Capitolo del Manuale per operatori “Educare alla Salute e all’Assistenza”
Autori: Nicoletta Musacchio, Ilaria Ciullo, Annalisa Giancaterini, Silvia Maino, Laura Pessina
Indice
- IL CONTESTO SPECIALISTICO AMBULATORIALE LUOGO PRIVILEGIATO DI EDUCAZIONE TERAPEUTICA
- IL RUOLO E L’APPORTO DELLE DIVERSE FIGURE PROFESSIONALI ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA NEL CONTESTO AMBULATORIALE SPECIALISTICO
- USO APPROPRIATO DI FARMACI, DISPOSITIVI MEDICI E PRODOTTI SANITARI
- PROMOZIONE DELL’ADERENZA E DELLA PERSISTENZA AI CONTROLLI E ALLE TERAPIE
- MODALITÀ ORGANIZZATIVE PER STRUTTURARE L’EDUCAZIONE TERAPEUTICA NEL CONTESTO SPECIALISTICO AMBULATORIALE
- UN ESEMPIO DI STRUTTURAZIONE ORGANIZZATIVA DI UN TEAM SPECIALISTICO IN FUNZIONE DELL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA
- L’ATTIVAZIONE E IL SOSTEGNO DI GRUPPI DI AUTO-AIUTO
- Bibliografia
IL CONTESTO SPECIALISTICO AMBULATORIALE LUOGO PRIVILEGIATO DI EDUCAZIONE TERAPEUTICA
È ormai noto da tempo che la gestione delle malattie croniche rappresenta un nodo di difficile soluzione per il mondo sanitario, sia per la loro peculiarità, sia per i modelli organizzativi finora applicati.
Le patologie croniche sono caratterizzate da alcune necessità:
- multidisciplinarietà e Team specialistico dedicato;
- appropriatezza terapeutica;
- aderenza alla terapia nel lungo periodo;
- attivazione, formazione e autonomizzazione della persona;
- livelli di intervento sanitario integrati che prevedano sistemi di controllo interni ed esterni.
La complessità nella malattia cronica non è solamente legata al concetto di “complicanza”, ma esprime la difficoltà della persona nel dover rimodulare la propria vita in base alle cure, ai controlli e all’evoluzione della malattia (Bodenheimer, 2002).
Il percorso di cura di una persona con malattia cronica prevede in sintesi 3 ambiti diversi ed integrati di intervento:
- gestione della quotidianità;
- gestione di problemi specialistici specifici;
- gestione delle acuzie.
Questi ambiti riconoscono tre setting di elezione: ambulatorio del Medico di Medicina Generale (MMG), ambulatorio specialistico, ospedale. Questi tre ambiti devono essere fortemente integrati tra loro, continuando però a mantenere una connotazione chiara e distinta sia sul tipo di intervento sia sugli obiettivi da raggiungere. È necessario perciò creare un modello del percorso globale del paziente cronico all’interno del quale ogni componente sanitaria coinvolta (specialistica e non) condivide le strategie e identifica ruoli e competenze di ognuno, descrivendo le proprie attività secondo profili di cura codificati, misurabili e verificabili.
Da alcuni studi italiani è stato dimostrato che la sinergia tra l’assistenza specialistica e la medicina generale riduce in una patologia cronica come il diabete fino al 65% dei ricoveri ospedalieri, fino al 25% la degenza ospedaliera (Giorda, 2006) e triplica la probabilità che l’approccio diagnostico-terapeutico si realizzi secondo le Linee Guida (Gnavi, 2009). I pazienti seguiti presso le strutture specialistiche mostrano una riduzione fino a due volte della mortalità totale, cardiovascolare e per neoplasie rispetto ai pazienti non in carico alle strutture (Giorda, 2011; Ragonese, 2015).
In ambito di cronicità, l’elemento essenziale del successo della cura è legato al forte coinvolgimento ed attivazione dei pazienti attraverso un approccio bio-psico-sociale centrato sulla persona che prevede uno stretto rapporto tra team curante e paziente. È fondamentale identificare i bisogni del paziente e costruire su di essi la struttura di presa in carico, di formazione e accompagnamento che porterà il paziente a muoversi in autonomia nel sistema di cure e ad essere legittimato ad assumere un ruolo attivo al suo interno. La centralità della persona diventa l’elemento essenziale per il successo dell’intero processo di cura. Infatti l’empowerment del paziente, inteso come autonomizzazione nei confronti della malattia e della terapia, rappresenta uno strumento vincente nel permettere una maggiore persistenza alle cure, cioè aderenza allo stile di vita e alle terapie nel lungo periodo, che sono i due maggiori ostacoli al raggiungimento dei goal sanitari nelle patologie croniche (Musacchio, 2011).
I bisogni delle persone con malattia cronica sono diversi in base al momento della storia di malattia e possono richiedere interventi assistenziali e clinici di vario livello e intensità: l’alta intensità di cura è delegata al setting di ricovero ospedaliero, l’alta complessità di cura è riconducibile alle attività di presa in carico del team nell’ambulatorio specialistico.
E proprio quest’ultimo, l’ambito ambulatoriale, risulta essere il setting privilegiato per tutti i percorsi di educazione terapeutica e di empowerment del paziente. Infatti in esso opera un team specialistico multiprofessionale che non deve rispondere ad obiettivi di urgenza/ricovero, ma piuttosto all’organizzazione di modelli sanitari che facciano da legame tra MMG ed ospedale. Operatori sanitari dedicati, formati insieme ma ognuno con competenze specifiche, esperti in educazione terapeutica e team building che permettono, con percorsi autonomi indipendenti ma condivisi, la razionalizzazione dei tempi, delle competenze e delle risorse.
Alcune delle principali criticità dei modelli organizzativi comunemente utilizzati finora per le malattie croniche sono: la facilità di “perdere” i pazienti che non riescono a muoversi con disinvoltura in un sistema complesso di appuntamenti e che “perdono i contatti” con la struttura; la necessità di organizzare il braccio specialistico in modo che riesca a controllare il flusso e a diversificare fortemente la risposta sanitaria.
I possibili correttivi sono:
- processi di empowerment del paziente fino ad un suo coinvolgimento nella “governance”;
- modalità di accesso al Centro Specialistico gestite dal Team con la creazione di un sistema a “rete concentrica” tra tutti gli operatori coinvolti nella cura che riconosce come protagonista principale il paziente.
È fondamentale, per qualsiasi patologia cronica, identificare i principali processi di attività specialistica:
- Processo clinico: obiettivo è l’ottimizzazione dei parametri clinici e la prevenzione delle complicanze. Secondo la Matrice delle responsabilità, il responsabile di questo processo è il medico con il coinvolgimento di tutte le altre figure professionali.
- Processo Assistenziale: obiettivo di questo processo è l’autonomizzazione del paziente attraverso un percorso che prevede l’informazione sulla patologia, l’addestramento al corretto utilizzo delle terapie e degli strumenti utili al controllo, la conoscenza del proprio percorso individuale e del programma di cura, il controllo di parametri sentinella per valutare l’andamento del processo che permetta eventualmente di recuperare il paziente nel profilo clinico come urgenza. Responsabile del processo è il personale sanitario non medico (coinvolti i medici). I percorsi assistenziali, sotto la responsabilità di personale formato specificatamente sul protocollo di cura di ogni singolo paziente, permettono: al braccio specialistico del sistema di ridurre la frequenza delle attività mediche avendo tuttavia ancora adeguato controllo intermedio sul processo di cura (Musacchio, 2011); al MMG di avere la possibilità di consulenze diversificate secondo le reali necessità potendo usufruire di personale comunque specializzato e di canali preferenziali di invio dei pazienti.
I percorsi educativi garantiscono una maggiore consapevolezza della malattia e della terapia da parte dei pazienti, una migliore qualità percepita del sistema e l’attivazione di controlli intermedi, anche del quadro clinico, durante gli incontri strutturati.
I percorsi assistenziali permettono di rispondere in modo puntuale a bisogni specifici dei pazienti e dell’organizzazione favorendo la crescita professionale, la valorizzazione e la modernizzazione del profilo professionale non medico.
IL RUOLO E L’APPORTO DELLE DIVERSE FIGURE PROFESSIONALI ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA NEL CONTESTO AMBULATORIALE SPECIALISTICO
Il successo di un modello assistenziale integrato presuppone il coinvolgimento di tutti gli “attori” nel processo di cura. Fondamentale diventa quindi il ruolo del Team, delle diverse figure professionali coinvolte, sempre focalizzate su obiettivi comuni e condivisi, fornendo un’assistenza centrata sulla persona e non sulla malattia.
Specialista ambulatoriale
È il medico che fa una valutazione clinica psicologica culturale sociale del paziente, comprende i suoi bisogni, le motivazioni, condivide gli obiettivi di cura, stabilisce una relazione di comunicazione utilizzando un linguaggio adeguato e comprensibile, che prevede la richiesta di un feedback dal paziente e il suo coinvolgimento. Il rapporto di fiducia che si stabilisce tra medico e paziente è elemento essenziale nella gestione della malattia cronica ed è un processo lungo e mai ovvio. Motivare una persona affetta da malattia cronica a prendersi cura di sé richiede particolari abilità e tempo. Ogni visita prevede una rivalutazione del paziente, dei dati di laboratorio, la regolare prevenzione e valutazione delle complicanze, l’aggiornamento della terapia farmacologica e degli obiettivi stabiliti. Il medico stabilisce il percorso di cura spiegando al paziente l’importanza della sua attiva partecipazione e il ruolo di ogni componente del team che lo assisterà.
Il medico specialista non è solo il clinico, ma anche il professionista che deve avere una visione d’insieme dell’intero processo. Ha competenze tecniche/biomediche (gestisce e monitora la terapia e i piani terapeutici dei farmaci innovativi, interpreta e gestisce i sistemi per il monitoraggio dei parametri clinici), ha competenze informatiche per una corretta costruzione di una banca dati utile al controllo /adeguamento del piano di cura e del processo. Ha competenze gestionali ed è in grado di realizzare un’organizzazione assistenziale strutturata interagendo con tutti gli operatori, quelli direttamente coinvolti nella cura e nella gestione del paziente, ma anche con i direttori sanitari e gli amministratori delle strutture ospedaliere ed ambulatoriali, fornendo risorse utili per lo sviluppo ed il miglioramento della gestione del paziente. Ha competenze educative ed è in grado di attivare percorsi di empowerment e di engagement del paziente.
Infermiere
Obiettivo prioritario di questa figura professionale è quello di far acquisire al paziente le conoscenze e le abilità necessarie per affrontare la sua malattia, gestirla e mantenere un’elevata qualità della vita. Si occupa di prevenzione, di screening ed effettua un’attenta analisi dei bisogni espressi e inespressi dell’assistito, progettando e prestando un’assistenza personalizzata, nel rispetto della cultura di ogni individuo. Aiuta il paziente a comprendere l’importanza della terapia farmacologica, della sua assunzione regolare, ad utilizzare correttamente eventuali presidi terapeutici o di monitoraggio per tenere sotto controllo l’andamento della malattia. Insegna al paziente come riconoscere precocemente eventuali complicanze o acuzie legate alla malattia per intervenire prontamente, fornendo indicazioni su dove/e a chi rivolgersi in caso di necessità. Conosce ed utilizza tutte le nuove tecnologie a disposizione per far progredire l’assistenza e documenta ogni attività svolta.
Punto cruciale diventa la competenza degli operatori sanitari nel promuovere strategie e fornire strumenti per sviluppare l’autogestione esaminando la situazione personale del paziente, le sue esigenze e le sue possibilità. Competenza indispensabile è la conoscenza dei percorsi di Educazione Terapeutica, i cui obiettivi sono:
- migliorare le conoscenze sulla patologia (sapere);
- migliorare l’abilità pratica nella gestione della cura (saper fare);
- modificare i comportamenti fino ad ottenere un equilibrio tra i bisogni del paziente e quelli della malattia (saper essere);
- permettere al paziente di acquisire e conservare le capacità e le competenze per vivere in maniera ottimale la quotidianità con la malattia (saper divenire).
Questo presuppone l’acquisizione da parte dell’infermiere di competenze mirate, di abilità nell’ambito dell’insegnamento e della formazione, come:
- l’ascolto attivo;
- la comunicazione efficace, il linguaggio comune, l’empatia;
- la riformulazione dei concetti espressi;
- l’approccio per obiettivi;
- il problem solving;
- la verifica nel processo dell’apprendimento;
- il continuare a migliorare le proprie competenze.
L’infermiere diventa in grado di attuare un corretto percorso educativo che permette inoltre di:
- coinvolgere il paziente, i familiari e i care giver nella gestione della malattia;
- raggiungere e mantenere nel tempo un buon controllo clinico evitando e/o riducendo le complicanze croniche;
- riconquistare il benessere ridisegnando un nuovo modello di integrità fisica e psichica.
Programma una serie di interventi, con tempi e modalità diversi, in base all’obiettivo da raggiungere, con uno spazio dedicato a migliorare/rafforzare le conoscenze e verificare se l’obiettivo prefissato e condiviso nel precedente incontro è stato raggiunto o necessita ancora di ulteriore lavoro. Il paziente diventa veramente autonomo quando conosce, comprende, condivide, accetta di agire e verificare.
Dietista
Nel team, accompagna il paziente nel suo percorso di cura e prende in carico gli aspetti nutrizionali. È fondamentale considerare l’approccio educativo nutrizionale un reale presidio terapeutico, che deve essere progettato e attuato con rigore ed attenzione al pari di una terapia farmacologica.
Le abitudini alimentari sono la risultanza delle componenti nutrizionale, emotiva e sociale. È indispensabile, quando si prepara un approccio pedagogico, considerare la sfera emotiva e sociale legate alla nutrizione che influiscono positivamente sulla motivazione migliorando non solo il successo terapeutico nel breve periodo, ma aiutando il mantenimento nel tempo dei risultati.
Ogni volta che parliamo del termine “dieta” associamo a questa parola un’idea di restrizione che genera quasi sempre rifiuto e frustrazione. Molto importante è invece far capire al paziente che arriverà ad acquisire un nuovo “stile” alimentare comunque personalizzato. L’obiettivo di un approccio educativo in questo campo è di arrivare a prescrivere ai pazienti un programma nutrizionale tenendo conto delle loro abitudini, preferenze, implicazioni sociali, emotive e culturali così da garantire al paziente un approccio strutturato e personalizzato. È quindi necessario:
- sapere quali sono le abitudini alimentari, le preferenze del paziente e il suo modo di vivere. Si possono utilizzare strumenti come l’anamnesi alimentare e il diario alimentare;
- evidenziare eventuali preconcetti sull’alimentazione ed iniziare individualmente una corretta gestione dell’errore;
- cercare e stabilire obiettivi, meglio se minimi, raggiungibili per ogni paziente e che andranno verificati e rivalutati con regolarità;
- sottolineare eventuali comportamenti non corretti riguardanti l’assunzione di cibo.
Un programma alimentare deve essere spiegato, compreso, attuato e successivamente verificato; richiede tempo e collaborazione.
È molto importante capire in quale stadio si trova il paziente per attuare approcci diversi che facilitino lo stato di accettazione del programma nutrizionale e permettano di poter lavorare per ottenere un buon controllo in armonia con se stesso e con gli altri.
Per accettare di modificare il proprio comportamento alimentare è necessario prendere coscienza dell’importanza che l’alimentazione riveste nell’evoluzione della malattia ed acquisire un atteggiamento mentale che indirizzi il paziente al rispetto delle indicazioni raccomandate.
Fornire spiegazioni pratiche con un linguaggio adatto ai diversi livelli culturali è importante per trasferire informazioni e generare motivazione, fornire al paziente ricettari appositamente studiati e menù creati con fantasia contribuisce a raggiungere una buona compliance ed evita che i pazienti siano pervasi da una sensazione di monotonia o restrizione.
L’utilizzo di prove pratiche di verifica dell’apprendimento come per esempio simulare la preparazione di un pasto “standard” oppure riconoscere la presenza di determinati cibi non adatti al programma nutrizionale prescritto, permette anche di annotare il comportamento del paziente e quindi di migliorare e rendere più mirato l’approccio individuale.
USO APPROPRIATO DI FARMACI, DISPOSITIVI MEDICI E PRODOTTI SANITARI
Le ragioni del mancato raggiungimento e del difficile mantenimento del compenso nel paziente cronico dipendono da svariati fattori, ivi comprese le modalità di somministrazione, conservazione e manipolazione dei farmaci, che rivestono un ruolo non secondario nel percorso di cura. Pertanto, uno degli obiettivi del team curante deve essere quello di garantire il conseguimento di conoscenze ed abilità che guidino nel corretto utilizzo dei farmaci, dei dispositivi e delle tecniche per somministrarli al fine di utilizzarne appieno le potenzialità terapeutiche. Ad esempio, nel paziente diabetico che effettua la terapia insulinica è necessario spiegare l’importanza di una corretta tecnica iniettiva, della corretta scelta della lunghezza dell’ago, dei siti di iniezione da utilizzare, della corretta manipolazione e conservazione del farmaco e del corretto smaltimento del materiale utilizzato. Lo stesso vale per i pazienti che somministrano altri farmaci iniettivi (per esempio l’eparina) o per via inalatoria. Altro esempio è la terapia dialitica peritoneale nelle persone con insufficienza renale cronica, dove il paziente viene formato alla “riorganizzazione” della vita in funzione del trattamento sostitutivo (orari, spazi, coinvolgimento dei familiari, ecc.). Fondamentale diventa l’addestramento del paziente all’utilizzo di apparecchiature specifiche, che gli permettono ad esempio di comprendere il suo stato di salute, di prendere coscienza dell’andamento della malattia, valutare se la terapia prescritta è efficace, identificare le situazioni a rischio ed intervenire precocemente per risolverle.
PROMOZIONE DELL’ADERENZA E DELLA PERSISTENZA AI CONTROLLI E ALLE TERAPIE
La scarsa aderenza al programma terapeutico è la principale causa di non efficacia dei farmaci; è associata ad aumento degli interventi sanitari e di mortalità, a sviluppo di complicanze e ad un più alto rischio di ospedalizzazione.
Risulta necessaria una rivalutazione dell’importanza della comunicazione tra team e paziente che si basa sulla conoscenza della storia clinica, del suo aspetto psicologico, culturale, sociale ed economico (Schouten, 2006), del suo vissuto (paure, speranze, convinzioni) (Leckie J, 2006). Valutare tutte le caratteristiche della persona che si ha davanti aiuta a comprendere il fenotipo del paziente e come quest’ultimo affronterà e risponderà alle diverse terapie, le sue motivazioni e permetterà di attuare strategie di rinforzo evidenziando i risultati positivi, affrontando insieme gli ostacoli, condividendo le possibili soluzioni.
È fondamentale pertanto realizzare:
- comunicazione efficace (linguaggio appropriato e comprensibile del medico e del team) (Ruiz-Moral, 2006);
- incontri periodici per verificare la comprensione del trattamento, l’aderenza alla terapia, l’autonomizzazione e responsabilizzazione del paziente;
- coinvolgimento di famigliari o caregiver.
MODALITÀ ORGANIZZATIVE PER STRUTTURARE L’EDUCAZIONE TERAPEUTICA NEL CONTESTO SPECIALISTICO AMBULATORIALE
La cura nella cronicità richiede tempo ogni giorno, interferisce con la vita quotidiana e richiede un “cambiamento” dello stile di vita. L’assunzione regolare di un farmaco, la percezione di modifiche dello stato di salute, la prospettiva di un eventuale peggioramento, rappresentano un freno alla capacità di proiettarsi nel futuro che gioca un ruolo importante in tutti i processi di cambiamento e di adattamento a nuove situazioni.
L’incontro con una patologia cronica determina sempre una sensazione di progressiva perdita di salute e integrità che spesso induce nel paziente l’idea di diversità e solitudine.
Per accettare un trattamento a lungo termine il paziente deve essere convinto che seguire il trattamento avrà degli effetti benefici; pensare che i benefici controbilancino gli svantaggi della terapia e, soprattutto, arrivare ad assumersi e condividere la responsabilità della terapia e del suo stato di salute.
Il paziente deve affrontare un percorso che preveda una corretta e precisa informazione sulla malattia ed il trattamento; la riformulazione di un nuovo concetto di integrità, in considerazione delle sue precedenti rappresentazioni di salute e malattia ed arrivare ad una accettazione attiva della malattia. Nella cronicità il medico deve imparare a controllare la malattia attraverso il paziente, arrivando ad un’alleanza terapeutica che è uno degli obiettivi fondamentali della terapia educativa. Tutto ciò deve svilupparsi attraverso approcci centrati sulla persona secondo un modello organizzativo che permetta la risposta puntuale a bisogni specifici.
UN ESEMPIO DI STRUTTURAZIONE ORGANIZZATIVA DI UN TEAM SPECIALISTICO IN FUNZIONE DELL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA
Il diabete rappresenta una delle più comuni e frequenti malattie croniche. Studi Europei hanno dimostrato che l’organizzazione dei processi della cura e l’educazione della persona con diabete sono determinanti per ottenere e mantenere nel tempo un buon controllo metabolico. Ecco quindi che l’interesse della Diabetologia si è spostato da anni su management, formazione strutturata dei pazienti, lavoro d’équipe, lavoro interdisciplinare, comunicazione, raccolta dei dati, “Total Quality”. Questo fa sì che la diabetologia rappresenti un’area di particolare interesse per studiare modalità di cambiamento e sperimentare questi nuovi modelli di approccio alle malattie croniche.
Per questo motivo presenteremo a titolo esemplificativo l’esperienza in ambito diabetologico attuata presso l’U.O. Integrazione Cure Primarie e Specialistiche, Centro di attenzione al diabetico, Azienda Opedaliera I.C.P. Milano, presso il Poliambulatorio di Cusano Milanino, i cui positivi risultati sono pubblicati (Musacchio, 2011).
Un team dedicato (Medici, Infermieri e Dietista) ha attivato un modello di assistenza al diabetico, “il Progetto Sinergia” (Musacchio, 2011) che ha come caratteristica principale la legittimazione e la responsabilizzazione del paziente; prevede un approccio collaborativo centrato sul paziente, nel quale il paziente stesso comprende il suo ruolo decisionale e si assume la responsabilità della propria cura.
Il centro ha attivato percorsi specifici:
- Clinici. L’obiettivo è l’ottimizzazione dei parametri metabolici e la prevenzione delle complicanze (responsabili i medici e coinvolto il personale sanitario non medico). All’interno di ogni processo esistono profili specifici:
- visita specialistica medica;
- consulenze MMG e/o per problemi acuti;
- percorsi dedicati a terapie particolari;
- percorsi dedicati a problemi clinici specifici che richiedono alta complessità di cura e monitoraggio continuo
- Assistenziali/Educativi. L’obiettivo è l’autonomizzazione del paziente (responsabili il personale sanitario non medico e coinvolti i medici). Si possono identificare i seguenti profili specifici:
- percorso di addestramento ai devices di terapia e controllo;
- percorso infermieristico con valutazione, controllo e verifica dello svolgimento del percorso identificato, dell’adesione al programma e alle terapie, verifica del livello di apprendimento e rinforzo sugli snodi critici;
- corsi in gruppo di educazione strutturata su argomenti specifici;
- interventi educativi individuali.
I due processi vengono attivati autonomamente e si embricano secondo necessità per ottimizzare interventi e risorse.
L’esempio sul diabete e la strutturazione dei percorsi sulla base degli obiettivi clinici o assistenziali dei pazienti può essere esportato anche per altre patologie croniche come per esempio l’ipertensione, l’IRC, le patologie polmonari, la sindrome delle apnee notturne che richiedono ausili terapeutici domiciliari. Importante è che il team utilizzi strategie comuni e condivise così da facilitare la coesione, la collaborazione e l’integrazione dei professionisti. Snodi organizzativi importanti sono, indipendentemente dalla patologia cronica a cui si fa riferimento:
- l’utilizzo di una cartella clinica comune, in modo da mantenere il flusso delle informazioni e dare continuità agli interventi
- la creazione di canali preferenziali per gli accessi al Servizio per i pazienti che sviluppano una problematica acuta;
- l’adozioen di griglie omogenee per gli interventi educativi e per le verifiche dei percorsi.
Ogni patologia cronica richiede comunque e sempre da parte del paziente assunzione di responsabilità sia nelle terapie che nei controlli e lo sviluppo di conoscenze e abilità tali da permettere che tutto si svolga nella massima sicurezza e appropriatezza. Il percorso formativo del paziente si snoda attraverso tappe che rispecchiano le necessità della malattia e delle cure, ma nel rispetto della persona e dei suoi bisogni. Volendo sintetizzare e usando il parallelismo con l’esempio diabete si potrebbe schematizzare un modello organizzativo che preveda percorsi dedicati su vari ambiti:
- Autocontrollo: a tutti i pazienti viene prescritto il piano di autocontrollo personalizzato (es: peso, pressione, saturazione di O2, glicemie) coerente con il piano terapeutico, specificando modalità/cadenza/orari, coerente con le evidenze di provata efficacia ed i Percorsi Diagnostico Terapeutico Assistenziali adottati localmente. L’autocontrollo dei parametri è uno strumento che permette la presa di coscienza dello stato di malattia, seppur in assenza di sintomi, e del reale beneficio del trattamento proposto; favorisce l’identificazione di obiettivi precisi e quindi la negoziazione e la formulazione di un contratto di cura. In altre parole è uno strumento di consapevolezza. Essendo la consapevolezza il primum movens in tutti i processi di empowerment e di accettazione, l’autocontrollo va riconosciuto come elemento fondante di ogni intervento di cura (Musacchio, 2011).
- Tecnica di somministrazione dei farmaci: il paziente viene istruito sulla tecnica di somministrazione più appropriata. Si danno indicazioni sulla frequenza, modalità di terapia, conservazione dei farmaci, smaltimento del materiale di consumo ed eventuali accorgimenti nell’utilizzo dei presidi. Per esempio ai pazienti con IRC o con apnee notturne viene insegnato come effettuare la preparazione sia delle apparecchiature erogatrici che dei farmaci da utilizzare, come posizionare il dispositivo, come sostituire i device con cadenza regolare, etc.
- Dietologia: l’obiettivo è di arrivare a consigliare al paziente lo stile alimentare da adottare, tenendo conto non solo delle eventuali limitazioni date dalla patologia (per esempio il carico proteico nell’IRC) ma anche delle sue abitudini, delle preferenze, delle implicazioni emotive, sociali, culturali e religiose.
- Prevenzione delle complicanze: i pazienti devono essere consapevoli che la malattia cronica richiede aderenza anche al programma dei controlli per la valutazione dell’efficacia delle cure ma anche per la prevenzione delle complicanze a lungo termine.
- Telemedicina: l’obiettivo è il controllo ed il rapido recupero dei pazienti attraverso l’utilizzo di modalità alternative più veloci e meno costose. Gli esempi più noti sono la trasmissione in remoto da parte dei pazienti dei dati pressori ai cardiologi o glicemici ai diabetologici. Questo sistema, se attuato attraverso canali certificati e verificabili, permette una rapida e puntuale valutazione clinica e un adeguamento immediato delle terapie. Ciò permette di rispondere in modo puntuale ai bisogni dei pazienti con risparmio di tempo e risorse.
L’adozione e l’organizzazione di percorsi focalizzati su ambiti precisi permette al paziente di iniziare il suo programma di autonomizzazione, raggiungere obiettivi specifici e acquisire conoscenze e abilità verificate di volta in volta.
L’ATTIVAZIONE E IL SOSTEGNO DI GRUPPI DI AUTO-AIUTO
Abbiamo già detto che per gestire al meglio le malattie croniche sono necessari da parte del paziente impegno e responsabilità e che l’educazione terapeutica è parte integrante nel processo di cura se applicata in modo strutturato e sistematico.
Una delle tecniche educative utilizzate in ambito di cronicità è quella che adotta interventi di gruppo. Può essere interpretato, progettato e realizzato in diversi modi, ma quello che si è dimostrato più efficace prevede lavori di gruppo come tecnica pedagogica.
È infatti una tecnica che facilita le interazioni tra i componenti del gruppo e necessita dell’attiva partecipazione di tutti. I componenti di un gruppo hanno obiettivi e compiti definiti precedentemente e il vero lavoro è far produrre il gruppo stesso. Alla base del comportamento di un gruppo abbiamo i sentimenti che ogni componente porta con sé, le interazioni che si creano tra i vari componenti del gruppo e l’attività di ciascuno. L’unione di questi fattori consente di operare in modo dinamico, tenendo conto dell’individuo e facilitando ogni processo di comunicazione. L’utilizzo di questa tecnica nel campo delle malattie croniche garantisce notevoli vantaggi e deve prevedere sempre un parte fortemente pratica.
I risultati del lavoro in gruppo dovrebbero essere comunque sempre valutati; ciò consente di effettuare un rinforzo ed una correzione immediata di eventuali errori o dubbi.
I vantaggi degli interventi educativi in gruppo sono:
- interazione fra tutti i componenti del gruppo;
- scambio di esperienze e di opinioni tra pazienti;
- stimolo all’apprendimento;
- ottimizzazione di costi e risorse;
- convivialità;
- clima non valutativo;
- apprendimento attraverso “situazioni-problema”;
- utilizzo di strumenti di lavoro privilegiati come i giochi di simulazione e le esercitazioni pratiche.
Le criticità degli interventi educativi in gruppo sono:
- difficoltà nel far partecipare tutti i pazienti;
- pazienti troppo eterogenei;
- difficoltà dei pazienti ad esprimersi;
- orari fissi dei corsi.
Gli incontri di gruppo migliorano l’apprendimento e la consapevolezza del paziente aumentando al contempo la motivazione degli operatori sanitari alla strutturazione di un progetto educativo. Viene stimolata e favorita la partecipazione dei pazienti in un percorso didattico sia verbale sia visivo. Le discussioni interattive di gruppo creano un contesto accogliente, favorente lo scambio (flessibile nella modulazione degli incontri) entro cui si possono affrontare gli argomenti maggiormente avvertiti dai partecipanti. Lo scambio di esperienze, sconfitte, successi, aiuta a rafforzare la fiducia nelle proprie capacità e il sentimento di solidarietà. Per gli operatori il lavoro nei gruppi è un momento di aggiornamento continuo nel confronto con la persona malata: non solo con la malattia.
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