Capitolo del Manuale per operatori “Educare alla Salute e all’Assistenza”
Autori: Gian Luca Bettini, Francesco Chiappini, Claudia Provaroni, Michela Tiboni
Indice
- UN’ESPERIENZA, TRA ALTRE, NARRATA
- IL MMG RACCONTA: DAL MEDICO SINGOLO AD UNA MEDICINA DI FAMIGLIA ORGANIZZATA
- COME STRUTTURARE UNA MEDICINA DI FAMIGLIA ORGANIZZATA
- DALLA MEDICINA D’ATTESA VERSO LA MEDICINA D’INIZIATIVA
- LA TIROCINANTE MMG RACCONTA: DALL’EDUCAZIONE DEL SINGOLO ASSISTITO ALL’EDUCAZIONE IN GRUPPO
- LO SCHEMA DI LAVORO DELL’INFERMIERA PER LA CONDUZIONE DELL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA IN GRUPPI DI MALATI E FAMIGLIARI
- UN NUOVO RUOLO PER IL MEDICO DI CONTINUITÀ ASSISTENZIALE?
- Glossario
- Bibliografia
Considerata l’estrema diversificazione delle modalità di espletamento della Medicina Generale, non solo tra le Regioni, ma anche all’interno del medesimo territorio, tanto più se si considera l’attività di educazione terapeutica e di educazione personalizzata alla salute, si è ritenuto opportuno strutturare il presente capitolo proponendo un’esperienza, per evidenziare gli aspetti nodali della tematica collocati nel reale contesto della Medicina Generale, evolutivo e variegato. L’esperienza esposta è basata su presupposti validati, riportati nella bibliografia essenziale.
UN’ESPERIENZA, TRA ALTRE, NARRATA
Questo capitolo è stato scritto a più mani, partendo dall’esperienza di una medicina di gruppo, nel tentativo di costituire un Team di Cure Primarie con Medici di Medicina Generale (MMG), Infermieri, Collaboratrici di Segreteria e MMG tirocinanti. Abbiamo cercato di avere un approccio alla cronicità in continua evoluzione, seguendo lo sviluppo della Medicina di Famiglia negli ultimi trent’anni.
Si propone come esperienza narrata dai protagonisti, ivi comprese le Collaboratrici di Segreteria, il cui lavoro, spesso nascosto, è di fondamentale importanza e senza il quale gli interventi di medicina di iniziativa sarebbero impossibili, o difficilmente realizzabili. Un’esperienza orientata nella prospettiva di nuove progettualità, che vedono il coinvolgimento anche del Medico di Continuità Assistenziale e lo sviluppo di nuovi assetti organizzativi, quali le cooperative di MMG, che si stanno affacciando nel nuovo scenario territoriale per la gestione di attività complesse, soprattutto per la presa in carico dei malati cronici.
Infine, non possiamo esimerci dal confessare la colpevolezza del reato di “autoreferenzialità” (che affligge un po’ tutta la Medicina Generale), ma speriamo di farci perdonare con l’immediatezza del racconto della nostra esperienza.
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IL MMG RACCONTA: DAL MEDICO SINGOLO AD UNA MEDICINA DI FAMIGLIA ORGANIZZATA
Sono nato professionalmente come MMG 33 anni e 8 mesi fa, ero un medico “singolo” in un ambito costituito da due Comuni, che mettevano insieme poco più di diecimila abitanti e poco meno di dieci MMG. Il lavoro era quasi totalmente disorganizzato (alcuni, pochi, avevano le cartelle cartacee), svolto prevalentemente in ambulatori aperti mezza giornata, in cui arrivavano per lo più malati in attesa di soluzione di problemi quasi sempre acuti.
Una decina di anni dopo, due anni dopo l’introduzione della Cartella Clinica Computerizzata, con l’arrivo di un giovane collega nell’ambito, decidiamo di costituire una Medicina di Gruppo in cui svolgere un lavoro meglio organizzato: tutte le visite su appuntamento, gestione attraverso collaboratori di segreteria, presenza di un’infermiera, utilizzo di strumentazioni tipo analyzer ed elettrocardiografo che ci permettono di avere qualche arma diagnostica in più e, nel contempo, iniziare un primo tentativo di approccio strutturato al problema emergente: la cronicità. Siamo in quattro e iniziamo a contattare gli assistiti con diabete, paradigma della malattia cronica che necessita di interventi educazionali complessi. L’infermiera accoglie questi primi pazienti, misura e registra alcuni parametri e analizza gli stili di vita, erogando consigli e registrandoli secondo una check list concordata e supportata dalla Cartella Clinica Computerizzata, dopo di ché il paziente viene visitato dal proprio MMG, prescritti gli accertamenti programmati e fissato un nuovo appuntamento.
Quattordici anni dopo, decidiamo, insieme ad altri quattro colleghi, di attivare un Team di Cure Primarie, riunendoci in una Medicina di Gruppo meglio organizzata, con un’infermiera e tre collaboratrici di segreteria, in un ambiente lavorativo spazioso, adeguato architettonicamente e logisticamente alle nuove esigenze. La continuità è mantenuta grazie alla permanenza del rapporto lavorativo con l’infermiera e la collaboratrice di segreteria della precedente Medicina di Gruppo. Il problema che si pone ora è dato dai nuovi “numeri”: oltre dodicimila pazienti e circa un migliaio di diabetici.
Arriva anche il tempo dei MMG in formazione e due di noi sono “tutor”: giungono giovani desiderosi di mettersi in gioco e, con una di questi, affrontiamo la nuova sfida, spinti dal suo entusiasmo contagioso. Abbiamo gli spazi, abbiamo il personale, abbiamo l’organizzazione, abbiamo parte del materiale, abbiamo un proiettore: creiamo un primo set di slide e partiamo. Il resto lo troverete nelle pagine di chi ha collaborato a questo lavoro: si è trattato di passare da una fase piena di buoni propositi e buone intenzioni ad un progressivo affinamento degli obiettivi e dei mezzi necessari per tentare di raggiungerli. Spero che la nostra storia possa indurre altri a sperimentare e migliorare quanto da noi raggiunto ad oggi.
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COME STRUTTURARE UNA MEDICINA DI FAMIGLIA ORGANIZZATA
Nella nostra esperienza di Team di Cure Primarie, l’ambulatorio è costituito da una segreteria per le 3 collaboratrici, sale d’attesa, lo studio dell’infermiera che funge da sala medicazioni ed è dotato di strumenti diagnostici (ECG, spirometro, holter pressorio), un ambulatorio per ciascun MMG e una sala riunioni adeguata ad accogliere sino a 15 persone da utilizzare per le riunioni periodiche di audit e per gli incontri con i gruppi di pazienti. Tutti gli studi sono informatizzati e collegati attraverso internet e telefono.
La nostra organizzazione prevede visite su appuntamento che vengono fissate, secondo orari predefiniti dai singoli MMG, dalle collaboratrici di segreteria, che hanno compiti di filtro: regolare l’accesso e dare opportune informazioni per un corretto utilizzo dei servizi offerti. L’infermiera visita anch’essa su appuntamento nel proprio studio e, se necessario, esegue una prima valutazione delle ipotetiche urgenze.
Le regole di funzionamento e di accesso ai servizi, spiegate agli assistiti al primo contatto con il supporto di depliant, esposte nella cartellonistica congruentemente strutturata, sono ribadite, cortesemente ma con fermezza, da tutto il personale. L’educazione ad un corretto utilizzo dei servizi offerti è una delle conditio sine qua non perché si possa passare da una medicina d’attesa ad una medicina proattiva con spazi idonei, di tempo e fisici, entrambi indispensabili, per l’educazione terapeutica dei pazienti, che inizia già dal momento di contatto con le collaboratrici di segreteria. Laddove il messaggio, fermo e cortese, che richiama alle regole pubblicate, comunicato e spiegato dalle collaboratrici o dall’infermiera, viene confermato dal MMG, abbiamo ottenuto la migliore collaborazione da parte degli assistiti.
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DALLA MEDICINA D’ATTESA VERSO LA MEDICINA D’INIZIATIVA
Il passaggio da una Medicina d’attesa, quale tuttora praticata da gran parte dei MMG ad una Medicina d’iniziativa non è indolore ma piuttosto un percorso in salita, che richiede di avere sempre ben presente l’obiettivo da raggiungere. Come ogni cambiamento, incontra resistenze e una gravosa inerzia, dei singoli come del sistema.
Nella modalità operativa della “Medicina di attesa”, le richieste dei pazienti, concretizzate nell’incontro col proprio MMG (richiesta di terapie, accertamenti, informazioni sul proprio stato di salute, ecc.) vengono evase necessariamente in un breve lasso di tempo (in media 8 minuti, secondo quanto emergeva dal nostro database analizzando la situazione “storica”), a causa della necessità di dare risposta a tutte le domande della giornata lavorativa, peraltro appesantita da incombenze di ordine burocratico che, soprattutto negli ultimi anni, si sono riversate sulla Medicina di Famiglia.
Tali richieste tuttavia sottintendono una domanda di salute più ampia che non dovrebbe essere semplicemente elusa, e che può trovare risposte adeguate non più da parte del solo MMG ma da una Medicina di Famiglia organizzata, ovvero da un Team di Cure Primarie: con collaboratrici di segreteria, per quanto riguarda le richieste di ordine burocratico e per supportare il buon funzionamento del sistema, e con l’infermiera, per quanto concerne medicazioni, misurazione di parametri vitali, esecuzione di esami strumentali, consigli per automedicazione quando opportuno.
Tutto ciò ha consentito, nella nostra esperienza, di ridurre il numero di accessi impropri al MMG, permettendo di aprire spazi di durata maggiore per le visite: analizzando il nostro database, il numero delle visite si è quasi dimezzato e la durata raddoppiata (15 minuti in media): si affrontano quindi i problemi proposti dal paziente, nella sua storia (“problem solving” in “Medicina di opportunità”), con una visione olistica che richiede tempo e accesso ad informazioni esaustive, rese disponibili dalla Cartella Clinica Computerizzata opportunamente aggiornata, anche grazie all’apporto delle collaboratrici di segreteria e dall’infermiera. In questi spazi ci si inserisce opportunisticamente ribadendo concetti emersi nei gruppi di educazione terapeutica oppure dando informazioni sugli stili di vita, sostenute anche da materiale cartaceo ad hoc, per rinforzare nel tempo, ribadendolo e rinnovandolo, il progetto educazionale.
In particolare, la delega delle pratiche burocratiche alle collaboratrici di segreteria, adeguatamente formate e responsabilizzate, permette di liberare tempo per la “Medicina di iniziativa”, da dedicare a progetti essenziali per la governance della cronicità in medicina generale (MG). La delega e la responsabilizzazione del personale è fondamentale per la crescita della loro professionalità, complementare a quella dei MMG: senza queste, non potrebbe esistere il Team.
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LA TIROCINANTE MMG RACCONTA: DALL’EDUCAZIONE DEL SINGOLO ASSISTITO ALL’EDUCAZIONE IN GRUPPO
Nonostante la grande importanza riconosciuta all’educazione terapeutica nella cura e gestione delle malattie croniche, il percorso formativo di un medico non prevede un training specifico per acquisire competenze in merito e il tutto è lasciato all’iniziativa personale. Personalmente ho sentito parlare di educazione terapeutica durante la frequenza dei tirocini previsti per il corso di formazione specifica in MG: i due tutor che mi hanno seguito avevano impostato l’assistenza per i pazienti con diabete mellito di tipo 2 attivando ambulatori specifici dedicati a loro: seppur con modalità differenti, in generale l’appuntamento prevedeva una visita preliminare con l’infermiera del gruppo che si occupava dell’inserimento degli esami di controllo, del rilievo dei parametri (peso, circonferenza vita, pressione arteriosa) e forniva dei consigli generali sui corretti stili di vita. Seguiva quindi la visita medica generale, con valutazione dell’attività cardiopolmonare, valutazione dei polsi periferici e della sensibilità, ispezione del piede, quindi si programmavano tutte le visite e gli esami diagnostico-strumentali di controllo.
Il tempo dedicato a ciascun paziente per l’insegnamento all’autogestione risultava però molto limitato, e il più delle volte ci si trovava a dover ripetere più volte le stesse cose, ma in pochi minuti. Per quanto un approccio di questo tipo fosse comunque fruttuoso, c’era l’esigenza di poter dedicare più tempo a questi pazienti. Si è quindi pensato di creare dei gruppi con i quali affrontare alcuni argomenti ritenuti fondamentali per la gestione ottimale del diabete:
- Che cosa è il diabete mellito di tipo 2
- L’alimentazione
- L’attività fisica
- Il piede diabetico
Gli incontri erano organizzati secondo modalità di lezione frontale ma, all’inizio, si procedeva comunque alla valutazione medica generale, alla registrazione degli esami di controllo, al rilievo del peso, della circonferenza vita e della pressione arteriosa.
Alla fine dell’incontro si lasciava spazio per rispondere alle domande poste dai pazienti.
Ci siamo resi conto però di alcuni limiti di questo approccio: gli incontri erano troppo dilazionati nel tempo e nella migliore delle ipotesi ciascun gruppo completava il percorso in quattro mesi; non riuscivamo a coinvolgere tutti i pazienti nel confronto finale e la maggior parte, infatti, non interveniva mai. Riuscivamo a fare “informazione sanitaria” più che “educazione terapeutica”.
L’infermiera del gruppo aveva potuto effettuare un breve periodo formativo presso l’U.O. di diabetologia degli Spedali civili di Brescia diretta dal Dr. Umberto Valentini, reparto strutturato con un team multidisciplinare, dove ha appreso le nozioni basilari sull’educazione terapeutica (la lettura del libro consigliato, “Educazione terapeutica dei pazienti, nuovi approcci alla malattia cronica” del Prof. J.F. Assal è risultata particolarmente utile e fruttuosa). Grazie al materiale fornito ed ai suggerimenti dati dalla Dr.ssa S. Ciaccio, psicologa allora collaboratrice del centro, abbiamo corretto gli errori presenti nell’impostazione iniziale, cercando di applicare una metodologia differente volta a coinvolgere e sfruttare le importanti dinamiche che nascono nel gruppo. Punti essenziali sono progressivamente diventati:
- Concentrare gli incontri di un gruppo in un breve arco di tempo, con cadenza settimanale;
- Prevedere sempre del materiale informativo per ciascun argomento trattato;
- Prevedere una modalità di verifica di quanto insegnato;
- Introdurre il “Metaplan” come strumento che consente il coinvolgimento di tutti i membri del gruppo durante l’incontro;
- Preparare domande strategiche che permettano di partire sempre dal vissuto del paziente;
- Lavorare con gruppi composti al massimo da 10 persone, con possibilità di coinvolgere anche i familiari.
Inizialmente, durante il mio periodo di tirocinio, abbiamo reclutato 30 pazienti e 4 accompagnatori. Abbiamo considerato come end-point tre parametri per valutare l’efficacia dell’intervento: emoglobina glicata, peso e circonferenza vita, pre e post intervento. I dati da me raccolti, benché di dimensione tale da non poterne dimostrare l’efficacia in termini statistici, sono sorprendentemente positivi: in tutti i pazienti, senza eccezione, si è osservato un miglioramento sia del peso, sia della circonferenza vita, sia dell’emoglobina-glicata. Con tutti i limiti di un’osservazione di fatto ancora aneddotica, è stato sorprendente per me osservare come un intervento educazionale riuscisse a dare dei risultati così buoni senza nessuna variazione della terapia farmacologica, ma solo modificando lo stile di vita e rendendo i pazienti più consapevoli della loro malattia e più attenti a segnalare tempestivamente problematiche ai sanitari.
Questo modello potrebbe essere esteso alla gestione di tutte le malattie croniche, ma pensare alla sua applicazione nella medicina del territorio così come attualmente strutturata è davvero difficile. Infatti la maggior parte dei medici opera singolarmente e, anche laddove esistono associazioni, queste impostano le attività ambulatoriali su modelli orientati alla cura dei pazienti acuti. Il problema è molto complesso e bisogna considerare diversi aspetti; da una parte c’è la formazione del personale e dall’altra le risorse disponibili. Pensare di applicare un modello gestionale di questo tipo senza potersi avvalere della collaborazione di infermieri e collaboratori di segreteria e senza strutture adeguate ritengo sia impossibile. Altrettanto indispensabile è il rinnovamento culturale che dovrebbe riguardare tutti i livelli della formazione, anche quella accademica.
Il Metaplan è una tecnica di comunicazione basata sulla visualizzazione che prevede l’utilizzo di:
Si parte sempre da alcune domande, appositamente studiate (dagli operatori) per introdurre un problema che alla fine del percorso deve essere risolto. Queste vengono scelte per essere da stimolo a tutti i partecipanti ad esprimere la propria opinione. Per rispondere alle domande ci sono delle semplici regole da seguire. Tutti i partecipanti hanno dei cartoncini colorati rettangolari, quelli dei pazienti sono di un colore differente da quello di eventuali accompagnatori; questo per distinguere chiaramente il “ruolo”. Tutti scrivono con pennarello nero, in stampatello, oppure possono esprimere un concetto mediante un semplice disegno. In ogni cartoncino si può scrivere una sola frase: pertanto, se un partecipante vuole esprimere più di un concetto deve utilizzare più cartoncini. Man mano che vengono date le risposte queste vengono appese al cartellone con delle puntine colorate in modo da renderle ben visibili a tutti. A questo punto inizia la discussione e in questa fase è possibile spostare i cartoncini, organizzarli, raggrupparli ed infine rinominarli attraverso l’applicazione di altri cartoncini di forma e colori differenti dai precedenti, (di solito rotondi, scritti con pennarello blu o rosso) per poter tracciare un percorso comune e condiviso che porti, come si diceva precedentemente, alla risoluzione del problema. L’autore di ciascuna frase può rimanere anonimo, ma se vuole rivelarsi, senza nessun condizionamento da parte degli operatori o degli altri componenti del gruppo, può farlo liberamente. |
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LO SCHEMA DI LAVORO DELL’INFERMIERA PER LA CONDUZIONE DELL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA IN GRUPPI DI MALATI E FAMIGLIARI
I destinatari degli incontri di educazione terapeutica sono pazienti con diabete tipo 2 o persone con alterata glicemia a digiuno ed i loro famigliari, su segnalazione del proprio medico, talvolta autoproposta dal paziente (passaparola) o dall’infermiera durante incontri occasionali in ambulatorio.
Gli incontri vengono organizzati principalmente la sera (poiché quasi tutti sono lavoratori) dalle 20 alle 22 (e oltre). Si tratta di 5 incontri con cadenza settimanale. Sono sempre condotti dall’infermiera talvolta accompagnata dai tirocinanti del corso di formazione in MG.
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Argomenti degli incontri
1° incontro – Avvio del Gruppo
- Obiettivi:
- Conoscere le caratteristiche della malattia e delle sue complicanze.
- Conoscere come gestire alcune situazioni di pericolo (ipo-iperglicemia).
- Metodo:
- Presentazione reciproca di tutti i partecipanti (ci si presenta col proprio nome, hobby).
- Presentazione del metaplan e primo utilizzo: “Cos’è il diabete mellito per i partecipanti al gruppo”.
- Viene spiegato e consegnato uno schema riepilogativo della loro situazione con ultimi esami fatti, con una programmazione di quelli che saranno gli accertamenti futuri e la cadenza con cui dovranno essere fatti (esami ematochimici, ECG, TSA, eco addome, fundus), visita da infermiera e dal medico curante.
- Compito a casa: dare un nome al proprio gruppo.
2° incontro – Autocontrollo glicemico
- Obiettivi:
- Conoscere perché è importante l’autocontrollo glicemico;
- Saper effettuare correttamente l’autocontrollo glicemico;
- Comprendere che in alcuni momenti può essere necessario un controllo più intensivo (all’inizio, in corso di malattie, nel sospetto di ipoglicemia, durante e dopo l’attività fisica).
- Metodo:
- Scelta del nome del gruppo;
- Viene chiamato un paziente in prova pratica per mostrare agli altri l’utilizzo del materiale, utilizzando una logica nelle misurazioni (a scacchiera) evitando spreco di materiale.
3° incontro – Alimentazione
- Obiettivi:
- Conoscere i nutrienti contenuti nei cibi, quali alimenti fanno variare maggiormente la glicemia, quale differenza fra carboidrati semplici e complessi;
- Acquisire un minimo di consapevolezza sugli equivalenti dei carboidrati per poter scambiare gli alimenti fra loro.
- Metodo:
- Si inizia con l’esposizione di quanti pasti e cosa hanno mangiato il giorno precedente. Poi si chiede quali sono, secondo i partecipanti, gli errori commessi.
- Ribadire semplici concetti per una corretta alimentazione sana ed equilibrata.
- Provano poi tutti insieme a costruire una dieta (corretta e commentata da un medico competente negli incontri successivi).
4° incontro – Attività fisica
- Obiettivi:
- Riconoscere che la pratica dell’attività fisica costituisce uno dei cardini della terapia del diabete tipo 2.
- Invogliare il paziente a praticare un’attività sportiva a lui congeniale e non pericolosa.
- Saper gestire eventuali criticità che possono comparire durante l’attività (ad esempio l’ipoglicemia), scegliere scarpe e indumenti adatti.
- Metodo:
- Inizio con la domanda: “Perché è importante fare attività fisica?”
- Promuovere la partecipazione a “Gruppi di cammino” (L’attivazione di “Gruppi di cammino” locali è stata fortemente voluta dal team, in quanto permettono ai pazienti di praticare attività fisica in sicurezza, regolarità e gratuità. Nella situazione locale, sono guidati da un conduttore con incontri vari: 3 volte la settimana al mattino + 1 ora in palestra, per chi non riesce a fare lunghe passeggiate, dove si eseguono esercizi di riscaldamento muscolare oppure 2 volte la settimana, di sera, con percorsi urbani ed extra urbani. Vengono invitati a partecipare tutti gli utenti, non solo i diabetici, nella consapevolezza che l’attività fisica porta ad un benessere psico-fisico ed ambientale, creando forti legami tra i partecipanti).
5° incontro – Prevenzione/gestione delle complicanze e verifiche conclusive
- Obiettivi:
- Cura e prevenzione del piede diabetico.
- Rendere consapevoli, non spaventati, capaci di gestire situazioni anomale.
- Verifica conclusiva delle competenze acquisite.
- Metodo:
- Inizio con la domanda: “Perché secondo te è importante prendersi cura dei piedi?”
- Mostrare tutti gli strumenti necessari e quali da evitare per la prevenzione delle lesioni del piede diabetico.
- Prestare attenzione a chi rivolgersi in caso di comparsa di lesioni del piede (infermiere, medico, podologo).
- Viene suggerito di riflettere sempre quando accadono situazioni anomale: “Perché ho la glicemia a 300 o 70? Cosa è successo? Cosa ho fatto? Ho assunto nuovi farmaci? Non mi muovo come prima?
- Dare ai pazienti l’opportunità di dimostrare di aver acquisito nozioni semplici ma importanti, illustrate durante le lezioni precedenti (Bellissimo vedere la soddisfazione dei partecipanti ai gruppi nel rispondere correttamente alle domande. Quando poi vengono mostrate le slide di verifica conclusiva, sono molto orgogliosi di aver interiorizzato concetti e ragionato sulle risposte).
- Consegna finale del questionario di gradimento (per dare la possibilità di manifestare il proprio giudizio e fornire indicazioni utili a migliorare i successivi incontri).
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Valutazioni sull’esperienza di educazione terapeutica in gruppo
Dal 2012 abbiamo educato circa 160 persone.
Sicuramente questi incontri richiedono disponibilità e fatica, ma ben ricompensata dai risultati ottenuti: dopo questi incontri, già dal 2°, scaturiscono dinamiche nel gruppo tali da renderlo già “terapeutico”; il gruppo diviene coeso, collaborante e si instaurano amicizie; tra loro si scambiano suggerimenti e strategie per superare le difficoltà quotidiane. Ammettono l’iniziale diffidenza, ma poi richiedono altri incontri. Sono certamente più sensibili ed attenti nella gestione della malattia.
Non tutti i MMG, singoli o associati, hanno la possibilità di avviare una attività di educazione terapeutica di gruppo. Comunque, durante l’attività operativa quotidiana, si ritiene che sia possibile avere un approccio educativo anche attraverso piccoli gesti, che non richiedono grandi sforzi: rivolgere al paziente semplici domande (ad esempio: cosa è per te il diabete? quali sono le difficoltà che incontri?), ascoltarlo, osservare i suoi atteggiamenti, riformulare le sue affermazioni, facendolo sentire l’attore protagonista della sua malattia, consapevole che lo si sta ascoltando, motivare la cura che deve seguire, indicare sintomi e segni che è importante riferire al medico.
Questo modello può essere esteso ad altre malattie croniche; inoltre, l’intervento sugli stili di vita (seguire una alimentazione sana, effettuare regolarmente attività fisica, smettere di fumare), risulta una strategia terapeutica più efficace, meno costosa e priva di effetti collaterali rispetto a qualsiasi farmaco.
I risultati non saranno immediati, ma nel tempo non privi di gratificazioni professionali!
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UN NUOVO RUOLO PER IL MEDICO DI CONTINUITÀ ASSISTENZIALE?
Gli effetti dell’adozione di stili di vita inappropriati sulla salute e, di conseguenza sui costi sanitari e sociali, sono noti ed impongono a tutto il comparto sanitario e politico ogni attenzione affinché si promuovano e si adottino comportamenti a valenza preventiva.
Facendo parte delle Cure Primarie, anche il Medico di Continuità Assistenziale (MCA) potrebbe, e dovrebbe, occupare un ruolo attivo nell’educazione alla salute dell’assistito e, se malato cronico, nella sua educazione terapeutica: dalla cessazione dell’attività tabagica alla corretta gestione della terapia, molti sono gli ambiti d’azione affrontabili con l’assistito.
Personalmente ho iniziato l’attività di “medico di guardia” il mese dopo avere terminato il corso triennale di MG. Nei quattro anni successivi, di pari passo con l’esperienza acquisita e con il confronto coi colleghi di postazione di Continuità Assistenziale più anziani, mi sono fatto un’idea, purtroppo precisa, del lavoro che svolgiamo: essenzialmente tamponare le acuzie nelle ore di assenza del MMG, lasciando alla volontarietà personale del medico l’andare oltre la gestione dell’emergenza per offrire una più ampia valutazione riguardo la storia di salute dell’assistito e la sua eventuale patologia cronica.
Questo quadro, perlomeno al momento, non è cambiato, se non che, con l’incremento graduale del numero di nuovi MCA provenienti (o, come il sottoscritto, appena usciti) dal corso di MG, sta aumentando l’attenzione nella gestione delle patologie croniche, quale fulcro del nostro prossimo lavoro, una volta acquisito l’ambito di MG.
Considerando che durante un turno notturno i contatti con gli utenti sono sporadici (nella mia esperienza, in media 2 visite per ogni turno di 12 ore), la disponibilità di tempo da dedicare loro è di gran lunga maggiore dei classici 15 minuti di visita che il MMG può mettere a disposizione. Il MCA, benché a differenza del MMG non conosca a fondo l’assistito, può sfruttare questo vantaggio per partecipare al suo percorso di educazione terapeutica, con l’obiettivo di contribuire al miglioramento delle sue capacità di essere protagonista del proprio stato di salute globale.
Da quanto detto, l’educazione terapeutica nel setting della Continuità Assistenziale attuale è limitata da una parte dall’interesse del medico ad approfondirla col malato e dall’altra dall’esiguo numero di pazienti valutati. Inoltre, a tutt’oggi, manca ancora la condivisione della Cartella Clinica Computerizzata coi MMG, nello spirito delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (le AFT della Legge “Balduzzi” 189/2012), attivate solo in alcuni territori della nazione. Con le AFT si potrebbero allineare i comportamenti assistenziali da parte di tutte le figure sanitarie territoriali coinvolte, con possibilità di condivisione strutturata dei Percorsi Diagnostico-Terapeutico-Assistenziali (PDTA), tanto più se all’interno di un disegno di Governo Clinico delle Cure Primarie, come sta avvenendo nella mia realtà professionale bresciana.
Per potere educare in misura più incisiva e personalizzata gli assistiti, ed in questo rafforzare quanto quotidianamente fatto dal MMG (coi limiti del caso già accennati), e sopperendo ai ritardi organizzativi del “sistema”, si potrebbe sfruttare l’apporto operativo dei MCA per gestire, se possibile anche nelle ore diurne, attività ambulatoriali dedicate ai malati cronici, allo stesso modo di quanto già fatto dai colleghi “in formazione” con i malati diabetici del nostro Team di Cure Primarie.
A tale ipotetico ambulatorio, inserito all’interno di un Team di Cure Primarie (o di una AFT, qualora queste prendessero diffusamente forma), potrebbero afferire inizialmente i pazienti inviati dal MMG con lo scopo di offrire un ulteriore supporto educativo, che il MCA potrebbe effettuare a partire da una valutazione delle conoscenze e competenze acquisite dall’assistito in merito alla condizione patologica di cui è portatore (Tabella 2).
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Gli accessi nell’ambulatorio dedicato ai malati cronici gestito dal MCA potrebbero essere organizzati secondo una pianificazione a scadenza prestabilita sulla base di alcune variabili (ad esempio: età, grado di coinvolgimento dell’assistito, tipo di malattia, comorbilità).
Tutto questo è al momento lontano dal realizzarsi diffusamente poiché mancano i mezzi (dalla già menzionata cartella clinica condivisa, alle medicine di gruppo dotate di infermieri e segretarie) ed il personale (i MCA continuano ad essere un’entità a sé stante all’interno delle Cure Primarie).
Siamo però convinti che se fosse applicato questo modello si otterrebbero benefici immediati (valorizzazione del tempo a disposizione dei MMG, “complicità positiva” dell’assistito) e nel tempo (miglioramento della gestione della patologia cronica con conseguente, sperata ma non inverosimile, riduzione delle complicanze, delle ospedalizzazioni, del consumo di risorse sanitarie).
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Risultati ottenuti e progettualità in evoluzione
Il lavoro più ampio finora messo in opera dal nostro Team di Cure Primarie ha riguardato innanzitutto i pazienti diabetici ed i loro familiari.
Le tesi dei nostri MMG tirocinanti illustrano i risultati ottenuti sui 160 pazienti seguiti negli anni 2013-14 con educazione terapeutica in gruppo, nettamente positivi, con miglioramento degli indici sia di buona gestione della malattia (numero di emoglobine-glicate eseguite) che di salute (valore di emoglobina-glicata, peso e circonferenza vita); i riscontri mostrano anche, d’altro canto, che senza una presa in carico strutturata del paziente cronico da parte del MMG, interventi educazionali isolati non riescono a sortire evidenti risultati positivi.
Abbiamo iniziato anche un percorso educativo sui pazienti affetti da Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) ed i loro familiari ed abbiamo in programma di riprendere il progetto, avviato sperimentalmente in passato con un primo gruppo di assistiti, mirato ai giovani asmatici e alle loro famiglie. All’orizzonte anche interventi educazionali sui pazienti ipertesi.
Dati i numeri elevati dei pazienti potenzialmente interessati, non è pensabile che ciò avvenga senza l’avvio di un livello organizzativo superiore, con AFT adeguatamente supportate da un adeguato numero di infermieri e collaboratori di segreteria, ma anche con l’inserimento di MMG Tirocinanti e MCA. Sarebbe peraltro auspicabile poter superare alcuni limiti logistico-amministrativi che stanno appesantendo inutilmente il lavoro quotidiano: ad esempio, risulterebbe veramente proficuo non dover più inserire manualmente gli esti di laboratorio nelle Cartelle Cliniche Computerizzate.
Nella direzione prima esposta, da un anno il nostro Team si è allargato con l’entrata di un nuovo giovane MMG, ex tirocinante, ancora impegnato anche come MCA. La speranza è di poter dare continuità, oltre le singole vite professionali e anche oltre le vicissitudini del nostro Team di Cure Primarie, con la volontà di aprirsi ai nuovi orizzonti di una Medicina di Comunità, con AFT organicamente inserite e in cui tutti i MMG collaborino per la gestione efficiente, efficace e virtuosa dei nostri malati cronici, in continuità col passato, ma con modelli di presa in carico che sappiano coinvolgere attivamente i pazienti ed i loro familiari in una gestione consapevole del proprio patrimonio di salute.
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Glossario
- AFT Aggregazioni Funzionali Territoriali
- BPCO Broncopneumopatia Cronico Ostruttiva
- ECG Elettrocardiogramma
- MCA Medico di Continuità Assistenziale
- MG Medicina Generale
- MMG Medico di Medicina Generale
- PDTA Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali
- UO Unità Operativa
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Bibliografia
Caimi V, Tombesi M (2002). Medicina Generale. UTET. Torino
Goldstein BJ, Muller-Wieland D (2010). Diabete di tipo 2. Principi e pratica. Verduci Editore, Roma
Lacroix A, Assal JP (2000). Therapeutic Education of Patiens. New approaches to chronic illness. Vigot. Paris
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