito e padre da sempre indifferente e distante dalla famiglia fin quando la moglie rimane vittima di un incidente in barca che lo costringe a riavvicinarsi alle due figlie e quindi a riconsiderare il suo passato e valutare un nuovo futuro.

Il film esplora il confine fra la sofferenza causata dal distacco e la rabbia che spesso si prova per l’oggetto del distacco. Con grande sensibilità ci mostra gli stati d’animo altalenanti di chi si sta preparandosi ad una perdita e passa dal risentimento alla quasi indifferenza, dall’incredulità alla rassegnazione, affronta infine il mistero della morte e solleva tutte quelle domande che ci facciamo quando uno dei nostri cari sta per lasciarci.

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Residenza Sanitaria Assistenziale – RSA

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Residenze Sociosanitarie per Disabili – RSD

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Riabilitazione

La riabilitazione è un processo di soluzione dei problemi e di educazione nel corso del quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale con la minore restrizione possibile delle sue scelte operative.

Il processo riabilitativo coinvolge anche la famiglia del soggetto e quanti sono a lui vicini. Riguarda pertanto, oltre agli aspetti strettamente clinici, anche aspetti psicologici e sociali. Per raggiungere un buon livello di efficacia qualsiasi progetto di riabilitazione, per qualsiasi individuo, deve quindi essere mirato su obiettivi plurimi, programmati in maniera ordinata, perché il recupero funzionale raggiungibile nei diversi ambiti possa tradursi in autonomia.

L’intervento riabilitativo viene finalizzato verso quattro obiettivi:

− il recupero di una capacità (competenza funzionale) che, per ragioni patologiche, è andata perduta;

− l’evocazione di una competenza che non è comparsa nel corso dello sviluppo;

− la necessità di porre una barriera al peggioramento progressivo, cercando di modificare la storia naturale delle malattie cronico-degenerative;

− la possibilità di stimolare capacità alternative che possano compensare la riduzione dell’autonomia.

E’ utile distinguere fra interventi riabilitativi prevalentemente di tipo sanitario e interventi riabilitativi prevalentemente di tipo sociale, che fanno capo a specifiche reti di servizi e di presidi riabilitativi, a loro volta necessariamente connesse.

L’offerta di servizi integrati sociali e sanitari può essere organizzata attraverso il ricorso a strutture diurne e residenziali e/o in forma domiciliare, allo scopo di garantire assistenza qualificata.

I principali professionisti della riabilitazione, oltre ai medici fisiatri, sono rappresentati da fisioterapista, logopedista, educatore professionale, terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, tecnico della riabilitazione psichiatrica, terapista occupazionale, ortottista e assistente di oftalmologia, podologo.

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Ricetta

La ricetta medica è un documento scritto, redatto da un medico chirurgo (laureato in medicina e chirurgia, abilitato all’esercizio della professione ed iscritto all’Albo professionale), che consente al paziente di ottenere la consegna dei medicinali, secondo quanto elencato, da parte del farmacista o l’effettuazione di prestazioni specialistiche ambulatoriali da parte delle strutture sanitarie a contratto con il Servizio Sanitario Nazionale.

La “ricetta bianca”

La ricetta scritta, a mano o tramite computer, su un comune foglio di carta (cosiddetta “ricetta bianca”) può essere utilizzata per la prescrizione di farmaci; deve contenere i seguenti elementi:

  • nome e cognome del medico ed eventuale struttura sanitaria di appartenenza
  • nome del farmaco o del principio attivo
  • luogo e data di compilazione della ricetta
  • firma autografa del medico.

Può inoltre riportare:

  • il nominativo dell’assistito
  • il dosaggio del farmaco (se manca il farmacista è tenuto a consegnare la confezione con la minor quantità possibile di principio attivo)
  • la posologia (ovvero quantità/orari).

I farmaci prescritti con la “ricetta bianca” sono sempre a totale carico dell’assistito. Per ottenere farmaci a totale o parziale carico dello Stato, nei casi previsti dalla legge, è indispensabile che il medico utilizzi l’apposito modulo per la prescrizione a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

Con la “ricetta bianca” possono essere prescritti tutti quei farmaci che sulla confezione recano la dicitura: “Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica”.

La “ricetta bianca” ha validità non superiore a sei mesi a partire dalla data di compilazione e, comunque, per non più di dieci volte, salvo che per alcune categorie di farmaci (come gli ormoni o gli ansiolitici), per i quali il periodo di validità della ricetta è più breve. Entro questi limiti, quindi, la ricetta è “ripetibile” nel senso che l’assistito può continuare ad esibirla al farmacista per acquistare i farmaci, fino al termine della sua validità. Infatti, ogni volta che viene presentata al farmacista per l’acquisto del medicinale, la ricetta viene timbrata ma poi riconsegnata all’assistito per il suo uso futuro. Tuttavia se il medico indica espressamente un numero di confezioni di medicinale superiore all’unità, la ricetta diventa “non ripetibile” e, quindi, è utilizzabile solo per quella volta.

La “ricetta del Servizio Sanitario Nazionale”

Il medico utilizza il cosiddetto “ricettario rosa” per la prescrizione, a totale o parziale carico dello Stato, di prestazioni specialistiche ambulatoriali o di farmaci (limitatamente a quelli che l’AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco – ha posto in “fascia A “).

Possono usare il “ricettario rosa”:

  • i medici di medicina generale convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale
  • i medici addetti alla continuità assistenziale
  • i pediatri di libera scelta convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale
  • gli specialisti che operano in strutture ambulatoriali o di ricovero a contratto con il Servizio Sanitario Nazionale.

Non possono prescrivere sul “ricettario rosa” i medici quando operano in regime libero professionale.

La ricetta redatta sul “ricettario rosa” deve avere oltre agli elementi essenziali della “ricetta bianca” anche:

  • il codice fiscale dell’assistito
  • l’Azienda Sanitaria di riferimento
  • le eventuali esenzioni
  • l’eventuale nota AIFA pertinente (prevista per alcuni farmaci che possono essere usati solo in presenza di precise condizioni, certificate mediante l’apposizione sulla ricetta del numero della nota AIFA corrispondente).

L’assistito può chiedere che sul proprio nome e cognome sia apposta una etichetta adesiva per tutelare la sua riservatezza.

La ricetta de materializzata

La “ricetta dematerializzata” ha lo scopo di superare la prescrizione medica cartacea sostituendola con la “ricetta elettronica”. La vecchia ricetta rossa è sostituita, a tutti gli effetti sanitari e amministrativi, dal documento elettronico della prescrizione firmato digitalmente dal medico prescrittore e registrato sui sistemi informativi centrali. In Lombardia il progetto “Ricetta Dematerializzata (DEM)” è realizzato in ottemperanza a normative nazionali definite dal Ministero delle Finanze.

Effettuata la prescrizione elettronica, inizialmente limitata alle prestazioni farmaceutiche, il medico stampa e rilascia al paziente un promemoria da consegnare in farmacia contenente i dati identificativi della ricetta dai quali il farmacista accede alla prescrizione on line. Il progetto regionale di ricetta dematerializzata aveva temporaneamente escluso le ricette farmaceutiche per gli assistiti con esenzione per patologia cronica/malattia rara e stato reddituale in quanto era necessaria la firma sulla ricetta per l’autocertificazione del diritto all’esenzione; tale limite è stato superato con una progressiva autocertificazione, già attivata nelle ASL e in farmacia, e l’introduzione dei codici di esenzione E30/E40, comprensivi sia della condizione di patologia/malattia rara che dello stato reddituale. L’adozione di formati digitali rende possibile lo scambio di informazioni ed automatizza i processi di gestione delle ricette mediche nelle fasi di prescrizione, dispensazione, contabilizzazione e verifica.

Le responsabilità del medico prescrittore

La “ricetta rosa” non serve solo per ritirare i medicinali in farmacia, ma serve anche al farmacista per farsi rimborsare dallo Stato il costo dei medicinali forniti agli assistiti.

Questa ricetta, quindi, ha anche una finalità amministrativa e contabile perché con essa il medico pone a carico della finanza pubblica la spesa dei medicinali.

Per questo motivo, la sua redazione richiede la massima attenzione ed il massimo scrupolo: ad esempio, eventuali prescrizioni di farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale che siano ritenute inappropriate, possono essere contestate al medico da parte della Corte dei Conti.

La ricetta a carico del Servizio Sanitario Nazionale, essendo prodotta da un medico dipendente o convenzionato, ha la natura giuridica di atto pubblico ed il medico prescrittore assume la qualifica di pubblico ufficiale (medico dipendente) o incaricato di pubblico servizio (medico convenzionato), con pene molto severe in caso di falsità.

Ma non è necessario arrivare alle sanzioni penali: anche la semplice inappropriatezza della prescrizione (che non è quindi una ipotesi di falsità) espone il medico al rischio di essere accusato di danno erariale.

La “ricetta bianca”, invece, è una scrittura privata e quindi la sua eventuale falsità soggiace a pene meno severe, anche se comunque non certo irrilevanti.

Ovvio: la ricetta non deve essere falsa!

La prescrizione di un medicinale presuppone che il medico abbia direttamente riscontrato l’esistenza di una patologia per la cui cura è necessario il farmaco prescritto nella ricetta. Per cui la prescrizione di un medicinale effettuata senza constatare personalmente l’esistenza di una patologia espone il medico al rischio di incorrere nel reato di falso ideologico.

Ovviamente questo principio vale in senso generale, nel senso che se il medico conosce il paziente ed è a conoscenza del tipo di patologia da cui è affetto (ad esempio, una malattia cronica), può anche rilasciare la ricetta senza dover necessariamente visitare ogni volta il paziente.

L’importante, però, è che il medico non rilasci mai ricette “al buio”, senza essere sicuro della patologia esistente o basandosi soltanto su quanto gli viene riferito, senza aver provveduto a riscontrare oggettivamente la sussistenza della patologia.

La sostituzione del farmaco in farmacia

Il farmacista non può sostituire il farmaco se il medico ha specificato sulla ricetta “farmaco non sostituibile”.

Se questa precisazione non c’è, il farmacista per legge deve informare l’assistito dell’eventuale esistenza di un farmaco equivalente (cosiddetto “generico”) avente il medesimo principio attivo e l’assistito può acconsentire di ricevere il medicinale equivalente al posto di quello di marca.

Se però l’assistito si rifiuta di ottenere il medicinale equivalente e pretende comunque il farmaco di marca, oppure se il medico ha indicato che la sua prescrizione non è sostituibile, l’assistito è tenuto a pagare la differenza fra il costo del farmaco equivalente (coperto dallo Stato) e il costo del farmaco di marca.

La consegna in farmacia di farmaci urgenti

La legge prevede che, in caso di estrema necessità e urgenza, il farmacista possa consegnare all’assistito, anche in assenza di prescrizione medica, i farmaci che di norma avrebbero bisogno della ricetta medica.

Per esempio quando l’assistito, dimesso il giorno precedente dall’ospedale, richiede al farmacista un cortisonico iniettabile mostrando la documentazione ospedaliera che raccomanda il trattamento con quel tipo di farmaco. Oppure quando il paziente chiede al farmacista un farmaco per il quale è già presente in farmacia una ricetta non anteriore a sei mesi, con la stessa prescrizione. Il farmacista deve, comunque documentare in apposito registro questi casi eccezionali.

Ricette per farmaci particolari

La ricetta “limitativa” è la ricetta che contiene la prescrizione di medicinali la cui utilizzazione è limitata all’ambiente ospedaliero e che riportano sulla confezione la dicitura: “Uso riservato agli ospedali. Vietata la vendita al pubblico”.

E’ pure una ricetta “limitativa” quella che prescrive farmaci vendibili al pubblico, ma solo dietro piano terapeutico di centri ospedalieri o di particolari categorie di medici specialisti.

Infine è anche una ricetta “limitativa” quella che riguarda medicinali utilizzabili esclusivamente dal medico specialista durante la visita ambulatoriale.

Per la prescrizione di farmaci stupefacenti, che vengono impiegati per il controllo del dolore in pazienti affetti da patologie gravi, la legge prevede specifiche modalità di prescrizione e di distribuzione, in alcuni casi anche mediante l’utilizzo di uno ricettario speciale.

Attenzione: i farmaci non sono mai acqua!

I farmaci non sono mai assolutamente innocui e quindi la loro prescrizione deve essere attentamente ponderata dal medico, in relazione alle effettive necessità del paziente.

Per questo è necessaria la massima attenzione e la massima diligenza nella prescrizione di farmaci, così come è dovere deontologico del medico informare adeguatamente il paziente sulle modalità di uso e somministrazione del farmaco, onde evitare rischi per la sua salute.

A maggior ragione quando si prescrivono farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale, perché in questo caso il medico di fatto pone a carico della finanza pubblica il costo dei medicinali e, in caso di errori o prescrizioni inappropriate, ne risponde anche davanti alla Corte dei Conti.

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RSA – Residenza Sanitaria Assistenziale

La RSA – Residenza Sanitaria Assistenziale, una volta chiamata “casa di riposo” o “struttura protetta”- è un istituto di ricovero pubblico o privato che accoglie persone anziane non autosufficienti, non più in grado di rimanere al proprio domicilio a causa della compromissione delle loro condizioni di salute e autonomia.

Cosa offre

La RSA garantisce l’assistenza, le cure sanitarie necessarie (mediche, infermieristiche, riabilitative) ed un ambiente che consente di tutelare la qualità di vita dell’anziano.

Secondo la normativa nazionale la RSA deve offrire agli ospiti:

  • una sistemazione residenziale organizzata in grado di rispettare il bisogno individuale di riservatezza e di privacy, stimolando comunque la socializzazione tra gli ospiti
  • tutti gli interventi medici, infermieristici e riabilitativi necessari a prevenire e curare le malattie croniche e le loro riacutizzazioni
  • un assistenza individualizzata, orientata alla tutela e miglioramento dei livelli di autonomia, al mantenimento degli interessi personali e alla promozione del benessere.

Tipi di RSA

Esistono modelli diversi di RSA, variabili soprattutto in base alla regione.

La permanenza in RSA può essere temporanea o a tempo indeterminato.

Alcune RSA accolgono anche pazienti in stato vegetativo persistente.

Quanto costa

In Lombardia le RSA possono essere pubbliche o private (accreditate o no). Nelle RSA accreditate (sia private che pubbliche) e che hanno un contratto con l’ASL, una parte della retta viene sostenuta dal Fondo Sanitario Regionale, la rimanente dalla persona stessa o dal Comune dove questa risiede. Nelle RSA che non hanno un contratto con l’ASL i costi, variabili a seconda della RSA, sono totalmente a carico dell’ospite o del Comune di residenza.

L’ammontare della retta a carico della persona – che copre le spese alberghiere – è consultabile nella carta dei servizi della RSA.

A chi posso rivolgermi

Per richiedere l’accesso ad una RSA pubblica o convenzionata è necessario rivolgersi all’ASL o al Servizio Sociale del Comune (o quartiere) di residenza che accerterà la condizione di non autosufficienza.

Per avere maggiori informazioni

Per avere maggiori informazioni sulle RSA visita il sito ASL di residenza.

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RSD – Residenza Sociosanitaria per Disabili

Le Residenze socio-sanitarie per i disabili sono strutture a carattere socio-sanitario e socio-assistenziale destinate a persone con disabilità che risultano prive del necessario supporto familiare o per le quali la permanenza nel proprio nucleo familiare sia valutata temporaneamente o definitivamente impossibile.

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SAD – Servizio Assistenza Domiciliare

Il Servizio Assistenza Domiciliare (SAD) è un servizio fornito dai Comuni alle persone con ridotta o nulla autonomia. Permette di gestire situazioni di parziale o totale non autosufficienza al proprio domicilio così da mantenere la persona nel proprio ambiente evitando il ricorso a strutture residenziali.

Cosa offre

Il SAD fornisce aiuto a domicilio alle persone con ridotta o nulla autonomia che consiste in :

  • igiene personale, bagno, mobilizzazione della persona costretta a letto, aiuto nella deambulazione, nell’assunzione dei pasti e nella vestizione
  • interventi sulla realtà abitativa e sociale della persona sola senza aiuti familiari (riordino locali, aiuto per la spesa e per la preparazione pasti, cambio della biancheria, disbrigo pratiche e mantenimento dei rapporti sociali con il vicinato)

Quanto costa

Il servizio è a pagamento in rapporto alla situazione economica dell’interessato.

Posso richiederlo?

Possono usufruire del servizio:

  • persone anziane o malate che vivono sole con parziale autosufficienza o a rischio di emarginazione sociale che necessitano di aiuto anche per un periodo temporaneo
  • persone totalmente o parzialmente non autosufficienti inserite in un nucleo familiare che necessita di assistenza
  • persone in dimissione protetta dai reparti ospedalieri.

A chi posso rivolgermi

La richiesta va presentata al Servizio Sociale del Comune di residenza, che esprime parere di idoneità all’utilizzo del servizio compatibilmente con le risorse disponibili.

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Scelte di vita

La storia di Federico

“Ricordo un’infanzia serena, una famiglia per me “normale”, perché il concetto di normalità un bambino lo associa ai suoi affetti, alla sua esperienza e finché non cresci e un giorno qualcuno ti dice che quella cosa, quella persona “non sono normali” tu ti chiedi cosa possa significare.

Maria, la più grande di noi quattro fratelli, è nata con una disabilità psichica e funzionale.

Per me era Maria. La vedevo crescere in carrozzina, con le cure della mamma, del papà e di noi tre fratelli maschi, che con lei ci divertivamo a stimolare ogni forma di linguaggio, perché quello verbale non lo conosceva.

Al mattino, prima di andare a scuola, tutti in bagno con la mamma e, mentre si attendeva il turno al lavandino, si accudiva Maria per permettere alla mamma di preparare le merende da mettere in cartella ed i giubbini pronti sulle sedie.

Era tutto semplice, naturale. Poi, un giorno, tornando da scuola all’età di nove anni, alcune signore che camminavano di fianco a me, con aria commiserevole mi chiedono di Maria. Rispondo che è a casa con la mamma. Loro, allungando il passo, si allontanano e continuano a parlare. Riesco a sentire le loro parole “Poveri fratelli, chissà cosa sarà di Maria quando i genitori non ci saranno più”. Poi le parole si fanno sempre più lontane e confuse, perché i miei pensieri si confondono in esse… Non so descrivere l’emozione che ho provato in quell’istante, non so nemmeno se “emozione” è il termine giusto… forse sentimento? Sensazione? Ciò che razionalmente ho fissato nella mia mente in quel momento è stata la chiara consapevolezza che IO sarei stato la mamma ed il papà per Maria. Da quel giorno ogni scelta che la vita mi chiedeva si allineava a questo scopo: rimanere pronto e disponibile per Maria. Scuola superiore vicina a casa, poche amicizie, abbandonate nel tempo perché le loro esigenze non potevano corrispondere alle mie, nessuna fidanzata che potesse richiedermi tempo da sottrarre a Maria… Non sapevo come e perché, oggi l’ho capito, tutto succedeva in maniera naturale…inconscia??

La profezia di quelle donne purtroppo si avverò molto presto. Mamma e papà ci hanno lasciati a pochi anni di distanza l’uno dall’altra, ancora giovani. I miei fratelli si sono laureati e sposati, vivono lontano da casa, ma non serbo rancore o cattivi sentimenti nei loro confronti perché da sempre tutti sapevamo che questo era il nostro destino.

Oggi Maria vive con me – che lavoro a tempo parziale (!) – e con una signora che la accudisce quando io non ci sono.

Non ci crederete ma per me questo è e rimane del tutto normale. Per la mentalità del “mondo” sono considerato uno che “se ne è fatto una ragione” oppure “si è sacrificato”…

Ci chiamano “caregiver”!!

Non sento di dovermi inquadrare in un termine se a quel termine diamo un significato per tutti uguale: io sono Federico e questa è la mia vita. Con Maria!

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Scompenso cardiaco

Lo scompenso cardiaco è la malattia cronica che si ha quando il cuore non è più in grado di  pompare sangue in misura sufficiente a soddisfare le richieste dell’organismo. Una minore quantità di sangue che circola nell’organismo comporta una minore disponibilità di ossigeno per i vari organi – che quindi svolgono male la loro funzione – e la comparsa di segni e sintomi tipici (difficoltà a respirare, affaticamento, gonfiore agli arti inferiori). Questi sintomi, insieme ai risultati di alcuni esami (ad esempio l’ecocardiogramma), portano il medico a formulare la diagnosi.

È una malattia cronica molto diffusa; per le persone anziane essa rappresenta una tra le prime cause di ricovero in ospedale.

Fortunatamente lo scompenso cardiaco può essere prevenuto e trattato: essere correttamente informati è uno dei principali strumenti a disposizione.

Per avere maggiori informazioni

Manuale di educazione terapeutica dell’ASL di Brescia: Scompenso una guida al servizio del cuore

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Sedia comoda

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Sicurezza in sé

La sicurezza in sé si lega molto al concetto di autostima. La parola autostima deriva appunto dal termine “stima”, ossia la valutazione e l’apprezzamento di sé stessi e degli altri.

L’autostima è l’idea che ognuno ha di sé. In termini molto pratici, è il voto che ci si dà ponendosi a confronto con il mondo circostante.

Non è un concetto statico, ma dinamico. Per essere positiva e duratura deve provenire dal dentro di sé e non essere legata solo al riconoscimento da parte degli altri, ai risultati o al “successo” raggiunti.

Nel campo assistenziale la capacità di farsi carico a domicilio di un proprio familiare e la sicurezza nel gestire i problemi e le tecniche richieste per soddisfare i bisogni del proprio caro, aumentano nel tempo grazie al consolidamento dell’esperienza.

Rappresentano un aiuto anche i manuali e gli opuscoli, adeguatamente supportati da operatori capaci di accompagnare i caregiver in questo intenso e spesso impegnativo percorso.

Dalla ricerca realizzata dall’ASL di Brescia nel 2010, che ha coinvolto tramite compilazione di un questionario anonimo circa 800 familiari caregiver, emerge come il bilancio della propria attività assistenziale, tra fatiche e soddisfazioni, sia decisamente positivo (nel 31,3% dei casi) o molto positivo (nel 56,5%).

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Solitudine

La storia di Antonio

“La solitudine è una compagna ormai costante del mio viaggio. All’inizio l’ho vissuta con molto fastidio perché era associata a senso di colpa. In seguito, non senza fatica e parecchi scivoloni, ho cominciato a considerarla una stimolante opportunità. La solitudine mi ha aiutato a guardarmi dentro, a scoprire o riscoprire tanti aspetti della mia personalità e del mio carattere che erano nascosti in fondo alla mia anima. Questa ricerca non è indolore, ma trovare giorno dopo giorno energie, motivazioni e stimoli per migliorare la mia nuova vita con Loretta è un’avventura che vale la pena vivere. Il pericolo maggiore della solitudine è quello di consentire che la tavolozza dei nostri sentimenti e delle nostre emozioni viri irrimediabilmente verso il nero. La solitudine affina anche la capacità di cogliere i segni di affetto e di prossimità che gli altri hanno nei nostri confronti.

Non è infrequente, per fortuna, trovare nelle persone con cui abbiamo contatti di necessità anche nel campo medico ed assistenziale una solidarietà e disponibilità che vanno ben oltre il puro rapporto professionale. Anche i compaesani che discretamente, quasi con pudore, chiedono notizie, manifestano non curiosità da colmare ma vera compassione. Compassione che è davvero il “cum patire” latino, cioè il condividere la sofferenza che noi stiamo vivendo.

Uno dei sentimenti che la solitudine ci consente di affinare è la fede in Dio, non un Dio bigotto e perso nei suoi cieli, ma di un Dio vivo e presente che è vicino a noi nelle miserie di ogni giorno. Un Dio che è contemporaneamente dentro la persona di cui ci prendiamo cura e dentro di noi, pronto a condividere i nostri limiti, capire e perdonare i nostri errori e debolezze.

Un’altra delle lezioni della solitudine è la capacità di chiedere aiuto. Specialmente nei primi tempi, quando ero disorientato e smarrito dalla piega che gli eventi stavano prendendo, mi è stato prezioso l’aiuto di una psicologa che seguiva Loretta. Mi ha quasi “forzato” ad accettare il suo aiuto e abbandonarsi senza riserve è stato uno dei primi passi che mi ha consentito di vivere con una diversa consapevolezza la nostra storia nella malattia. Imparare a chiedere aiuto non è ammissione di debolezza ed incapacità a ricoprire il proprio ruolo ma la corretta risposta alle difficoltà sempre nuove che la malattia ci sfida a vivere. Inoltre, proprio nel chiedere aiuto si scopre spesso la generosità degli altri che, come effetto secondario ma certamente non trascurabile, ha di non farci sentire soli nelle difficoltà. Crearsi una rete di persone, familiari, amici, compaesani, medici, infermieri e personale di supporto è fondamentale per dare risposte concrete ed efficaci alle necessità della persona che assistiamo e per vivere anche noi una vita qualitativamente migliore.”

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Sollevatore

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Sondino naso gastrico

È un piccolo tubo di materiale morbido e flessibile che, inserito attraverso la narice, arriva direttamente nello stomaco.

Nella maggior parte dei casi viene posizionato per consentire la somministrazione di liquidi e alimenti in persone che hanno difficoltà o sono impossibilitate a nutrirsi per bocca. Può essere lasciato in sede anche per un lungo periodo di tempo e non impedisce alla persona di mangiare o bere, quando ciò è possibile.

Richiede alcuni semplici accorgimenti da parte di chi assiste per una corretta gestione, soprattutto nel caso in cui sia prevista la somministrazione di farmaci o di soluzioni nutritive.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “La persona con problemi di nutrizione”.

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Stampelle

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Stanchezza

La parola “stanchezza” designa la condizione dell’esser stanco conseguentemente ad una fatica fisica e/o mentale; si dice stanco il soggetto che sente il peso della fatica, che non desidera più continuare e che quindi necessita di riposo, di una pausa; per estensione stanco significa annoiato, seccato, infastidito. Riconoscersi in queste condizioni dovrebbe portare ad interrogarsi sulle energie disponibili e sulla necessità di una “ricarica”.

Si può trattare di una sensazione soggettiva o di una condizione effettiva di indebolimento delle proprie forze e capacità.

È importante per chi assiste concedersi qualche pausa, evitando i sensi di colpa e valorizzando le positive ricadute che i momenti di riposo possono portare a sé stessi, alla propria famiglia ed alla persona assistita.

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Stitichezza

La stitichezza è un disturbo comune che consiste in una riduzione della frequenza dell’emissione di feci con intervallo tra una defecazione e quella successiva superiore ai 3 giorni. Nella maggior parte dei casi le feci sono dure e secche, di difficile espulsione. Durante l’espulsione delle feci è possibile accusare crampi, gonfiore, dolore allo sforzo e una sensazione di svuotamento incompleto dell’intestino.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” – capitolo “Indicazioni generali”.

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Telesoccorso

È un servizio di assistenza telefonica operativo 24 ore su 24 per tutto l’anno.

Cosa offre

Il servizio garantisce un aiuto alla persona che vive sola assicurando un pronto intervento nel caso di malori improvvisi, cadute accidentali, incidenti domestici. Mediante un piccolo telecomando è possibile segnalare alla centrale operativa la richiesta di aiuto e ricevere l’intervento necessario. Vengono inoltre effettuate telefonate di compagnia.

Quanto costa

Il servizio è a pagamento in rapporto alla situazione economica dell’interessato.

Posso richiederlo?

Il servizio è rivolto ad anziani, disabili ed adulti non autosufficienti a rischio sanitario o che chiedono di essere assistiti al proprio domicilio dopo la dimissione da strutture socio-sanitarie.

A chi posso rivolgermi

La richiesta va presentata al Servizio Sociale del Comune di residenza, che esprime parere di idoneità all’utilizzo del servizio compatibilmente con le risorse disponibili.

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Terapia

Il termine terapia deriva dal greco “therapeía” che significa cura.

La terapia è qualunque procedura atta a limitare o eliminare la malattia (includendo la malformazione, il trauma, la devianza, la disfunzione o il malessere), i suoi sintomi o i suoi fattori di rischio, o prevenirne le complicanze, per ripristinare uno stato di salute e/o benessere e adattamento dell’individuo.

Ippocrate citava come strumenti terapeutici del medico il tocco, il rimedio, la parola.

Oggi le terapie tendono ad essere procedure (o protocolli di cura) aventi complessità anche elevata.

Vengono solitamente classificate in farmacologiche, chirurgiche, preventive (profilassi), riabilitative e  palliative. Esistono anche terapie alternative/non convenzionali, rappresentate da pratiche e prodotti che non sono, attualmente, considerate parte della medicina ufficiale. Tali terapie non sono oggetto di approfondimento in questo testo.

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Tracheostomia

La tracheostomia è una via respiratoria alternativa a quella naturale. Con un piccolo intervento chirurgico viene praticato un foro nella trachea che si apre all’esterno a livello del collo. Per mantenere aperta questa via viene posizionata una cannula (cannula tracheostomica).

È importante conoscere le caratteristiche della cannula utilizzata nelle singole situazioni (ne esistono diversi tipi) e le modalità di gestione (pulizia, fissaggio, medicazione) per garantire una corretta respirazione della persona.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” capitolo “La persona con problemi respiratori”.

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Trasporto dal/al domicilio

È un servizio fornito dal Comune alle persone con difficoltà ad utilizzare i mezzi e le cui famiglie di appartenenza non siano in grado di provvedere all’accompagnamento.

Cosa offre

É un servizio completo di andata e ritorno dal domicilio dell’utente alla destinazione, tramite l’impiego di mezzi attrezzati anche per il trasporto di carrozzine.

Quanto costa

Il servizio è a pagamento in rapporto alla situazione economica dell’interessato.

Posso richiederlo?

Possono usufruire del servizio le persone anziane o disabili che necessitano di recarsi presso strutture specializzate per ricevere prestazioni assistenziali o sanitarie o presso sedi scolastiche e lavorative che non sono in grado di raggiungere autonomamente. 

A chi posso rivolgermi

La richiesta va presentata al Servizio Sociale del Comune di residenza, che esprime parere di idoneità all’utilizzo del servizio (reale necessità di trasporto per cure e terapie, impossibilità dei familiari a farsi carico del trasporto stesso) compatibilmente con le risorse disponibili.

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Tripode

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Tumori

Si tratta di diversi tipi di malattie che hanno cause diverse e distinte, che colpiscono organi e tessuti differenti e che richiedono quindi esami e terapie specifiche.

Si può dire che, ad un certo punto, una cellula dell’organismo “impazzisce”, perde alcune sue proprietà, ne acquisisce altre e comincia a moltiplicarsi al di fuori di ogni controllo.

Perché ci si ammala

Nella stragrande maggioranza dei tumori le alterazioni che sono responsabili della malattia sono determinate da cause esterne. L’esposizione prolungata ad agenti come il fumo di sigaretta, l’amianto, alcune sostanze sviluppate dalla combustione del petrolio o del carbone, l’alcool, una dieta squilibrata, i raggi ultravioletti del sole, le sostanze chimiche a cui possono essere sottoposti i lavoratori in certi processi industriali o in agricoltura, possono sommarsi ad una “predisposizione genetica” cioè ad una predisposizione già presente nelle cellule dell’individuo, che porta a riprodurre una cellula anomala a cui consegue lo sviluppo della malattia.

Diversi tipi di tumore

I tumori maligni si distinguono in solidi (95% dei casi) e sistemici (5%).

I tumori solidi si sviluppano dalle cellule di un organo, formano una massa e, all’inizio della malattia, rimangono circoscritti all’organo di origine. Esempi di tumori solidi sono il cancro del seno, del polmone, del rene, della pelle (melanoma).

I tumori sistemici maligni comprendono le leucemie ed i linfomi. Prendono origine dal sangue o dal sistema linfatico interessando, dunque, non un solo organo ma tutto l’organismo.

La cura

Esistono diverse possibilità per trattare il cancro: interventi chirurgici, chemioterapia, radioterapia, ecc.

  • Intervento chirurgico: la maggior parte dei malati di cancro viene sottoposta ad intervento chirurgico con l’obbiettivo di eliminare il tumore il più completamente possibile.
  • Radioterapia: raggi carichi d’energia vengono indirizzati sul tumore per danneggiare il materiale genetico delle cellule neoplastiche che non possono moltiplicarsi e muoiono.
  • Chemioterapia: consiste nella somministrazione di farmaci che ostacolano la crescita delle cellule neoplastiche o addirittura le distruggono. Generalmente vengono iniettati o somministrati tramite fleboclisi.

Molto spesso queste terapie possono essere utilizzate in forma associata, cioè insieme.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” capitolo “La persona malata di cancro”.

Libri, film, canzoni

Annie Parker” – Film – USA – 2013 – Regia: Steven Bernstein

https://www.youtube.com/watch?v=vh9wWEfjPWI

Racconta la storia vera di Annie che, scoperto di avere un cancro al seno, inizia una battaglia per la vita, mostrata nella sua faticosa quotidianità ma affrontata con dignità ed apertura al sorriso.

 “L’amore che resta” – Film – USA – 2011 –  Regia: Gus Van Sant

https://www.youtube.com/watch?v=ffQM4zDcse0

Racconta dell’incontro tra due adolescenti, Annabel, una bella e dolce malata terminale di cancro che ama intensamente la vita e la natura ed Enoch, un ragazzo che si è isolato dal mondo da quando ha perso i genitori in un incidente. Quando i due si incontrano ad una cerimonia funebre, scoprono di condividere molto nella loro personale esperienza del mondo. Quella che nasce come una bizzarra amicizia si trasforma in un amore forte e fragile al tempo stesso, in un supporto reciproco che non si manifesta attraverso il semplice rispecchiarsi, ma tramite un’integrazione che comprende anche la materializzazione delle proprie paure. Paure che sono quelle della perdita e della solitudine, dell’ignoto e del dolore, del senso inafferrabile del vivere.

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Tutela

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UCAM-UVG-UVMD (Unità di Continuità Assistenziale Multidimensionale – Unità di Valutazione Geriatrica – Unità di Valutazione Multi-Dimensionale)

Per facilitare l’utilizzo appropriato dei servizi della rete territoriale e orientare correttamente le famiglie che si trovano a gestire persone con compromissione dell’autosufficienza, dovrebbe essere attivata  una specifica unità operativa che nelle diverse Aziende Sanitarie Locali può assumere diverse denominazioni: UCAM (Unità di Continuità Assistenziale Multidimensionale) o UVG (Unità di Valutazione Geriatrica) o UVMD (Unità di Valutazione Multi-Dimensionale).

L’UCAM-UVG-UVMD è un’équipe multiprofessionale (costituita da medico, infermiere, assistente sociale ed eventualmente integrate da psicologo e specialisti) che ha il principale obiettivo di supportare la famiglia ed il Medico di Medicina Generale o il Pediatra di Libera Scelta nel garantire la continuità clinica, terapeutica ed assistenziale alle persone malate con bisogni complessi e/o non autosufficienti, secondo un piano di intervento personalizzato, globale e condiviso. A tal fine essa si rapporta con gli altri operatori del distretto e con i servizi della rete sanitaria e socio-sanitaria, secondo le caratteristiche ed i bisogni degli assistiti. Il piano personalizzato di intervento è soggetto a periodiche verifiche da parte dell’UCAM-UVG-UVMD per valutare l’adeguatezza degli interventi rispetto agli obiettivi identificati e per eventuali adeguamenti ritenuti necessari.

Sono attivi anche specifici accordi con le strutture di ricovero (Aziende Ospedaliere pubbliche e strutture private accreditate) per favorire passaggi protetti al momento della dimissione o dell’ammissione, che consentano di migliorare la continuità delle cure tra ospedale e territorio.

Per le prestazioni infermieristiche e riabilitative pianificate, l’utente ha la possibilità di scegliere, tra l’elenco di quelli disponibili nello specifico territorio, l’ente da cui ricevere le prestazioni.

Quando la gestione domiciliare non è più adeguata alla situazione, l’UCAM-UVG-UVMD, in accordo con l’utente e la famiglia, può attivare anche i passaggi per l’inserimento nei Centri Diurni Integrati e nelle Residenze Sanitario Assistenziali (le ex case di riposo) anche per ricoveri temporanei di sollievo.

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Vacanze

Forse non vi aspettavate di trovare questo termine poiché non ritenete che “andare in vacanza” sia una priorità nella situazione che state vivendo.

Assistere è un lavoro, tanto è vero che in letteratura si parla di “lavoro di cura”.

La vacanza è definita come “periodo di libertà dal lavoro o dagli obblighi scolastici in coincidenza con festività, turni di riposo o altre circostanze.” Prendersi delle pause dal “lavoro” è funzionale al proprio stato di benessere ed alla qualità dell’assistenza fornita ai propri cari.

Non è sempre facile riconoscersi questo bisogno/diritto e sembra quasi impossibile allontanarsi ed organizzare una sostituzione temporanea durante la propria assenza.

Il primo passo è quello di accantonare i sensi di colpa che possono nascere e conoscere quali sono le possibilità che la rete dei servizi offre. Tra queste i ricoveri di sollievo, i ricoveri notturni, il coinvolgimento di altre figure che possono garantire l’assistenza (altri familiari, badanti, vicini, volontari, …).

Per un aiuto concreto è possibile rivolgersi alle UCAM-UVG-UVMD del distretto.

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Valutazione

La valutazione è parte fondamentale del processo di presa in carico globale della persona e della sua famiglia. È una operazione dinamica e continua che segue l’assistito nel suo percorso.

Esplora le diverse dimensioni della persona, ovvero la dimensione clinica (malattie), funzionale (capacità di far fronte alle funzioni della vita quotidiana), cognitiva, la situazione socio-relazionale-ambientale.

Perché si valuta

La valutazione consente di identificare e definire i problemi della persona e di attivare i servizi e gli interventi adeguati e personalizzati per le singole situazioni.

La valutazione è continua perché deve seguire l’evoluzione dei bisogni e rimodulare le risposte.

A seguito della valutazione viene predisposto un piano individualizzato nel quale vengono descritti i problemi identificati, gli obiettivi da perseguire con i relativi indicatori, gli operatori coinvolti, la durata ed i tempi dell’assistenza.

Chi valuta

La valutazione è effettuata da persone specificamente formate per svolgere questa fondamentale fase del processo assistenziale, dalla quale conseguono le decisioni in merito all’approccio clinico-assistenziale ed ai servizi da attivare.

Le figure che valutano sono il medico, l’infermiere, l’assistente sociale, lo psicologo. Possono inoltre essere coinvolti specialisti (per es. il fisiatra, il geriatra, il palliatore, …).

Nei diversi territori esistono équipe di valutazione multidimensionali (cioè costituite da diversi professionisti) appositamente dedicate a questa funzione (UCAM-UVG-UVMD ).

Come si valuta

Vengono utilizzati strumenti validati scientificamente (scale di valutazione), scelti in funzione dei bisogni che devono essere indagati (per esempio per valutare il rischio di sviluppare lesioni da decubito, l’equilibrio, il rischio di cadute, lo stato cognitivo, la compromissione degli organi, lo stato nutrizionale, …).

Le scale hanno la caratteristica di poter essere compilate più volte nel tempo, consentendo così di monitorare l’evoluzione dei problemi.

Dove si valuta

La valutazione è un processo che può avviarsi in luoghi e tempi diversi in funzione delle singole storie di vita (per esempio in ospedale, in distretto, nello studio medico, …).

Il luogo privilegiato di valutazione è il domicilio dell’assistito perché è nel contesto di vita della persona che possono essere raccolti direttamente tutti gli elementi utili a identificare i problemi e le risorse disponibili.

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Ventilazione polmonare domiciliare

La ventilazione meccanica è una terapia strumentale che, con l’impiego di opportuni apparecchi (ventilatori), ha lo scopo di sostituire o integrare una funzione respiratoria insufficiente, in modo da garantire l’allontanamento dell’anidride carbonica prodotta e l’apporto dell’ossigeno necessario.

La ventilazione meccanica consente di mettere a riposo i muscoli respiratori, di espandere meglio i polmoni e, quindi, di migliorare l’ossigenazione e ridurre la quantità di gas “cattivo” (anidride carbonica) nel sangue.

Essa è utilizzata in maniera continua (24 ore al giorno) o ad intervalli (per esempio, respiro spontaneo da sveglio e ventilazione meccanica durante il sonno), secondo le indicazioni stabilite dal medico specialista.

Per avere maggiori informazioni

Manuale dell’ASL di Brescia “Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso” capitolo “La persona con problemi respiratori”.

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Volontari

I volontari sono le persone che mettono gratuitamente a disposizione una parte del proprio tempo e capacità per gli altri.

Il volontariato è in tutte le sue forme e manifestazioni espressione del valore della relazione e della condivisione con l’altro. Al centro del suo agire ci sono le persone, considerate nella loro dignità umana, nella loro integrità e nel contesto delle relazioni familiari, sociali e culturali in cui vivono.

Può essere operato in svariati settori, sia individualmente che in associazioni organizzate.

È sempre una testimonianza di solidarietà umana ed espressione della volontà di una o più persone di rendersi disponibili ad aiutare chi è in difficoltà.

“Chi nel cammino della vita ha acceso anche soltanto una fiaccola nell’ora buia di qualcuno non è vissuto invano” (Madre Teresa di Calcutta)

“Vivi per te stesso e vivrai invano; vivi per gli altri e ritornerai a vivere (Bob Marley)

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Zero

Un testo intitolato “Io caregiver dalla A alla Z” non poteva concludersi alla lettera V!

In assenza di termini specifici ci è sembrato interessante inserire questa parola.

Tra gli altri significati “zero” indica la “totale assenza di valore in un determinato campo”.

A conclusione di questa raccolta di significati, storie, suggerimenti, stimoli, possiamo concludere che nel campo dell’assistenza non esiste il valore zero perché ogni gesto, ogni sentimento, ogni vicinanza ha un immenso valore!

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