Capitolo del Manuale per operatori “Educare alla Salute e all’Assistenza”
Autori: Elisabetta Barzan, Valeria D. Tozzi
Indice
- L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI EDUCAZIONE DEL PAZIENTE: CENNI STORICI
- COMUNICARE SALUTE NEL MONDO: TREND EVOLUTIVI
- Conclusioni
- Glossario
- Bibliografia
- Spazio discussione
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Il concetto di comunicazione rivolta al paziente è molto ampio e riguarda sia la fase terapeutica in senso stretto (Vargas-Schaffer, 2014), sia tutte quelle attività che più genericamente educano il paziente alla salute (i.e. health education), scoraggiando quei comportamenti (come, ad esempio, una dieta squilibrata, l’abuso di alcol e droghe e il consumo di tabacco) che sono statisticamente correlati a un peggioramento dello stato di salute (Glanz, 2008).
Questo capitolo si pone l’obiettivo di indagare l’evoluzione e la diffusione del concetto di educazione del paziente nei Paesi sviluppati costruendo una “big picture” rispetto alla quale il lettore potrà autonomamente approfondire alcuni elementi specifici. Si premette che non vengono approfonditi i contenuti specifici della prevenzione, che richiederebbero una trattazione specifica, ma si osserva il ruolo della comunicazione rivolta al paziente nei processi di cura. In particolare, il capitolo descrive come è nato e si è evoluto il concetto di comunicazione intorno al concetto di salute e di terapia in Europa, cercando di identificarne i trend di evoluzione futuri. Alcune esperienze internazionali, in linea con questi trend evolutivi, vengono successivamente presentate perché rappresentano a parere degli autori uno stimolo per il dibattito e per gli interventi in corso nel nostro Paese.
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L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI EDUCAZIONE DEL PAZIENTE: CENNI STORICI
Fino agli anni 60, gli operatori sanitari esercitavano un ruolo in un certo senso esclusivo nella diagnosi, trattamento e follow-up del paziente. Questi infatti interpretava un ruolo molto più passivo rispetto ai nostri giorni all’interno dei setting clinico assistenziali e il tema del suo coinvolgimento nelle decisioni sulla presa in carico era assai poco percepito. Inoltre, pur riconoscendo la valenza educativa dell’informazione rivolta al paziente, soprattutto attraverso i momenti di contatto diretto, il tempo dedicato all’informazione e alla relazione con il paziente non erano considerati parte della cura e della più ampia presa in carico (Hoving, 2010).
Nel corso degli anni ‘60 e ‘70 il mondo della medicina ha subito profondi cambiamenti, tra i quali si annovera il mutamento della relazione tra gli operatori sanitari e la persona assistita verso una maggiore centralità dell’assistito nel processo di presa in carico (Jonsen, 1998). Il concetto di educazione del paziente ha quindi cominciato ad acquisire una sempre maggiore rilevanza nel processo di cura: a partire dall’Olanda, dove per la prima volta si è attribuito un ruolo centrale all’educazione sia in ambito ospedaliero sia nelle cure primarie (Visser, 1984), questo approccio si è diffuso in tutta Europa (Hoving, 2010).
Nel 1974 è stato inoltre pubblicato un documento, intitolato “A New Perspective on the Health of Canadians”, maggiormente conosciuto come Rapporto “Lalonde” (Lalonde, 1974) nel quale si è per la prima volta ipotizzato che non solo gli aspetti strettamente biomedici avessero un impatto sulla salute, ma che anche i cittadini stessi potessero migliorare la loro condizione di salute adottando particolari comportamenti: veniva sottolineata la necessità da parte dei decisori politici di investire risorse maggiori nei tre elementi dell’Health field (biologia umana, stili di vita e ambiente) al fine di migliorare le condizioni generali di salute di una società.
Nel corso degli anni 80, alcuni Paesi europei (primi tra tutti il Belgio e l’Olanda), cominciarono a regolamentare il fenomeno riconoscendo ai pazienti il diritto legale di ricevere delle informazioni sul loro stato di salute e, più specificatamente, sulle diverse opzioni di cura che gli si prospettavano (Deccache, 2001). In altri contesti nazionali (come la Gran Bretagna, l’Italia e la Finlandia), invece, il riconoscimento dell’educazione del paziente come un vero e proprio diritto tardò a trovare accoglimento (Visser, 2001).
A partire dagli anni 90, i pazienti iniziarono ad assumere nel panorama europeo un ruolo attivo e a essere coinvolti nella promozione della propria salute e nel processo di cura (Van den Borne, 1998). Divenne chiaro infatti che le pratiche di self-management e, più in generale, le abitudini quotidiane dei pazienti rappresentano dei fattori determinanti nella gestione della patologia, soprattutto se cronica.
Negli stessi anni, inoltre, la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Information and Communications Technology) e, in particolare, di Internet ha determinato la nascita di nuovi canali e modelli di comunicazione rispetto alla tradizionale interazione medico-paziente a cui gli assistiti potevano fare riferimento per la raccolta di informazioni inerenti la propria patologia: cambiava in modo sostanziale l’interazione tra gli operatori sanitari e la persona assistita che poteva far riferimento a un numero molto più ampio che in passato di fonti informative, non più concentrate nell’interazione medico – paziente (Hoving, 2010). Negli stessi anni si allargava lo spettro della comunicazione poiché oltre al singolo paziente si iniziava a riconoscere il ruolo centrale del suo network sociale a partire dal contesto familiare.
Di estrema importanza per lo sviluppo dell’educazione dei pazienti è stata, infine, la creazione di una piattaforma di contatto e di condivisione per educatori, ricercatori nell’ambito della comunicazione e esperti di formazione nel settore sanitario: l’International Conference on Teaching in Medicine in Oxford (UK) del 1996 e i successivi convegni a Amsterdam, Chicago, Oxford e Barcellona portarono alla nascita nei primi anni 2000 della European Association for Communication in Health Care (EACH), un’organizzazione che opera a livello mondiale al fine di promuovere una comunicazione tra pazienti, caregivers e operatori sanitari che sia efficiente, patient-centrede evidence-based. Attualmente, la rivista scientifica di riferimento per l’EACH è la Patient Education and Counseling,dedicata all’approfondimento della tematica della comunicazione con l’assistito e allo studio dell’evoluzione del concetto di educazione del paziente in Europa e negli Stati Uniti.
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COMUNICARE SALUTE NEL MONDO: TREND EVOLUTIVI
L’educazione alla salute in generale e quella terapeutica nei Paesi sviluppati si stanno evolvendo in risposta ad alcune dinamiche chiave di cambiamento, quali lo scenario demografico-epidemiologico di riferimento e la diffusione di nuovi e sempre più capillari strumenti di comunicazione e di condivisione. Il dibattito sulle patologie croniche rappresenta spesso il tema conduttore dei principali processi innovativi che i modelli comunicativi hanno vissuto nel settore dell’healthcare.
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L’educazione terapeutica e le patologie croniche
Le malattie non trasmissibili, ovvero patologie a carattere cronico che non possono diffondersi per contagio e che hanno in genere una progressione lenta e di lunga durata, sono responsabili a livello mondiale del 70% delle morti (WHO, 2017). The World Health Organization (WHO) individua quattro grandi categorie di patologie croniche, ovvero le malattie cardiovascolari, il cancro, il diabete e le malattie respiratorie croniche.
Sull’insorgenza di queste patologie impattano alcune determinanti non mediche della salute, come ad esempio il consumo di alcol e tabacco, l’obesità e il livello di inattività fisica. Questi comportamenti, sono statisticamente associati all’insorgenza delle più diffuse patologie croniche, concorrendo alla loro patogenesi, favorendone lo sviluppo o accelerandone il decorso. Il peso epidemiologico delle malattie croniche può essere quindi arginato facendo leva sull’educazione alla salute dei pazienti (health education) e sul loro coinvolgimento nell’adozione di stili di vita salutari. L’Unione Europea è attivamente impegnata nel contrastare questi comportamenti dannosi. In questa direzione si muove, ad esempio, Eurocare, un’organizzazione non governativa che promuove politiche per la prevenzione e la riduzione del consumo di alcol sul panorama europeo.
I Paesi membri dell’Unione Europea, tra cui anche l’Italia, con l’Action Plan on Childhood Obesity 2014-2020 si sono inoltre impegnati ad arrestare l’aumento di sovrappeso e obesità nei bambini e ragazzi (0-18 anni) entro il 2020.
Rispetto al consumo di tabacco, infine, dal momento che esso rappresenta la maggiore causa di morte evitabile nell’Unione Europea, la Commissione Europea è impegnata da tempo a promuovere la prevenzione e l’abbandono del fumo. In particolare, negli ultimi anni sono state lanciate diverse iniziative per affrontare il problema del tabagismo in Europa, come ad esempio la campagna “Ex-Smokers are Unstoppable”. Iniziata nel 2011 e proseguita con successo per due anni consecutivi, essa incoraggiava a intraprendere una sfida personale verso uno stile di vita più sano senza fumo anche grazie all’app iCoach, lanciata per la prima volta nel 2011 con l’obiettivo di aiutare i giovani adulti europei di età compresa tra i 24 e i 35 anni a smettere di fumare.
Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione che interessa i Paesi sviluppati contribuirà ad aumentare progressivamente il peso epidemiologico e economico delle malattie croniche a cui i sistemi sanitari dovranno far fronte nei prossimi anni. Per rispondere a queste dinamiche e gestire efficacemente la presa in carico di queste patologie, i paesi europei stanno sviluppando dei programmi di gestione delle patologie croniche (i.e. Disease Management Programs, DMPs), che condividono un approccio integrato delle cure tra professionisti che partecipano ai percorsi clinico assistenziali (Krumholz, 2006) e che mirano al raggiungimento di livelli elevati di continuità delle cure sia dal punto di vista longitudinale, ossia duratura nel tempo, sia relazionale, basata sullo scambio informativo paziente-professionista e sulla fiducia che il paziente ripone in uno o più professionisti (Longo, 2009).
Seppure molto differenziati in termini di patologie, setting assistenziali e professionalità a cui si rivolgono, questi programmi riconoscono la centralità dei processi informativi ed educativi nel processo di presa in carico (Krumholz, 2006). Coerentemente a questa definizione, l’European Observatory on Health Systems and Policies ha recentemente analizzato in un report dedicato i principali programmi di presa in carico della cronicità implementati in 12 Paesi europei dal 1989 al 2010. La Tabella 1 di seguito presentata riporta le caratteristiche principali di alcuni programmi implementati in 4 Paesi europei: Gran Bretagna, Germania, Olanda e Francia.
La decisione di limitare l’analisi a questi 4 Paesi europei deriva dalla necessità di analizzare dei casi-paese con dei profili comparabili tra loro e che possano rappresentare un esempio da cui trarre eventuali spunti di approfondimento e elementi di efficientamento da implementare anche nel nostro paese. I Paesi oggetto di analisi possiedono infatti profili socio-demografici simili al caso italiano, presentando una sempre più elevata percentuale di cittadini anziani (oltre 65 anni) che determina una più intensa domanda di servizi sanitari, in particolare per la maggiore prevalenza di patologie croniche.
Questi Paesi, inoltre, condividono una unica cornice di politiche per la salute grazie alle direttive europee che completano e rafforzano il quadro normativo nazionale sul tema della salute. Questi sistemi sanitari, infine, mirano a garantire la copertura sanitaria il più possibile ampia alle popolazioni di riferimento attraverso una forte regolazione pubblica dei meccanismi di finanziamento, anche se con diverse modalità: la Francia, la Germania e l’Olanda infatti sono Paesi con assicurazione sanitaria obbligatoria (Bismark model), mentre il Regno Unito gode, come l’Italia, di un Servizio Sanitario Nazionale (Beveridge model).
In particolare, il Regno Unitopossiede un sistema sanitario universalistico finanziato principalmente attraverso la fiscalità generale (82,5%) e, limitatamente al 10% e all’1,8%, attraverso la spesa sanitaria out of pocket (cioè interamente o parzialmente a carico delle famiglie) e l’assistenza sanitaria integrativa finanziata da assicurazioni private (Nolte, 2014; Del Vecchio, 2016). Il Department of Health è l’organo responsabile della definizione e implementazione delle politiche in ambito sanitario, mentre la responsabilità dell’erogazione dei servizi, in seguito all’entrata in vigore nel 2012 del Health and Social Care Act, è in capo al NHS England (Mossialos, 2015). Il NHS England supervisiona infatti 211 Clinical Commissioning Group (CCG), le strutture organizzative (paragonabili alle nostre aziende sanitarie) che hanno il compito di affidare ai fornitori i servizi sanitari (specialistici, ospedalieri, di emergenza, e la vasta gamma dei servizi sanitari territoriali) nell’ambito della propria area geografica di competenza.
Il sistema sanitario tedesco, invece, è un sistema con assicurazione sanitaria obbligatoria, dove operano 115 assicurazioni sociali non profit (sickness funds), che agiscono come delle “casse mutue” e sono finanziate congiuntamente dai contributi dei lavoratori e dalle imprese con aliquote stabilite per legge e correlate al reddito. Esse agiscono sostanzialmente come “third payers”, acquistando dai produttori di servizi le prestazioni ambulatoriali e ospedaliere e l’assistenza farmaceutica per i propri iscritti (Stock, 2010). I cittadini che presentano un reddito mensile superiore a una certa soglia (4.462,60 euro) possono decidere di iscriversi alle assicurazioni private (Private Krankenversicherung‐PKV), anziché a quelle sociali. Le assicurazioni private offrono spesso maggiori servizi delle assicurazioni sociali ma al contempo possono modulare i premi coerentemente al rischio personale dei cittadini di ammalarsi. Lo Stato centrale si limita a governare complessivamente il sistema definendo le regole che delineano il perimetro entro il quale gli attori del sistema sanitario possono muoversi, non agendo quindi né come finanziatore, né come gestore o proprietario di aziende di produzione sanitarie.
Il sistema sanitario olandese è definibile un sistema ibrido tra il modello tedesco e quello britannico: esso infatti presenta una componente universalistica e solidale, finanziata attraverso la fiscalità generale, per quanto riguarda le spese eccezionali (come l’assistenza a lungo termine, l’assistenza domiciliare e residenziale agli anziani non autosufficienti e ai disabili fisici e psichici) e una componente mutualistica, che è stata profondamente modificata in seguito all’entrata in vigore il 1° gennaio 2006 dell’HealthInsurance Act (Zvw). Questa riforma prevede l’obbligo per tutti i cittadini di iscriversi ad un’assicurazione sanitaria, che garantisca un pacchetto standard di prestazioni (ad esempio i ricoveri ospedalieri e le attività specialistiche, l’assistenza farmaceutica e l’assistenza del medico di medicina generale). Gli assistiti hanno la possibilità di scegliere tra più assicurazioni che competono sul mercato e alle quali non è consentito selezionare i pazienti rifiutando l’iscrizione o aumentando il prezzo della polizza per motivi di età o di salute.
In Francia, infine, con l’introduzione del Universal Health Coverage Act (CMU Act) del 1999 vige un sistema sanitario basato su assicurazioni statali obbligatorie. Il sistema sanitario francese è un sistema pubblico, finanziato principalmente attraverso i contributi malattia, le tasse dirette versate dai lavoratori e un contributo proporzionale al reddito, che garantisce l’accesso alla sanità a tutti i cittadini. A fronte di una copertura universalistica, la spesa pubblica che sostiene il sistema sanitario francese è tra le più alte d’Europa (73,8%; Nolte, 2014), mentre la componente di spesa sanitaria out of pocket è tra le più basse (circa 7%; Del Vecchio, 2016). Benchè il sistema sanitario francese discenda dal modello Bismarck, l’elevato peso delle entrate fiscali nel finanziamento dell’assistenza sanitaria lo rende dal punto di vista finanziario vicino ai sistemi Beveridge, dove lo Stato svolge un ruolo centrale di pianificazione e controllo (Chevreul, 2015).
La Tabella 1 di seguito presentata riporta le caratteristiche principali dei Disease Management Programs più recenti implementati nei Paesi oggetto di analisi e descritti nel report dell’European Observatory on Health Systems and Policies:
- Integrated care pilot programme, un programma pilota biennale (2009-2011), implementato in 16 differenti territori in Gran Bretagna: 11 dei 16 pilota riguardano patologie croniche (ad esempio diabete, malattie cardiovascolari, BPCO e demenza), altri riguardano la salute mentale e le cure di fine vita. Il programma mira a promuovere l’integrazione orizzontale nel processo di presa in carico tra la medicina generale, il personale infermieristico del territorio e i servizi socio-assistenziali.
- Gesundes Kinzigtal, un progetto pilota su base regionale diretto alla creazione di un sistema di Population Health Management (Busse, 2014) che serve l’intera popolazione (indipendentemente dalla patologia o dall’età) nella regione di Kinzintal (circa 71.000 abitanti) nel sud della Germania.
- Primary care group ZIO, un programma di presa in carico rivolto ai pazienti affetti da diabete di tipo 2 implementato nella regione olandese di Maastricht-Heuvelland. Il programma prevede l’istituzione di gruppi di assistenza primaria multidisciplinari, pagati tramite un sistema di remunerazione di tipo bundled, che erogano direttamente o acquistano sul mercato interno le prestazioni per i propri assistiti.
- Sophia diabetes and asthma care programme, è un programma pilota sviluppato dal French National Sickness Fund nel 2008 e successivamente adottato su tutto il territorio nazionale per migliorare il coordinamento e la qualità dell’assistenza fornita in ambito ambulatoriale e ospedaliero per i pazienti diabetici.
La scelta di analizzare i programmi più recenti e non quelli più consolidati discende dalla volontà di descrivere la direzione verso la quale si stanno spingendo i programmi per la presa in carico della cronicità in questi Paesi rispetto alle attività di educazione dei pazienti.
Più specificatamente, i programmi di educazione possono riguardare tre tipologie di attività: la semplice divulgazione di informazioni sulla patologia (i.e. only information), le attività informative frontali (i.e. counselling) oppure attività mirate a supportare i pazienti nella gestione terapeutica quotidiana della malattia (i.e. behavioural treatment; Riemsma, 2002). Per ciascuno dei programmi selezionati, si è quindi deciso di indagare la presenza delle seguenti attività:
- Attività di informazione tramite l’utilizzo di materiale divulgativo (ad esempio, tramite brochure, siti internet, etc.);
- Attività di informazione frontale (incontri dedicati one-to-one o di gruppo), che rappresentano un’occasione per i pazienti di discutere con gli operatori sanitari i propri problemi connessi alla loro condizione;
- Attività di supporto al paziente nella gestione quotidiana della patologia (self-management), anche attraverso il coinvolgimento diretto del paziente nella pianificazione del percorso di presa in carico e/o nella definizione dei propri obiettivi di salute;
- Follow-upregolare dei bisogni informativi del paziente e/o delle attività di self-management.
Questa classificazione consente di distinguere i programmi che prevedono nel percorso di cura unicamente la diffusione di informazioni sulla patologia a favore dei pazienti (*) dai programmi nei quali sono previste delle attività formative frontali (**), individuando infine i programmi in cui i pazienti sono direttamente supportati nella gestione quotidiana della patologia e/o coinvolti nella pianificazione del percorso di cura (***). Si reputa infine di estrema importanza evidenziare i programmi nei quali è previsto un monitoraggio ex post dell’andamento dei fabbisogni formativi dei pazienti nella gestione della patologia e nelle attività di self-management (****).
Paese | Programma | Anno | Patologia/ Target population | Attività di educazione del paziente |
Gran Bretagna | Integrated care pilot programme | 2009-2011 | 16 programmi pilota: 11 riguardano patologie croniche, altri riguardano la salute mentale e le cure di fine vita. | – Attività di informazione frontale (**)- Attività di educazione nella gestione quotidiana della patologia (self-management) ad opera di infermieri specializzati (***) |
Francia | Sophia diabetes and asthma care programme (by SHI) | -2008, diabete-2014, asma | Diabete tipo I e II, asma | – Attività di informazione tramite l’utilizzo di un sito internet dedicato (*)- Attività di informazione frontale (**)- Attività di educazione nella gestione quotidiana della patologia (self-management, ***) |
Germania | Integrated care: Healthy Kinzigtal | 2005 | Programma rivolto all’intera popolazione residente nella regione dello Kinzigtal | – Attività di informazione tramite l’utilizzo di una linea telefonica dedicata (*)- Coinvolgimento diretto del paziente nella pianificazione del percorso di presa in carico e/o nella definizione dei propri obiettivi di salute (***) |
Olanda | Primary care group ZiO (Maastricht–Heuvelland) | Dal 2007 | Diabete tipo 2 (più recentemente anche asma, BPCO e malattie cardiovascolari) | -Attività di informazione frontale (**) personalizzate (in termini di frequenze e durata) rispetto al bisogno del paziente.- Attività di educazione nella gestione quotidiana della patologia (self-management, ***), con cadenza almeno trimestrali (****), ad opera di infermiere specializzate. Le attività di educazione vengo personalizzate a seconda del livello del bisogno del paziente. |
Benché tutti i programmi analizzati prevedano che uno spazio nel processo di presa in carico sia dedicato all’educazione del paziente, da questa descrizione emerge che le attività di educazione sono organizzate differentemente nei diversi programmi. Non tutti i programmi di presa in carico prevedono infatti attività di semplice informazione del paziente tramite l’utilizzo di materiale divulgativo, ma sembra essere più diffusa l’attività informativa frontale che consente uno scambio diretto tra l’operatore sanitario e il paziente.
Tutti i programmi prevedono inoltre delle attività di educazione volte a responsabilizzare i pazienti rispetto al self-management della patologia. Il coinvolgimento dei pazienti cronici nel percorso di cura rappresenta infatti un elemento fondamentale: la presa in carico efficace delle patologie croniche richiede percorsi terapeutici e di presa in carico di lunga durata, nei quali i pazienti svolgono un ruolo inevitabilmente attivo (Barlow, 2002).
Sembrano infine essere ancora poco diffuse le attività di monitoraggio dei fabbisogni informativi e di educazione dei pazienti rispetto le attività di self-management nel corso della presa in carico. Poiché le patologie croniche sono caratterizzate da un lento e progressivo declino delle normali funzioni fisiologiche, in questi casi è possibile trattare i sintomi ad esse correlati e rallentarne il decorso ma non giungere a una completa guarigione del paziente. Poiché il peggioramento della condizione del paziente nel tempo è un fenomeno inevitabile e ogni stadio della patologia determina bisogni clinici differenti, anche il fabbisogno educativo del paziente si modifica in risposta all’aggravarsi della sua condizione. Il monitoraggio dell’evoluzione dei bisogni informativi e formativi del paziente rappresenta quindi un elemento fondamentale per la pianificazione di programmi di educazione efficaci a supporto di pazienti affetti da patologie croniche. È auspicabile quindi che questo tipo di attività venga sempre più frequentemente prevista nei programmi per la gestione delle patologie croniche.
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Le nuove tecnologie al servizio dell’educazione alla salute e terapeutica
Nell’ultimo ventennio, gli strumenti al servizio degli operatori sanitari per lo svolgimento di attività di educazione alla salute ed educazione terapeutica si sono moltiplicati, beneficiando del rapido sviluppo delle nuove Information Communication Technologies – ICTs (Zangi, 2015). Ad oggi, i Paesi occidentali vantano una percentuale di utenti internet pari al 85% della popolazione (World Bank). La capillarità della diffusione di questi nuovi strumenti rappresenta un’opportunità per il sistema: le ICTs possono infatti rappresentare dei nuovi strumenti di comunicazione per la trasmissione al paziente delle informazioni di cui necessita per conoscere e gestire efficacemente la propria patologia. Nei Paesi più sviluppati, ai mezzi più tradizionali (come le brochure informative) si stanno quindi sempre più affiancando strumenti innovativi, come ad esempio siti internet, e nei casi più all’avanguardia, di app dedicate.
I benefici connessi a questa trasformazione sono numerosi e sono stati oggetto di approfondimento già a partire dagli ultimi anni del secolo scorso (Lewis, 1999). Innanzitutto, i programmi tradizionali di educazione del paziente che prevedono attività di formazione frontali risentono di problemi di accessibilità per i pazienti. Al contrario, l’utilizzo di questi nuovi strumenti consente all’assistito di accedere alle informazioni di cui necessita autonomamente, in qualunque momento della giornata e comodamente dalla propria abitazione (Pellisé, 2009). Inoltre, predisporre un sito internet ad hoc di riferimento per i pazienti consente di ridurre il rischio che operatori diversi forniscano informazioni contradittorie al paziente e garantisce che tutti gli assistiti godano dello stesso trattamento informativo (Gysels, 2007).
L’utilizzo di questi strumenti è tuttavia associato anche a una serie di potenziali criticità. Internet rappresenta uno strumento molto utilizzato dai pazienti per la raccolta di informazioni sul proprio stato di salute: in particolare, l’84% degli utilizzatori di Internet sono soliti utilizzare la piattaforma per la raccolta di informazioni inerenti la propria condizione (Ullrich, 2002). Grazie alle ICTs gli assistiti hanno accesso a una quantità ingente di informazioni provenienti dalle fonti più disparante. La facilità con la quale questi strumenti consentono di reperire informazioni rappresenta sicuramente un punto di forza rilevante, ma è importante non dimenticare che gli assistiti non sono sempre in grado di valutare la credibilità e veridicità dei contenuti in cui si imbattono nel panorama di internet (Pellisé, 2009), comprendendone pienamente il significato (Hansberry, 2014).
È fondamentale quindi rispondere a queste potenziali criticità predisponendo dei canali ufficiali, ovvero dei siti internet dedicati, nei quali gli assistiti possano trovare informazioni veritiere sulla loro condizione e dove i contenuti siano esposti in un linguaggio comprensibile anche agli individui che non possiedono una formazione specifica.
In questa direzione opera Eurospine, una società non profit che mira a stimolare lo scambio di conoscenza nel campo della ricerca, prevenzione e trattamento delle malattie spinali a livello europeo. Nel 2005, Eurospine ha infatti creato nel proprio sito ufficiale una sezione, chiamata Patient Line (PL), nella quale è possibile trovare informazioni dettagliate sulle principali patologie spinali e sul loro trattamento, tratte dalle pubblicazioni di maggiore impatto scientifico e dai pareri dei più famosi esperti in questo campo. L’obiettivo della Patient Line è quello di fornire informazioni approfondite ed evidence-based ai pazienti dislocati su tutto il territorio Europeo: per questo motivo, dal 2008, i contenuti della piattaforma sono presentati in diverse lingue, tra le quali inglese, tedesco, francese e spagnolo.
Nelle aree in cui non sono disponibili evidenze scientifiche, Patient Line consente inoltre di conoscere l’opinione sempre aggiornata dei soci di Eurospine sulle differenti opzioni di trattamento, che i pazienti stessi a loro volta possono commentare. Questo sistema consente quindi agli assistiti di potenziare le proprie conoscenze non solo relativamente alla patologia da cui sono affetti, ma anche in merito ai differenti trattamenti possibili, permettendogli di affrontare consapevolmente il percorso terapeutico che gli viene prospettato dagli operatori.
L’utilizzo della tecnologia nell’ambito dell’educazione dei pazienti non riguarda solamente la creazione di nuovi canali per la trasmissione delle informazioni, ma può interessare anche attività più strutturate di supporto al self-management del paziente, come le attività di tele-coaching. Con il termine tele-coaching si fa riferimento all’insieme di mezzi e forme alternative d’intervento che consentono di fornire assistenza a distanza ai pazienti, limitando così le attività di educazione che prevedono l’incontro de visu tra l’operatore sanitario e l’assistito, attraverso contatti telefonici o tramite l’utilizzo delle email (Odnoletkova, 2016; Bovi, 2003). Questi strumenti vantano un ampio potenziale, ma il loro utilizzo si sta diffondendo lentamente nel panorama europeo.
Un’esperienza strutturata di tele-coaching è stata sviluppata e per la prima volta valutata in Belgio (Odnoletkova, 2016): la sperimentazione, denominata Coach Program (TCP), era rivolta ai pazienti affetti da diabete di tipo 2 e prevedeva 5 contatti telefonici al mese (per una durata di sei mesi) ad opera di infermieri specializzati e opportunamente formati. L’obiettivo dei contatti telefonici era quello di indagare il raggiungimento degli outcome di salute pianificati e raccomandati nelle linee guida nazionali attraverso il controllo regolare ad opera del paziente della glicemia e del rispetto degli stili di vita raccomandati, nonché dell’appropriatezza della terapia. Da quest’analisi è emerso come l’attività di tele-coaching sia stata giudicata soddisfacente dalla quasi totalità dei pazienti (97,5 %) che percepivano positivamente il contatto regolare con l’infermiere di riferimento, e sia stata associata a un miglioramento significativo dell’outcome clinico di riferimento.
Anche gli infermieri coinvolti nella sperimentazione hanno valutato positivamente questa attività, rilevando tuttavia una criticità legata all’utilizzo esclusivo del telefono come mezzo di comunicazione: essi infatti ritengono che per instaurare un rapporto di fiducia tra l’operatore e l’assistito sia fondamentale organizzare almeno un incontro de visu con il paziente (Odnoletkova, 2016).
La comunicazione nei confronti dell’utenza si sta facendo sempre più “social” nella misura in cui i canali di comunicazione utilizzano i social media (si pensi a Facebook piuttosto che a Twitter). Per quel che riguarda la sanità, sembra profilarsi un quadro di contributi orientato in larga parte sul tema della riconfigurazione delle relazioni medico – paziente (Lagu, 2008; Chretien, 2011) e, in misura minore, del ridisegno di alcuni servizi dedicati alla raccolta di feedback da parte dell’utenza (si pensi all’URP che viaggia tramite WhatsApp) piuttosto che di quelli di prenotazione di alcune prestazioni, tipicamente quelle ambulatoriali e strumentali, attraverso Facebook e Twitter (Chretien, 2013). Nel contesto statunitense anche i soggetti collettivi che rappresentano le comunità professionali hanno promosso un dibattito specifico per condividere i principi di fondo che possono guidare la veicolazione di informazioni sulla salute dei malati attraverso i social: l’attenzione non è posta solo sul piano della privacy e della legalità di tali azioni, ma soprattutto sulla reale fruibilità e interpretazione delle informazioni, stante gli standard di comunicazione che tali strumenti impongono (ABIM Foundation, 2002; American Medical Association, 2012). In più, l’intimità della relazione medico paziente e la larga diffusione dei social media ha spinto spesso le aziende sanitarie a codificare delle norme comportamentali (Ryan, 2012) per circoscrivere il contenuto delle informazioni adatte al trasferimento attraverso questi canali, per evitare che il flusso di comunicazione attraverso i social media aziendali diventasse inefficacemente diretto o addirittura controproducente.
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Conclusioni
Comunicare sui temi della promozione della salute e dell’educazione terapeutica è diventata oggi una necessità non solo per fronteggiare il peso delle malattie croniche che caratterizza l’attuale quadro epidemiologico dei Paesi sviluppati, ma anche per riscoprire e valorizzare la centralità partecipativa della persona nella gestione della propria salute. L’educazione del paziente rappresenta quindi uno strumento sempre più rilevante per gli operatori sanitari per coinvolgere le persone assistite nel proprio processo di presa in carico e nella gestione della malattia.
L’utilizzo delle nuove tecnologie rappresenta inoltre un’opportunità per l’efficientamento dei programmi di educazione dei pazienti, permettendo di affiancare agli strumenti informativi tradizionali anche canali di comunicazione più innovativi. Nonostante questi strumenti vantino un’ampia diffusione tra gli assistiti, nella pianificazione dell’utilizzo di questi nuovi canali è importante considerare che alcuni pazienti non sono in grado di utilizzare questi strumenti. Non tutti i pazienti infatti possiedono una buona Health Literacy, che permette di avere accesso, comprendere e utilizzare le informazioni con modalità utili a promuovere e a mantenere un buono stato di salute. La mancanza o un livello inadeguato di competenze può avere ripercussioni sullo stato di salute del paziente: è probabile infatti che le persone con una bassa Health Literacyaccedano in misura minore ai servizi di prevenzione, abbiano minore capacità di comunicare i sintomi della malattia e di comprendere le spiegazioni degli operatori sanitari. In questi casi qualunque canale di comunicazione, anche se multimediale, preveda la lettura e comprensione di un testo risulta poco efficace (Zanchetta, 2006).
È estremamente importante quindi che questi nuovi canali di comunicazione ed educazione non sostituiscano ma integrino quelli tradizionali, considerando che sia la prevenzione sia la terapia rappresentano dei processi e degli interventi istantanei. La moltiplicazione delle fonti informative e l’innovazione di molti canali (si pensi ai social media) hanno un ruolo centrale nell’aumentare la consapevolezza del malato sul proprio stato di salute e sul suo “spazio” potenziale di azione. Solo il ruolo attivo degli operatori e il contatto diretto con l’assistito nei processi clinico assistenziali mette spesso a sistema il patrimonio informativo che ogni singolo paziente può oggigiorno costruire autonomamente e salvaguarda l’informazione nei confronti di quei gruppi di pazienti esclusi dalle forme tecnologiche di comunicazione.
A fronte della centralità che ha oramai assunto la comunicazione nei processi clinico assistenziali, molteplici sono gli sforzi delle aziende sanitarie di erogazione nel produrre modelli comunicativi istituzionali che integrano quella veicolata nel rapporto medico-paziente. Se in passato la comunicazione istituzionale rimaneva nel perimetro della comunicazione obbligatoria rispetto ai diritti e ai doveri in capo al cittadino e alle istituzioni, adesso è molto più ampia e articolata. Esiste una ampia letteratura sull’introduzione dei social media nelle amministrazioni pubbliche, soprattutto per quel che concerne la trasparenza dell’operato delle istituzioni e le forme di partecipazione collettiva alle scelte delle istituzioni. La numerosità dei progetti sviluppati e la maturità di tali esperienze, sempre sui contenuti citati, ha permesso di avviare iniziative specifiche di valutazione degli impatti di questi strumenti, i cui risultati alimentano guide e linee di indirizzo quali “A Manager’s Guide to Assessing the Impact of Government Social Media Interactions” pubblicato nel 2014 (Mergel, 2014). Sul piano della riflessione più generale, è evidente che l’avvento dei social media mette in discussione il paradigma della burocrazia weberiana. In primo luogo, le procedure che guidano sia l’organizzazione del lavoro all’interno delle aziende sanitarie pubbliche sia le modalità di fruizione dei servizi, vengono superate: i social media, infatti, mettono in diretto contatto gli operatori impiegati nei diversi settori, superando le procedure previste, e rappresentano degli strumenti di contatto diretto tra l’azienda sanitaria e l’utenza. Cosa è prassi e cosa è eccezione viene completamente modificato. Si pensi alla dimensione temporale: l’istantaneità della comunicazione via social media mette in discussione la lentezza e l’assenza di feedback che caratterizzano la burocrazia professionale. Altro campo di indagine riguarda il presidio delle condizioni di formalità e di correttezza che caratterizzano le comunicazioni dell’istituzione pubblica e dei suoi operatori: i social media richiedono una sinteticità delle comunicazioni, uno stile di tipo informale e diretto che poco si prestano alla storia e alle attese di queste istituzioni.
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Glossario
- CCG: Clinical Commissioning Group
- CMU Act: Universal Health Coverage Act
- DMPs: Disease Management Programs
- EACH: Communication in Health Care
- ICTs: Information Communication Technologies
- PKV: Private Krankenversicherung
- PL: Patient Line
- TCP: Coach Program
- URP: Ufficio Relazioni con il Pubblico
- WHO: World Health Organization
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