Capitolo 2 – “Mantenimento della capacità funzionale e prevenzione della fragilità attraverso un approccio integrato e multidimensionale”

Capitolo 2 – “Mantenimento della capacità funzionale e prevenzione della fragilità attraverso un approccio integrato e multidimensionale”

Lucia Galluzzo, Graziano Onder

Indice del capitolo

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2.1 Transizione demografico-epidemiologica e fragilità

La comparsa e l’accresciuta attenzione nei confronti del concetto di fragilità prende le mosse dalla transizione demografica ed epidemiologica in atto a livello globale.

Secondo un recente rapporto sull’invecchiamento della popolazione europea (Eurostat, 2020), il numero di ultrasessantacinquenni residenti nell’Europa a 27 all’inizio del 2019 ammontava a 90,5 milioni di individui, corrispondenti a circa un quinto (20,3%) della popolazione totale. Tale segmento di popolazione è destinato ad aumentare fino a raggiungere i 129,8 milioni di unità nel 2050, ossia circa il 29,4% della popolazione totale.

Per quanto concerne l’Italia, i dati Istat relativi al 2020 (Censis, 2021) evidenziano una quota di ultrasessantacinquenni pari al 23,2% della popolazione totale, con un incremento di 2,8 punti percentuali rispetto al 2010. Risulta in crescita anche la percentuale di anziani 85+, che nel 2020 ammontava al 3,6% della popolazione totale. Come illustrato in Figura 1, nel corso dei prossimi decenni la dinamica demografica in corso nella popolazione italiana è destinata a subire una progressiva accelerazione nel mutamento della struttura per età; con un aumento della porzione di popolazione 65+ pari a 5,7 milioni nel 2050 rispetto al 2020, e una contemporanea riduzione della popolazione in età attiva (stimata attorno ai 7,3 milioni nel 2050, e ai 5,3 milioni già dal 2040), mentre più contenuto dovrebbe essere il ridimensionamento, peraltro già considerevole, del segmento di popolazione più giovane.

 

Figura 1. Struttura per età della popolazione italiana, dal 1982 al 2050 (valori assoluti, milioni)
(*) Dati pre-censimento per gli anni 2019 e 2020 e previsioni per gli anni 2030, 2040, 2050 (scenario mediano)
Fonte: dati Istat (elaborazione Censis, 2021).

 

È necessario sottolineare che, nonostante il fortissimo impatto esercitato dal Covid-19 soprattutto nella popolazione più anziana, ad oggi il trend di invecchiamento demografico è stato solo rallentato dalla pandemia, non certamente invertito. Nel nostro Paese, l’aspettativa di vita è diminuita di 1,2 anni durante la pandemia – da 83,6 anni nel 2019 a 82,4 anni nel 2020, rispetto a una riduzione media di 0,6 anni nei paesi OCSE – ma con l’avanzamento della campagna di vaccinazione ha ripreso lentamente a crescere (OECD, 2021).

Parallelamente all’allungamento della speranza di vita, si è verificata una transizione epidemiologica nelle patologie emergenti, dapprima soprattutto nei Paesi a più alto reddito e poi sempre più rapida anche in quelli in condizioni socio-economiche più svantaggiate. Da una prevalenza di malattie infettive e carenziali, si è passati a una preponderanza di condizioni cronico-degenerative, caratterizzate da un livello di letalità relativamente ridotto, ma con un elevato carico di disabilità e perdita dell’autosufficienza.

Un approfondimento dell’analisi del Global Burden of Diseases, Injuries, and Risk Factors Study (GBD) del 2019 (GBD 2019 Viewpoint Collaborators, 2020), rileva che nei Paesi a più elevato sviluppo socio-economico, gran parte dell’impatto del carico di malattia sta diventando sempre più attribuibile alla perdita di capacità funzionale, piuttosto che a morte prematura.

L’indicatore utilizzato dal GBD per misurare il carico di malattia sulla sopravvivenza è denominato DALYs (Disability Adjusted Life in Years) ed è determinato dalla somma di due indicatori secondari: YLDs (Years of Life lived with Disability), anni di vita vissuti in condizioni di disabilità e YLLs (Years of Life Lost), anni di vita persi per mortalità prematura. Dal 1990 al 2019, la quota di DALYs attribuibile a YLDs è aumentata dal 20.7% al 33.9%; nello stesso periodo, il numero di Paesi in cui la proporzione di anni vissuti con disabilità (YLDs) superava quella degli anni di vita persi (YLLs) è passata da 1 a 29. Ciononostante, il GBD rileva che i sistemi sanitari sembrano avere difficoltà ad adattarsi a questi cambiamenti, continuando a destinare la maggior parte delle risorse alle malattie cardio-vascolari e al cancro, piuttosto che ai principali responsabili della perdita di capacità funzionale e insorgenza di disabilità, ossia i problemi muscolo-scheletrici, il deterioramento cognitivo-neurologico e i disturbi sensoriali.

Sebbene i dati raccolti immediatamente prima della crisi pandemica (ISTAT, 2021) confermino una tendenza al miglioramento dello stato di salute negli ultrasettantacinquenni italiani, ben il 32.3% della popolazione 65+ nel 2019 presenta gravi patologie croniche e multimorbidità, il 28.4% ha gravi limitazioni nello svolgimento delle attività quotidiane – di base (ADL, Activities of Daily Living) o complesse (IADL, Instrumental Activities of Daily Living) – il 20.9% ha problemi motori e il 13.8% convive con seri problemi di vista o udito anche con l’uso di ausili. I dati ISTAT 2019 evidenziano anche forti differenze geografiche, con condizioni di salute più svantaggiate al Sud e nelle Isole, e importanti disuguaglianze per condizione socio-economica e di genere, sottolineando che tali diseguaglianze negli ultimi anni si sono ulteriormente ampliate. Ad eccezione delle malattie croniche gravi, più diffuse tra gli uomini (46,0%) che nelle donne (41,1%), queste ultime hanno condizioni peggiori per tutti gli altri indicatori di salute. Inoltre, la Figura 2 illustra le disuguaglianze in alcuni dei principali indicatori di stato di salute, limitazione funzionale e fruizione dei servizi, individuate nella sottopopolazione in cui era disponibile il livello di istruzione, utilizzato come indicatore di status socio-economico. I grafici confermano la situazione di svantaggio delle persone con basso livello socio-economico tanto nello stato di salute e nella compromissione funzionale, quanto nell’accesso alle cure.

 

Figura 2. Disuguaglianze socio-economiche (per titolo di studio) per alcuni indicatori dello stato di salute, limitazione funzionale, disabilità e fruizione dei servizi – Anno 2019, tassi per 100 persone
Fonte: Report Anziani 2019 (ISTAT, 2021).

 

In sostanza, si vive più a lungo ma la maggior parte di noi, soprattutto in età avanzata, si trova a convivere con un elevato numero di condizioni patologiche e problemi funzionali (a carico di vista, udito, movimento, ecc.) che vanno a intaccare l’autonomia personale e la qualità di vita. E purtroppo la quota di speranza di vita priva di limitazioni funzionali non necessariamente aumenta con lo stesso ritmo dell’aspettativa di vita generale, ponendo spesso in evidenza, i punti deboli della gestione socio-sanitaria e le diseguaglianze di salute presenti nella popolazione.

 

Figura 3. Speranza di vita, con e senza limitazioni funzionali, all’età di 65 anni in Italia
Fonte: dati Istat, Health for All–Italia database, 2021(elaborazione ISS).

 

Nel caso specifico della speranza di vita degli ultrasessantacinquenni italiani negli ultimi dieci anni (Figura 3), a fronte di una maggiore e crescente attesa di vita delle donne, la quota di anni vissuti senza limitazioni funzionali (misurati attraverso un indicatore auto-riferito, denominato GALI) rimane proporzionalmente più elevata negli uomini, nei quali si attesta attorno al 50% del totale degli anni di vita attesi, piuttosto che nelle donne.

È evidente come per affrontare questo quadro demografico ed epidemiologico sia necessario un nuovo approccio teorico e strutturale, mirato al mantenimento dell’autosufficienza e della qualità della vita, e non più incentrato unicamente sul trattamento specialistico e riabilitativo delle malattie. La vera sfida per i prossimi anni è quella di preservare le capacità funzionali e l’autosufficienza dell’individuo nel corso degli anni, limitando e ritardando l’insorgenza della disabilità. Di conseguenza, è necessario spostare l’attenzione, dal prolungamento della speranza di vita, alla qualità degli anni vissuti.

In questo contesto va ad inserirsi il concetto di fragilità, intesa come condizione età-correlata, multifattoriale, caratterizzata da un’aumentata vulnerabilità agli eventi avversi di origine endogena ed esogena, che espone l’individuo ad un maggior rischio di esiti di salute negativi, e all’incremento di disabilità, ospedalizzazione, istituzionalizzazione e morte (WHO, 2015).

Le definizioni di fragilità in uso sono molteplici (Junius-Walker, 2018) (a tale proposito, si veda anche il Capitolo 1 di questo manuale). Le due più frequenti sono il fenotipo fisico di fragilità (Fried, 2001; Bandeen-Roche, 2006), e il modello di accumulo di deficit (Mitnitski, 2001; Rockwood, 2007). Il fenotipo fisico è basato su una sindrome clinica, con una specifica patofisiologia, distinta dalla disabilità e dalle patologie concomitanti, caratterizzata dal declino cumulativo di diversi sistemi fisiologici e da ridotta risposta agli eventi avversi; la sua definizione si basa sulla presenza di tre o più dei seguenti criteri: debolezza/ridotta forza muscolare, ridotta velocità dell’andatura, ridotta attività fisica, perdita di peso involontaria, affaticamento/spossatezza (0=robusto, 1-2=pre-fragile, ≥3=fragile). Il modello di accumulo di deficit età-correlati si basa su un’aumentata vulnerabilità dovuta al sommarsi di deficit di diversa origine (segni e sintomi, patologie fisiche e problemi cognitivi, deficit motori, uso di farmaci, esami di laboratorio, ecc.) operazionalizzati attraverso un indice di predizione del rischio, basato sulla proporzione di deficit di salute presenti in un dato individuo.

La fragilità è un costrutto relativamente recente, spesso erroneamente considerato come sinonimo di disabilità e multimorbidità. In realtà è un’entità a sé stante, di cui la disabilità rappresenta uno degli outcome principali e la multimorbidità uno dei fattori di rischio (Fried, 2004). Una meta-analisi sulla relazione tra fragilità e multimorbidità ha evidenziato come le due condizioni, sebbene affini e legate da un’associazione apparentemente bidirezionale, siano entità distinte che coesistono soltanto in una piccola proporzione della popolazione, circa il 6%. Mentre la maggior parte dei soggetti fragili sono anche multimorbidi, solo una ridotta quota delle persone con multimorbidità è anche fragile (Vetrano, 2019).

Essendo una condizione dinamica, potenzialmente reversibile, l’individuazione precoce della fragilità e la prevenzione dei fattori modificabili che ne influenzano la progressione sono stati gradualmente riconosciuti come una delle attuali priorità d’intervento in salute pubblica (Buckinx, 2015; Cesari, 2016; Clegg, 2013; Dent, 2019; Hoogendijk, 2019; Rodríguez Mañas, 2018). E la popolazione fragile sta progressivamente emergendo come target privilegiato per interventi di prevenzione della disabilità e di promozione della salute, efficaci sia a livello individuale che di popolazione.

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2.2 Necessità di un nuovo approccio concettuale

Secondo il recente modello proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’invecchiamento in salute è il processo di sviluppo e mantenimento della capacità funzionale, intesa come combinazione e interazione tra capacità intrinseca individuale e ambiente circostante, che ha inizio con la nascita e interessa l’intero arco di vita (WHO, 2015). Per capacità intrinseca si intende l’insieme delle risorse fisiche e mentali di ciascun individuo (bagaglio genetico, attitudini e caratteristiche personali, condizioni fisiche e sociali, ecc.), essenzialmente ascrivibili a cinque domini fondamentali: cognitivo, sensoriale, psico-sociale, motorio e metabolico-energetico (Cesari, 2018).

Come sottolineato nel rapporto introduttivo al decennio 2021-2030 dedicato all’invecchiamento in salute (WHO, 2020) – promosso congiuntamente da OMS e assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), recependo l’urgenza di favorire una presa di posizione a livello globale – la comunità scientifica e la società nel suo insieme dovrebbero impegnarsi nel favorire misure concrete per ottimizzare la capacità funzionale di ciascun individuo, al fine di promuovere il benessere psico-fisico e prolungarne la durata nel tempo. Per farlo è necessario un deciso cambio di declinazione e il superamento del modello tradizionale della medicina reattiva, basato sulla diagnosi e la cura delle singole condizioni patologiche. Tale modello va affiancato a un approccio integrato di prevenzione e promozione della salute, focalizzato su una visione diacronica e personalizzata del singolo e del contesto sociale, economico e psicologico in cui vive. In sostanza, l’invecchiamento in salute non è da intendersi come sinonimo di assenza di malattia o problemi fisici, ma è lo stato di benessere psico-fisico originato dal mantenimento della capacità funzionale (come equilibrio tra risorse individuali e ambiente di vita), e ottenuto ritardando o affrontando gli eventi avversi (non solo relativi alla sfera di salute) che inevitabilmente si verificano nell’arco della vita di ciascuno.

Il processo dell’invecchiamento ha inizio al momento della nascita e si manifesta attraverso il progressivo deterioramento fisiologico di vari organi e sistemi. Attorno ai 30 anni il processo diviene più evidente e iniziano i primi mutamenti nella composizione corporea, seguiti da modificazioni ormonali ed alterazioni della funzionalità cardiaca e cerebrale, che possono dar luogo alla presenza di più condizioni patologiche (multimorbidità), o coesistere con una situazione di maggiore vulnerabilità biologica, psicologica e sociale (fragilità) (Partridge, 2018):

30-60 anni

aumento di grasso addominale, riduzione del volume renale, perdita di massa e forza muscolare, ossea e cartilaginea

60-80 anni

alterazione livelli ormonali, cambiamenti strutturali e meccanici dei tessuti

70-80 anni

malattie età-correlate

80+ anni

fragilità e/o multimorbidità

 

In ogni caso, sebbene legata al processo dell’invecchiamento e più evidente in età avanzata, la fragilità non interessa unicamente gli anziani e non rappresenta una condizione inevitabile dell’invecchiamento. Come sottolineato nel World report on ageing and health dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2015), a parità di aspettativa di vita e di condizioni psico-fisiche, il processo dell’invecchiamento non segue sempre le medesime modalità, e le traiettorie di depauperamento progressivo della capacità funzionale variano da individuo a individuo. Se osservassimo le possibili traiettorie in tre ipotetici soggetti (A, B e C) con identica condizione di partenza, sia per età che per stato funzionale, la situazione ottimale sarebbe rappresentata da una curva, in cui la capacità funzionale del soggetto A si riduce molto lentamente con l’avanzare dell’età e si mantiene pressoché inalterata fino agli ultimi anni di vita, nei quali si verifica un decadimento repentino e consistente. Al contrario, nell’ipotetico individuo B, la traiettoria dello stato funzionale, inizialmente ottimale e pressoché sovrapponibile a quella del soggetto A, potrebbe subire un declino improvviso già in età adulta, la cui causa potrebbe essere di origine fisica (es. l’insorgenza di una grave patologia), psichica (es. un lutto) e/o sociale (es. un tracollo economico). L’andamento successivo della traiettoria del soggetto B dipenderebbe, alternativamente, dal modo e dalla tempestività con cui viene affrontata o trascurata la causa (o le cause) all’origine del calo funzionale. Infine, nel soggetto C il deterioramento dello stato funzionale potrebbe iniziare molto precocemente, ancor prima dell’età adulta, proseguendo incessante e costante fino all’età avanzata; a meno che, attraverso l’adozione di interventi mirati e decisi, non si andasse a rimuovere la causa del decadimento fino a riportare lentamente il soggetto in prossimità della traiettoria ottimale.

Come abbiamo visto, a livello individuale, il processo dell’invecchiamento, soprattutto in età avanzata, non si manifesta sempre allo stesso modo ed è scarsamente rappresentato dall’età cronologica, quanto piuttosto dell’età biologica, che racchiude al suo interno l’importante interazione con l’ambiente e gli stili vita, spiegando le discrepanze tra capacità intrinseca, età e grado di compromissione funzionale. In sostanza, il modo in cui invecchiamo non è dovuto al caso e al nostro bagaglio genetico, ma a come e dove viviamo (WHO, 2015). L’adozione di misure personalizzate, volte a potenziare o mantenere le risorse fisiche e mentali disponibili, è in grado di influenzare o ribaltare le traiettorie temporali di deterioramento fisiologico della capacità funzionale, in modo relativamente indipendente dall’età cronologica e dalle condizioni psico-fisiche, favorendo una migliore qualità della vita.

Altrettanto eterogenee appaiono le traiettorie di progressione e le caratteristiche legate all’insorgenza della fragilità derivate dai rari studi sulla progressione longitudinale di questa condizione; ciò mette in risalto l’urgenza di ulteriori ricerche longitudinali sull’argomento (Xue, 2011, Dent, 2019). Secondo una recentissima ipotesi sulla storia naturale della fragilità, l’evolversi di questa condizione complessa e dinamica potrebbe essere descritto come una sorta di successione ripetuta tra stati di transizione da uno stato sinfonico, determinato dall’equilibrio omeostatico, verso uno stato cacofonico dovuto allo sbilanciamento di vari sistemi fisiologici e biologici interconnessi tra di loro (Fried, 2021). In quest’ottica, l’integrità del sistema fisiologico sarebbe attribuibile alla capacità di mantenere l’equilibrio nello stato di salute, in risposta a ripetuti fattori di stress e al naturale processo dell’invecchiamento. Le possibili dinamiche di reazione ai fattori di stress e il livello di integrità fisiologica sarebbe determinato dalla riserva individuale. La progressione della fragilità sarebbe dovuta ad una serie di transizioni problematiche, fino a raggiungere un punto critico in cui il sistema viene sopraffatto e non riesce più a mettere in campo le risorse necessarie per ripristinare l’integrità ed evitare l’insorgenza della fragilità.

È evidente che questo approccio concettuale alla storia naturale della fragilità implica un cambiamento nell’affrontare la fragilità stessa e il processo di invecchiamento in generale. Una delle principali indicazioni che se ne possono trarre riguarda la necessità di privilegiare gli interventi multisistemici, quali quelli indirizzati a potenziare l’attività fisica, in quanto più promettenti di quelli mirati ad un singolo sistema. Nel complesso, concepire la fragilità come reazione a fattori di stress di diversa natura – con conseguente carico allostatico, ossia il prezzo che il nostro organismo paga per adattarsi alle condizioni mutevoli che affronta – sommata al disequilibrio età-correlato della nostra “complessa sinfonia dinamica” (Fried, 2021) richiede il passaggio a un’ampia visione gerontologica della fragilità. Tutto ciò implica un approccio olistico, basato su una visione d’insieme del benessere fisico, mentale ed emotivo dell’individuo, inserito nel suo ambiente, e in ogni periodo della vita.

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2.3 Necessità di un nuovo approccio strutturale: prospettive di prevenzione e gestione

Il nuovo orientamento sembra essere stato lentamente recepito dalla comunità scientifica e negli ultimi venti anni ci sono stati notevoli progressi nella messa a punto di modelli di prevenzione e gestione della fragilità, soprattutto indirizzati all’anziano. Come già accennato in precedenza, non altrettanto sollecito è stato finora l’adeguamento delle politiche socio-sanitarie e l’adozione di strategie per fronteggiare la fragilità e la perdita di autosufficienza.

Per una risposta efficace alla fragilità, a livello di salute pubblica non sono sufficienti misure sporadiche, ma è fondamentale elaborare una strategia articolata di prevenzione, identificazione precoce, monitoraggio, gestione integrata e multidimensionale della fragilità, accompagnata dalla valutazione d’impatto degli interventi. Altrettanto essenziale è anche che gli obiettivi della formazione degli operatori socio-sanitari, a ogni livello, si evolvano in tal senso e provvedano a fornire la necessaria base di conoscenza (Windhaber, 2018; Roller-Wirnsberger, 2020).

Al fine di favorire l’auspicato approccio sistemico-strutturale alla fragilità, è inoltre indispensabile convogliare energie e risorse nel potenziamento della ricerca scientifica sull’argomento. In particolare – come evidenziato anche dalla ricognizione condotta nell’ambito della Joint Action (JA) europea ADVANTAGE sulla fragilità (Galluzzo, 2018) – è necessario intraprendere studi longitudinali e approfondire lo studio delle coorti esistenti, al fine di colmare le lacune nel quadro epidemiologico della fragilità, far fronte all’eterogeneità delle scarse evidenze a disposizione, e individuare i meccanismi e i fattori coinvolti nell’insorgenza e nella progressione temporale, non trascurando l’individuazione di probabili biomarcatori. La conoscenza del quadro epidemiologico e del carico effettivo della fragilità nella popolazione è fondamentale per fornire ai decisori politici gli elementi utili per calibrare un’adeguata risposta di salute pubblica e per valutare l’impatto degli interventi adottati. L’individuazione di clusters, traiettorie o catene causali implicati nel recupero o nella compromissione delle capacità individuali è invece prioritario per disporre degli elementi utili alla stratificazione del rischio e all’individuazione delle priorità d’intervento (Hoogendijk 2019). Nell’insieme, tutto ciò è essenziale per ottimizzare l’impiego delle risorse disponibili, bilanciando le necessità individuali e collettive.

Visto il ruolo determinante della fragilità come indicatore di eventi avversi, pressoché indipendente dall’età cronologica e dalla multimorbidità – come evidenziato anche da un recente studio sulla sopravvivenza di anziani ospedalizzati per COVID-19 (Marengoni 2019) – e con un forte gradiente sociale, è importante sottolineare la rilevanza dell’identificazione precoce della fragilità nei vari setting assistenziali, a prescindere dalla definizione e dallo strumento utilizzati.

Secondo le linee guida ICOPE (Integrated Care for Older People), elaborate dall’OMS (WHO, 2017) per la gestione del declino della capacità intrinseca nel soggetto anziano, le fasi essenziali per un intervento efficace a livello di popolazione dovrebbero includere le seguenti azioni di base:

  • Valutare i bisogni dell’anziano e il livello di compromissione delle capacità fisiche e mentali;
  • Definire gli obiettivi assistenziali e sviluppare un piano d’intervento multidimensionale;
  • Applicare il piano assistenziale favorendo il coinvolgimento diretto dell’assistito;
  • Garantire un solido percorso di supporto e monitoraggio del piano assistenziale;
  • Coinvolgere la comunità e sostenere le persone di supporto all’anziano (caregivers).

Come sottolineato dai risultati della JA ADVANTAGE (Hendry, 2019) e in accordo con le linee guida ICOPE, i programmi di prevenzione e gestione della fragilità dovrebbero necessariamente adottare un approccio integrato, essendo indirizzati ad una condizione complessa, multidimensionale e dinamica, che richiede il coordinamento prolungato tra diversi attori. Il processo deve essere mirato al miglioramento del benessere del soggetto in senso lato, assegnando un ruolo attivo non solo agli operatori e alle strutture socio-sanitarie, ma anche al soggetto stesso, alla famiglia e alla comunità in cui vive (vicini di casa, negozi, banche, strutture educative o di svago, trasporti, ecc.). Per essere efficace il modello assistenziale di prevenzione e gestione della fragilità dovrebbe basarsi sui seguenti punti chiave:

  • Individuazione di un unico punto di accesso, generalmente a livello di assistenza primaria;
  • Utilizzo di strumenti di screening semplici e specifici;
  • Valutazione multidimensionale e conseguente piano assistenziale personalizzato, mirato ai fattori fisici, psicologici, cognitivi e sociali modificabili;
  • Personalizzazione degli interventi, a livello sia territoriale (da preferire) che ospedaliero, coordinati da un team multidisciplinare, e scelti in base agli obiettivi e alle caratteristiche specifiche del soggetto e del caregiver;
  • Gestione del caso, monitoraggio dei progressi e del percorso tra i vari fornitori assistenziali;
  • Gestione efficace dei cambiamenti nel team o nel setting assistenziali;
  • Condivisione delle informazioni per mezzo di strumenti informatici e adozione di soluzioni tecnologiche di supporto;
  • Semplicità delle norme e delle procedure di eleggibilità e accesso ai servizi assistenziali;

Vista la carenza di studi longitudinali sulla progressione della fragilità, e il rapporto spesso bidirezionale nella relazione con i possibili fattori protettivi o di rischio, le evidenze scientifiche sui fattori associati sono estremamente eterogenee e spesso contradditorie (Feng, 2017), rendendo ancora da approfondire il rapporto causale tra la fragilità e la maggior parte delle condizioni spesso annoverate tra i potenziali fattori associati, quali mutimorbidità, perdita di peso/obesità, depressione, deterioramento cognitivo, politerapia, ecc. Tuttavia, abbastanza consolidate sono le indicazioni a favore di interventi e programmi di prevenzione della fragilità indirizzati alla promozione di stili di vita salutari in ogni fase della vita (attività fisica, alimentazione, ecc.) e alla riduzione delle diseguaglianze sociali e di salute. Allo stato attuale delle conoscenze, come obiettivi generali per la prevenzione e gestione della fragilità risultano quanto mai adeguati quelli individuati e schematizzati nelle linee guida ICOPE per il mantenimento della capacità intrinseca del soggetto anziano (WHO, 2017):

  • Migliorare la capacità di movimento e adottare una corretta alimentazione;
  • Prevenire il deterioramento cognitivo e promuovere il benessere psichico;
  • Prevenire le cadute;
  • Preservare una buona capacità sensoriale (vista e udito);
  • Gestire e affrontare i problemi legati all’invecchiamento, in particolare l’incontinenza;
  • Sostenere coloro che assistono e si prendono cura dell’anziano (caregivers).

Infine, per concludere, è necessario sottolineare la grande opportunità offerta nel nostro Paese dalla prossima istituzione delle Case della Comunità (descritte in modo più approfondito ai Capitoli  4 e 5 di questo manuale), che auspicabilmente dovrebbero andare a riempire molti dei vuoti fin qui evidenziati, costituendo il punto di riferimento univoco e continuativo per la popolazione, il luogo di integrazione tra servizi sociali territoriali e infrastrutture sanitarie e assistenziali, lo strumento di potenziamento dell’assistenza personalizzata, territoriale e a distanza, nonché il raccordo multidisciplinare per garantire la promozione della salute, la prevenzione e la presa in carico dell’intera comunità̀ di riferimento.

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Acronimi e glossario

  • ADL: Activities of Daily Living, scala per la valutazione del livello di autonomia nelle attività quotidiane di base: lavarsi, vestirsi, minzione/evacuazione, spostarsi in casa, continenza, mangiare
  • DALYs: Disability Adjusted Life Years, anni di vita aggiustati per disabilità. Indicatore utilizzato dal GBD per misurare il peso di ciascuna condizione sulla sopravvivenza in anni di vita, dato dalla somma di YLLs + YLDs
  • GALI: Global Activity Limitations Indicator. Indicatore auto-riferito basato sulla presenza di problemi fisici, cognitivi o psicologici, in grado di interferire con il normale svolgimento delle abituali attività quotidiane
  • GBD: Global Burden of Diseases, Injuries, and Risk Factors study
  • IADL: Instrumental Activities of Daily Living, scala per la valutazione del livello di autonomia in attività quotidiane più complesse (telefonare, fare la spesa, preparare i pasti, fare lavori domestici, guidare o usare mezzi pubblici, gestire i farmaci, usare il denaro)
  • ICOPE: Integrated Care for Older People, assistenza integrata per le persone anziane. Linee guida, elaborate dall’OMS, per la gestione del declino della capacità intrinseca nel soggetto anziano a livello di comunità
  • JA ADVANTAGE: Joint Action europea sulla fragilità ‘Managing Frailty. A comprehensive approach to promote a disability-free advanced age in Europe: the ADVANTAGE initiative’ cofinanziata dalla Commissione Europea dal 2017 al 2019, con l’adesione di 22 Stati Membri rappresentati da 35 organizzazioni (www.advantageja.eu/)
  • OCSE: Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, in inglese OECD Organization for Economic Co-operation and Development
  • OMS: Organizzazione Mondiale della Sanità
  • ONU: Organizzazione delle Nazioni Unite
  • SDI: Socio-Demographic Index
  • YLDs: Years of Life lived with Disability, anni di vita vissuti in condizioni di disabilità
  • YLLs: Years of Life Lost, anni di vita persi per mortalità prematura

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Bibliografia

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