Cap. 9 – Gli Strumenti di Governo per una Comunità di Persone Attive nel Salvaguardare il Proprio Patrimonio di Salute

Capitolo del Manuale per operatori “educare alla Salute e all’Assistenza”

Autori: Carmelo Scarcella, Grazia Orizio

Indice

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Una regia per il coinvolgimento e l’orientamento di tutti gli attori

Era il lontano 1976 quando Ivan Illich pubblicava nel Regno Unito “Limits to medicine – Medical Nemesis: the expropriation of health”, tradotto in Italia ed edito da Mondadori nel 1977 con il titolo “Nemesi Medica: l’espropriazione della salute”. Nel famoso saggio l’Autore, all’interno di una più ampia tesi che sostiene il concetto della “controproduttività paradossale” (ovvero il fatto che quando i grandi servizi istituzionalizzati si sviluppano al di là dei loro limiti critici diventano i principali ostacoli alla realizzazione degli obiettivi per cui sono stati concepiti e finanziati), affronta il tema specifico della medicina e della salute.

In una feroce critica al monopolio medico sulla salute e ad una gestione professionale della sanità, sostiene da ultimo – se pur partendo da diverse premesse – la tesi base del presente volume, ovvero Illich ribadisce la necessità culturale che le persone recuperino “la propria capacità di salvaguardarsi la salute”, sottolineando quindi l’importanza della responsabilità individuale nella cura della salute, ma allo stesso tempo mostrando l’incisivo ruolo che l’organizzazione sanitaria ha sull’effettiva capacità del singolo di riappropriarsi di questa sfera.

Per queste ragioni, all’interno di un volume dedicato alla promozione di un nuovo approccio culturale della cura (cure), o più esattamente del prendersi cura (care), e allo sviluppo di responsabilizzazione a tutti i livelli della società – dall’individuo al macrosistema – circa la salvaguardia del patrimonio di salute, accanto ai presupposti teorici e agli strumenti pratici di implementazione, abbiamo ritenuto indispensabile fornire un breve approfondimento sul tema del governo di questo processo.

In tale contesto, risulta rilevante citare 1due grandi dibattiti attualmente in agenda in tema di salute: da una parte l’evidenza che gli approcci preventivi vanno pensati all’interno della profonda interconnessione di persone, di animali ed ecosistemi secondo l’approccio “OneHealth”, e dall’altra il fatto che l’epidemia delle malattie croniche rappresenti la grande sfida su cui si gioca la sostenibilità dei sistemi sanitari del prossimo futuro.

One Health” è un movimento internazionale basato su collaborazioni intersettoriali e formalmente riconosciuto da soggetti quali organi di governo ed enti tecnici anche internazionali, ONG e molti altri, che promuove l’applicazione di un approccio collaborativo, multidisciplinare, intersettoriale e coordinato per affrontare i rischi potenziali o già esistenti, che hanno origine dall’interfaccia tra ambiente-animali-ecosistemi umani. Ciò che risulta rilevante nel nostro specifico contesto, al di là di quale delle tante definizioni di “One Health” venga utilizzata, è che il tema comune è la collaborazione in tutti i settori che hanno un impatto diretto o indiretto sulla salute lavorando attraverso silos trasversali ai diversi settori e ottimizzando le risorse e gli sforzi nel rispetto dell’autonomia dei vari settori. Per migliorare l’efficacia dell’approccio “One Health”, vi è la necessità di stabilire un migliore equilibrio settoriale tra i gruppi e le reti esistenti, in particolare – per quanto riguarda la sanità pubblica – tra veterinari e medici, e per aumentare la partecipazione degli operatori ambientali e del settore faunistico, così come di sociologi, architetti, decisori istituzionali ed esperti dello sviluppo sostenibile.

Se One Healthrichiama la necessità di affrontare le sfide della salute umana, soprattutto in un’ottica di prevenzione e promozione della salute, in forte collegamento con i professionisti che si occupano di ambiente (sia esso antropico o naturale, ma anche sociale) e di salute veterinaria, un discorso specifico merita il tema della cronicità.

Il trend sociodemografico, che come noto mostra un continuo aumento dell’aspettativa di vita della popolazione italiana, è stato confermato dai recenti dati ISTAT (2017a), che riportano per il 2016 una speranza di vita alla nascita che si attesta a 85 anni per le donne, come di consueto più elevata rispetto a quella degli uomini, che ha comunque raggiunto gli 80,6 anni. L’aumento della sopravvivenza è da imputarsi soprattutto al guadagno rilevato nelle età superiori a 60 anni. Contestualmente, le coorti dei minori di 30 anni vedono una continua diminuzione, ponendo al sistema sociale, oltre che sanitario, la sfida della sostenibilità di uno scenario futuro in cui la popolazione con più di 65 anni rappresenterà una porzione sempre più consistente della popolazione, unitamente alle trasformazioni dei nuclei famigliari; infatti, vi sono sempre più persone che vivono sole o coppie senza figli, ovvero anziani del futuro la cui rete di sostegno famigliare potrà rivelarsi più labile e meno in grado di fornire supporto assistenziale rispetto a quella che ha caratterizzato il tessuto sociale italiano. Al trend sociodemografico si accompagna il trend epidemiologico: le stime concordano nel calcolare che circa un terzo della popolazione italiana ha almeno una patologia cronica, e che circa 20.000 individui su un milione presentano bisogni assistenziali complessi, ovvero rientrano nell’area della fragilità. (ISTAT, 2017b).

La cronicità e la fragilità rappresentano pertanto il maggiore elemento di sfida per la sostenibilità dei sistemi sociosanitari del futuro. L’applicazione di un approccio innovativo alle strategie attraverso cui si promuove la salute delle persone e si affronta l’emergenza cronicità passa inevitabilmente attraverso una profonda modifica dei paradigmi culturali e organizzativi su cui si fondano il sistema sanitario e sociosanitario. Se la parte di formazione culturale e continuo aggiornamento sono appannaggio dell’Università e delle Unità che, all’interno delle Aziende Sanitarie, sono dedicate al continuo aggiornamento dei professionisti, per quanto riguarda la parte organizzativa, essa necessita di un’analisi a più livelli, data la complessità del sistema attuale.

In questo senso, appare utile riprendere l’impostazione proposta da Valentijn che, in relazione al concetto di integrazione nell’assistenza primaria, identifica un framework concettuale che include le dimensioni delle cure integrate, definendo i livelli macro, meso e micro (2013). Si propone pertanto, nei passaggi che seguono, di affrontare le sfide organizzative poste da una effettiva implementazione del coinvolgimento e della responsabilizzazione delle componenti in gioco mediante la chiave di lettura di tali dimensioni.

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Area macro: le politiche e le strategie

Il livello macro corrisponde al livello di governo del sistema, ovvero l’ambito in cui si decidono le politiche e le strategie da attuare ai livelli sottostanti. Nei Capitoli 1 e 2 si è già accennato alla necessità di un mandato di policy per la realizzazione di strategie efficaci di promozione della salute e di Patient Engagement. Nel contesto nazionale, come peraltro già illustrato nel Capitolo 1, i Piani a disposizione che trattano gli argomenti di salute pertinenti con la promozione del ruolo attivo del cittadino nel suo percorso di salute sono in particolare il Piano Nazionale Prevenzione (PNP) – e le sue declinazioni regionali – per quanto riguarda l’approccio al sano, e il Piano Nazionale Cronicità (PNC) – anch’esso declinato a livello regionale in alcuni territori-, per quanto riguarda l’approccio a chi è già portatore di una o più malattie croniche.

Il Piano Nazionale Prevenzione (PNP) attualmente vigente (2014-2018) sottolinea, nell’analisi del percorso antecedente, come già il Piano 2010-2013 avesse raccolto la sfida dell’intersettorialità investendo “non solo nelle aree tradizionali della prevenzione (universale, selettiva, secondaria) ma anche nella promozione della salute ovvero in quel processo orientato non a prevenire una o un limitato numero di condizioni patologiche ma a creare nella comunità e nei suoi membri un livello di competenza (empowerment) che mantenga o migliori il controllo della salute”. In linea con le premesse precedentemente affrontate, il Piano riprende inoltre il concetto di “OneHealth” e si propone di porre “le popolazioni e gli individui al centro degli interventi”.

Il Piano Nazionale Cronicità (PNC) è uno strumento fondamentale, che, predisposto nel 2016 dal Ministero della Salute, offre i capisaldi culturali e organizzativi per orientarsi nella gestione delle malattie croniche, riassunti in cinque punti:

  1. Il coinvolgimento e la responsabilizzazione di tutte le componenti, dalla persona al macrosistema salute.
  2. La necessità che le politiche sanitarie si pongano tra gli obiettivi prioritari il riequilibrio e l’integrazione tra assistenza ospedaliera e territoriale, in un modello di sistema di cura ed assistenza in cui la cronicità sia gestita in modo coordinato tra l’Assistenza Primaria, la Specialistica ambulatoriale e l’Ospedale, concepito come uno snodo di alta specializzazione.
  3. Il paziente “persona” (e non più “caso clinico”), a sua volta esperto in quanto portatore del sapere legato alla sua storia di “co-esistenza” con la cronicità
  4. La valutazione orientata sul paziente-persona, sugli esiti raggiungibili e sul sistema sociosanitario.
  5. Il maggior mantenimento possibile della persona malata al suo domicilio, riducendo il rischio di istituzionalizzazione.

In questo contesto, risulta di particolare rilevanza il fatto che il primo principio coincida esattamente con l’argomento trattato nel presente volume: “il coinvolgimento e la responsabilizzazione di tutte le componenti”, dal livello individuale – oggetto specifico dei capitoli 3, 5, 8 – a quello macro, passando per i livelli intermedi – oggetto di questo capitolo, in una prospettiva secondo la quale gli aspetti culturali ed organizzativi rivestono un ruolo essenziale.

In linea con i principi sopracitati, le parole chiave che riassumono questo nuovo approccio culturale risultano essere: empowermente self-engagement; integrazione e continuità assistenziale; patient-centeredness e self-engagement, domiciliarità e prossimità, valutazione di processi ed esiti.

Alcune Regioni si sono impegnate nella definizione ed applicazione di riforme dei relativi Servizi Sanitari Regionali, secondo principi, metodologie e modelli organizzativi molto diversi, ma con la forte influenza del concetto di Population Health Management, che prevede – in estrema sintesi – la stratificazione della popolazione secondo i bisogni di salute e la definizione di pattern di cura/assistenza in base alle classi di persone con malattia cronica, con lo sviluppo di strumenti epidemiologici per il monitoraggio dello stato di salute della popolazione al fine di valutare gli interventi.

A titolo esemplificativo, senza entrare nei dettagli per in quali si rimanda alle singole normative regionali, il Veneto ha adottato il sistema del Adjusted Clinical Group, la Toscana il Chronic Care Model, l’Emilia Romagna ha implementato il modello delle Case della Salute, e la Lombardia ha in corso l’implementazione di un modello di presa in carico innovativo basato sulla stratificazione della popolazione in base ai consumi e sul ruolo di un soggetto Gestore che si assume la responsabilità dell’accompagnamento clinico del paziente, inclusi gli aspetti organizzativi di coordinamento tra gli attori coinvolti.

A questo livello, di pianificazione “alta”, è nota la difficoltà di identificare ed ottenere indicatori che permettano la valutazione dell’efficacia del piano stesso, in termini di impatto delle attività previste. Nell’ambito della prevenzione, tra i “limiti” noti della valutazione vi è la distanza temporale tra la definizione delle policy e l’effettiva realizzazione degli outcome attesi, che si unisce alla ulteriore difficoltà nell’individuare solide variabili descrittive dei fenomeni indagati e delle azioni correlate, nonché la scarsità e frammentarietà dei flussi informativi dedicati.

A questo proposito Agenas (Agenzia Nazionale per i servizi sanitari regionali), ha condotto diversi progetti finalizzati a leggere in modo integrato, omogeneo e confrontabile l’assistenza offerta sul territorio attraverso l’utilizzo dei flussi ammnistrativi correnti. Tra essi si ricordano il Progetto MATRICE “Integrazione dei contenuti informativi per la gestione sul territorio di pazienti con patologie complesse e con patologie croniche”, che ha sviluppato un sistema sperimentale di applicativi informatici open-source che consentono di elaborare automaticamente gli archivi gestionali informatizzati delle Regioni/ASL per produrre indicatori confrontabili e comuni ai Sistemi Sanitari Regionali circa l’attuazione nell’intera popolazione dei PDTA del diabete, dell’ipertensione, dello scompenso cardiaco e della cardiopatia ischemica. Il Progetto LUNA “Sviluppo e validazione di un set di indicatori per monitorare la Long Term Care degli anziani non autosufficienti” si è invece concentrato sul consolidamento di un set di indicatori per monitorare il processo organizzativo di presa in carico delle persone >= 65 anni non autosufficienti (Bellentani, 2016). Pare utile citare anche il progetto di Governo Clinico implementato nella ex ASL di Brescia, ora ATS, che si è posto l’obiettivo di monitorare sistematicamente gli esiti a partire dalla raccolta sistematizzata dei dati provenienti direttamente dai MMG (Scarcella, 2010).

È importante sottolineare la criticità intrinseca della valutazione, laddove ci si ponga come indicatore di risultato la misurazione gli obiettivi di salute raggiunti, in particolare quando ci si pone come miglior risultato perseguibile una azione sulle determinanti di salute tale da permettere di non intervenire clinicamente e/o di intervenire precocemente. Siamo molto lontani approcci di valutazione quantitativa classica, che spesso è coincisa con il conteggio del numero di prestazioni, il cui significato informativo dista molto da una valutazione degli processi e, meglio ancora, degli esiti.

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Area meso: organizzazione del lavoro e sviluppo professionale

L’area Meso, intermedia tra il livello macro delle policy e il livello micro della relazione con il singolo individuo, può essere affrontata secondo due prospettive: quella organizzativa e quella professionale.

Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, appare utile ricordare il significato dell’etimo organizzazione: “il modo in cui un sistema (anche vivente) è strutturato al fine del corretto espletamento delle sue funzioni o associazione di persone e istituzioni volte a un fine comune” [www.treccani.it/enciclopedia/organizzazione], oppure: “coordinazione, disposizione armonica di più elementi per un determinato fine” [Grande Dizionario Italiano. Dizionario della lingua italiana -http://www.grandidizionari.it/Dizionario_Italiano/parola/O/organizzazione.aspx?query=organizzazione].

A fronte del fatto che sempre maggiori evidenze di letteratura supportano la tesi che l’insoddisfacente qualità delle cure dipenda più da fallimenti dell’organizzazione che da incompetenze dei singoli medici o operatori (Institute of Medicine 2001 e 2002), ne consegue quindi che tali fallimenti organizzativi nascano da un cortocircuito nella condivisione di un unico fine da parte di chi entra in contatto con la persona, come se le varie parti che concorrono al prendersi cura, frammentate in una operatività basata su consuetudini, mancassero del focus sull’obiettivo comune, che è il benessere dell’ assistito.

Secondo questa lettura, si ridefinisce la produttività, che arriva a dipendere dall’efficacia con cui sono organizzate le interdipendenze, piuttosto che dallo sforzo del singolo professionista o unità produttive. Questo viene riconosciuto in particolare nell’ambito della gestione delle malattie croniche, laddove miglioramenti dell’organizzazione e dell’erogazione sono determinanti dell’efficacia pratica (Edward 2002). In altre parole, possiamo dire che interventi intrinsecamente eccellenti ma non coordinati tra loro (visite spot da “superspecialisti”) tendono a dare un risultato di salute complessivo molto inferiore rispetto ad interventi di livello medio ma ben programmati (fare solo quello che risponde ai bisogni di salute della persona, coinvolgendo le diverse figure professionali necessarie) e ben coordinati (assicurare che i singoli interventi siano guidati da una regia che ne garantisca lo svolgimento armonico ed ottimizzato).

Entriamo così nell’ambito dell’integrazione, tema di estrema complessità per ragioni diverse tra cui citiamo quelle culturali, professionali, organizzative, e non da ultimo ancora la difficoltà di definire strumenti per misurare e valutare l’integrazione, una volta che se ne implementino specifici modelli organizzativi. Si rimanda alla letteratura specifica per una panoramica sull’integrazione (Valentijn 2013, Bellentani 2016b), ciò che preme sottolineare in questa sede è la necessità di sviluppare competenze a livello manageriale per coordinare i servizi, arrivando ad una integrazione efficace tra il settore sanitario, sociosanitario e socioassistenziale.

Auspicare un tale sviluppo entra però in collisione con l’attuale struttura “a silos” dei servizi, in cui ogni settore opera secondo gerarchie, modelli culturali, background professionali e in ultimo mission differenti, dove non poca influenza hanno le committenze istituzionali/politiche di riferimento. Ecco perché l’implementazione di una reale integrazione

investe profondamente il sistema di governance attuale e mette in discussione i ruoli e responsabilità dei vari attori coinvolti, dalla Regione alle Aziende sanitarie fino ai singoli operatori. Questa criticità s’inscrive in un problema più generale, proprio del sistema sanitario italiano, di aziendalizzazione incompleta e di un conflitto ancora aperto, sia a livello organizzativo sia a livello culturale, tra responsabilità clinica e manageriale (Taroni, 2000).

Accanto a questi aspetti di criticità propri dei servizi strutturati, un discorso a parte merita il processo fluido ed attualmente in atto dell’evoluzione della Medicina Generale (MG), che riguarda i modelli organizzativi e le funzioni rivestite dal Medico di Medicina Generale (MMG). Infatti, il MMG ha un ruolo fondamentale all’interno del processo di responsabilizzazione dell’assistito nel suo percorso di salute, in quanto suo primo interlocutore diretto, che raggiunge in modo capillare tutta la popolazione, ma può assumere anche il ruolo essenziale di facilitatore del coordinamento dei servizi di cui la persona ha necessità, a patto che accolga tale ruolo, secondo la linea evolutiva di seguito descritta, che coincide con il passaggio chiave dalla medicina passiva a quella attiva, e dall’approccio paternalistico ad un rapporto di alleanza medico-assistito.

Dal punto di vista dei modelli organizzativi, la prima fase (tutt’ora esistente) è rappresentata dal MMG “isolato”, ovvero un libero professionista che lavora da solo e fornisce singole prestazioni solo in seguito a richiesta dell’assistito (Scarcella, 2012). Il comportamento clinico-prescrittivo può essere variabile, legato ad una formazione ospedaliero-specialistica e lontana dalla Medicina Generale. L’azione è sostanzialmente autonoma, non coordinata nella rete sanitaria, sotto la sola vigilanza ammnistrativa dell’ASL. L’avvio dell’Associazionismo Medico ha favorito un setting strutturato per un confronto tra MMG all’interno delle diverse forme di aggregazione funzionale e organizzativa. Nello specifico, l’Accordo Collettivo Nazionale prevede diverse forme di associazionismo volontario, dalla “Associazione Semplice” alla Medicina “in Rete” o “in Gruppo”, che vedono vincoli differenti in termini di numerosità dei partecipanti, orari di apertura degli ambulatori, requisiti di collegamento telematico e delle cartelle cliniche degli assistiti, condivisione del personale amministrativo e infermieristico, utilizzo di strumenti comuni di miglioramento continuo tra cui, ad esempio, linee guida condivise e momenti di revisione della qualità dell’attività e dell’appropriatezza prescrittiva. Si colloca in questa linea di sviluppo quanto stabilito nella Legge 158 del 2012 (cosiddetta Legge Balduzzi) che prevedeva la costituzione delle Cure Primarie in forme organizzate denominate Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) e Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP), la cui realizzazione sta procedendo in modo molto diverso nelle varie Regioni (Sessa, 2016).

Va sottolineato che questa nuova visione della MG è stata resa possibile anche dallo sviluppo delle soluzioni di Information Technology che, grazie alla messa in rete delle cartelle degli assistiti, può permettere una condivisione ed una elaborazione dei dati prima inimmaginabile, in presenza di un sistema informativo integrato opportunamente disegnato. Le aree di sviluppo in questo campo sono molteplici, e solo a titolo di esempio di citano in questa sede le potenzialità in termini di continuità delle cure tra MMG/PLS e con la Continuità Assistenziale; la minimizzazione del rischio di duplicazioni di indagini/consulenze; l’implementazione di un sistema di elaborazione, da parte del Dipartimento delle Cure Primarie delle ASL. sulla base dell’aggregazione dei dati provenienti dagli MMG, al fine restituire ai Medici ritorni informativi personalizzati che permettano la valutazione periodica degli indicatori di processo, terapia ed esito, promuovendo il confronto tra pari e le azioni di miglioramento continuo; il possibile collegamento con le strutture della rete e gli scenari di telemedicina.

Quindi, il MMG riveste più funzioni, accanto a quella classica di clinico, che pure resta il fondamento della sua attività. Ha l’importantissima funzione di “regista” del percorso di cura e assistenza dell’assistito, soprattutto nell’ambito della cronicità e della complessità, essendo colui che maggiormente conosce i problemi di salute, la storia sanitaria, il contesto famigliare e di vita, le abitudini, gli elementi di fragilità e di potenzialità dell’assistito e del suo contesto famigliare. Può infine assumere un ruolo centrale all’interno del sistema, laddove, mediante un rapporto strutturato, mediato dal Dipartimento delle Cure Primarie, con gli altri MMG può produrre risultati generali, non solo sul singolo assistito, ma anche sul sistema degli assistiti e che presentano i medesimi quadri clinici, e, complessivamente, sull’intera popolazione. Egli può dunque divenire un osservatore privilegiato a supporto della programmazione del sistema, contribuendo alla rilevazione dei bisogni di salute e alla individuazione delle aree di criticità/miglioramento.

Chiaramente quest’ultimo ruolo, che è costituito da un approccio di popolazione, necessita di un’organizzazione a monte (a livello di ASL, o a livello di Regione) che fornisca ai MMG gli strumenti necessari, in termini di elaborazione dei dati degli assistiti e restituzione, in modo fruibile ed intuitivo, di report riassuntivi e individuali. Più tale regia sarà “alta” (regionale, nazionale), maggiormente si otterranno risultati omogenei sul territorio.

Si crea inoltre un’area ibrida tra policy e organizzazione del lavoro, laddove perseguire obiettivi di prevenzione a livello territoriale richiede un preciso mandato, al fine di riconoscere il relativo lavoro, e richiede di pianificare le attività, in termini di gestione del tempo e previsione nei piani di lavoro; ad esempio, un progetto di conselling motivazionale in fasce specifiche di popolazione a rischio nel setting dell’ambulatorio del MMG richiede una programmazione del reclutamento, basata sulla numerosità dei soggetti, stimando il tempo medio dell’intervento e pianificando un numero di interventi annuali al fine di raggiungere tutta la popolazione in tot anni.

Il sistema deve pertanto darsi un’organizzazione che persegua il fine reale (il migliore stato di salute ottenibile per i singoli assistiti) fornendo agli attori gli strumenti necessari, siano essi di natura culturale (l’aggiornamento continuo), operativa (linee guida, progetti), organizzativa (slot di tempo dedicati a specifiche attività, funzioni pivot che gestiscano le interazioni con gli attori, ad esempio le unità di valutazione multidimensionale e/o le dimissioni protette). La necessità di un’attività di riflessione che governi il “fare” delle organizzazioni sanitarie e sociosanitarie, e che sia sempre pronta a rimodulare gli interventi in funzione dei reali obiettivi, è stato ben descritto nel Capitolo 4, che affronta anche il bisogno di dare un senso al “fare”, compresa l’importanza di affrontare le implicazioni etiche sottese all’agire, all’interno delle possibilità sempre più ampie che la tecnologia mette a disposizione della medicina. Il fatto che al centro dei vari interventi dedicati alla persona debbano esserci la progettualità e la condivisione del percorso di cura, e non la malattia, in una logica di rete che valorizzi anche gli aspetti relazionali ed emozionali, viene trattato nel Capitolo 24; nella stessa sede si accenna all’impatto delle nuove tecnologie dell’informazione sul vissuto di malattia, anche attraverso le interazione nel “social network” della società 2.0, con una trasformazione del concetto di prossimità, non più solo geografica, ma estesa ad una vicinanza in termini di orizzonti valoriali delle relazioni.

Per quanto riguarda l’area professionale, è da sottolineare come la prospettiva sulla quale si basa la preparazione culturale degli operatori rappresenti uno dei punti chiave per la realizzazione di obiettivi che hanno come presupposti imprescindibili sia gli aspetti organizzativi prima descritti sia il modo in cui il professionista interpreta il suo ruolo e la sua funzione all’interno del sistema in cui è inserito.

A questo proposito, appare utile riprendere brevemente alcuni temi già trattati nei capitoli precedenti, al fine di sottolineare la necessità che la Sanità – intesa come l’insieme degli Enti preposti alla formazione dei futuri professionisti e delle organizzazioni che effettivamente erogano i servizi e le prestazioni, a livello sia sanitario sia sociosanitario – si doti di una strategia complessiva, volta ad un approccio di promozione della salute verso il sano e di presa in carico verso cronico/fragile, al fine del perseguimento della migliore qualità di vita del soggetto.

In questo senso, appare critico il luogo quasi esclusivo della formazione dei professionisti della salute all’interno dell’ospedale, sede della cura dell’acuzie e degli specialismi. Già è stato illustrato nei Capitoli 4 e 5 come questa discrepanza, tra la formazione prevalentemente finalizzata alla risoluzione dell’acuzie e il bisogno di salute della popolazione sempre più frequentemente collocato nella sfera della cronicità, generi un problema sia di efficacia degli interventi, sia una potenziale frustrazione negli operatori, esposti ad un burnout che nasce, tra gli altri fattori, anche dal disallineamento tra le aspettative professionali e il contesto reale di lavoro (vedi Capitoli 2 e 4).

Si segnala che sono state sviluppate diverse iniziative, in questi ultimi anni, al fine di favorire la formazione e l’aggiornamento dei professionisti sanitari nella direzione promossa dal presente volume (ad es.: il Master di I e II livello in “Governare e dirigere i servizi sociosanitari. L’innovazione nel lavoro integrato dei servizi territoriali per la persona e la comunità” a.a. 2016/2017 dell’Univesrità degli Studi di Udine; il “Master per Infermieri e Ostetriche di Comunità” attivato a Brescia dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Medicina e chirurgia “A. Gemelli”, in collaborazione con Fondazione Poliambulanza Istituto Ospedaliero di Brescia). Resta però il fatto che tali iniziative, nate dalla sensibilità al tema in contesti specifici, mancano di un mandato e un quadro nazionale di riferimento.

In particolare, in termini di strumenti professionali utili in quest’ottica, si ricorda l’importanza delle strategie gestionali e degli approcci clinici. Tra le prime, va ricordato il reclutamento precoce, i PDTA evidence-based trasversali, il monitoraggio dell’aderenza ai PDTA, gli audit clinici e il supporto alla compliance dei pazienti. Queste attività, come precedentemente detto, si possono sviluppare solo in un contesto in cui è presente un’azione di governo clinico da parte dell’autorità sanitaria, sia essa locale o regionale, ma va sottolineato che richiedono anche la partecipazione attiva dei singoli Medici, che devono sviluppare specifiche competenze in tal senso. Si ricorda che i Percorsi Diagnostico Terapeutico Assistenziali (PDTA) hanno rappresentato un importante punto di rottura dall’isolamento funzionale del Medico di Medicina Generale, soprattutto con l’introduzione dei PDTA per la gestione integrata ospedale-territorio, che hanno favorito appunto l’integrazione con il livello specialistico e ridotto la variabilità clinico-prescrittiva. L’Audit Clinico è stato un passo ulteriore: una modalità strutturata attraverso la quale ciascun Medico si confronta tra pari con i colleghi nel contesto dei “Gruppi di Miglioramento”, con modalità non empiriche o anedottiche, ma sulla base di indicatori effettivamente misurabili e confrontabili.

Altra area cruciale è l’approccio clinico, che si deve sempre più orientare verso competenze che permettano, sia nel contesto territoriale sia in quello specialistico, una ottimale sintesi clinica per quanto riguarda i cronici/fragili polipatologici, superando il lavoro spesso “isolato” dei singoli specialisti, e che si basi sui concetti di personalizzazione e di contestualizzazione, che va riconosciuta come variabile clinica decisiva. Nel contesto di questo approccio “olistico” alla persona, che concilia i contributi dei diversi specialisti che contribuiscono all’inquadramento clinico e alla definizione della strategia terapeutico/assistenziale, si sottolinea la necessità di promuovere il coinvolgimento dell’assistito nel suo “prendersi cura di sé”, in termini di prevenzione primaria e secondaria, con l’apporto dei professionisti, medici e non, che contribuiscono all’assistenza.

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Area micro: la relazione individuale tra la persona e i professionisti

Vi è infine l’area dell’interazione individuale, ampiamente trattata nella maggior parte dei capitoli del volume, e nella quale pertanto non si entra in questa sede.

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Conclusioni

Lo sviluppo di un approccio basato sulla persona, che si pone la priorità della promozione della salute nel sano e della presa in carico nel cronico/fragile al fine di favorire/facilitare la partecipazione attiva del cittadino nel suo percorso di salute, richiede un profondo ripensamento del mandato del servizio sanitario, e conseguentemente degli assetti organizzativi e dell’approccio culturale degli operatori. Alcuni piani nazionali si muovono in questa direzione, ma molto ancora deve essere fatto per modificare il paradigma del curare verso il prendersi cura.

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Glossario

  • AFT            Aggregazioni Funzionali Territoriali
  • Agenas     Agenzia Nazionale per i servizi sanitari regionali
  • ASL            Azienda Sanitaria Locale
  • ATS            Agenzia di Tutela della Salute
  • MG            Medicina Generale
  • MMG         Medico di Medicina Generale
  • ONG          Organizzaznioni Non Governative
  • PDTA         Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale
  • PNC           Piano Nazionale Cronicità
  • PNP           Piano Nazionale Prevenzione
  • UCCP         Unità Complesse di Cure Primarie

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Bibliografia

  • Bellentani M, Cosentino M, Visca M (2016a). Progetti Agenas sul monitoraggio della cronicità e della non autosufficienza, in: Il Governo dell’Assistenza Primaria – Manuale per operatori di Sanità Pubblica (343-385). Editore Bruno Mondadori Pearson, Torino.
  • Bellentani M, Visca M, Silvestrini G, Damiani G (2016b). L’integrazione sociosanitaria e la gestione della cronicità e della complessità assistenziale, in: Il Governo dell’Assistenza Primaria – Manuale per operatori di Sanità Pubblica (266-275). Editore Bruno Mondadori Pearson, Torino.
  • Edward H Wagner EH Groves T (2002). Care for chronic diseases BMJ;325:913
  • Illich I (1977). Nemesi Medica: l’espropriazione della salute. Arnoldo Mondadori Editore, Cles (TN).
  • Institute of Medicine (2001). Crossing the Quality Chasm: A New Health System for the 21st Century. Washington, DC: National Academy Press;; Institute of Medicine. Leadership By Example: Coordinating Government Roles in Improving Health Care Policy.Washington, DC: National Academy Press; 2001
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  • ISTAT (2017b) Italia in cifre. disponibile al link: https://www.istat.it/it/archivio/194899
  • Piano Nazionale Cronicità, Direzione Generale della Programmazione Sanitaria, Ministero della Salute, Accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano del 15 settembre 2016. Disponibile al link: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2584_allegato.pdf
  • Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018. Ministero della Salute.
  • Scarcella C, Lonati F (2010). Governo clinico e cure primarie. Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna.
  • Scarcella C, Lonati F (2012). Metodologie e strumenti per la gestione delle cure primarie. Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna.
  • Sessa A. Il Medico di Medicina Generale, AFT UCCP. (2016). In: Il Governo dell’Assistenza Primaria – Manuale per operatori di Sanità Pubblica (35-48). Editore Bruno Mondadori Pearson, Torino. 2016
  • Taroni F, Grilli R. È possibile un governo clinico delle aziende sanitarie? Politiche Sanitarie 2000;1:64-76.
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