Cap. 18 – La presa in carico dei malati con bisogni assistenziali complessi

Capitolo del Manuale per Operatori di Sanità Pubblica “Governare l’Assistenza Primaria

Autori: Carmelo Scarcella e Grazia Orizio

Indice del capitolo:

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Complessità: la “caratteristica di un sistema (perciò detto complesso), concepito come un aggregato organico e strutturato di parti tra loro interagenti, in base alla quale il comportamento globale del sistema non è immediatamente riconducibile a quello dei singoli costituenti, dipendendo dal modo in cui essi interagiscono. Letimologia di complesso risale al latino complexus, participio passato di complector, comprendo, abbraccio, da cum = insieme e plecto = attorco, intreccio. (Treccani 2016)

Quando il malato entra nell’ambito della complessità assistenziale

All’interno della panoramica dell’Assistenza Primaria merita una trattazione a sé la presa in carico dei così detti “malati complessi”, o più precisamente con “bisogni assistenziali complessi”. La prospettiva che inquadra un bisogno come “complesso”, che consta quindi di molte parti interrelate e che influiscono una sull’altra, ammonisce circa l’insufficienza del solo approccio analitico, che affronta le problematiche singolarmente, e invoca piuttosto l’integrazione di questo con un approccio sistemico, che garantisca la continuità (e la globalità) di cura dei malati con bisogni assistenziali complessi.

Sono questi i malati con compromissione dellautosufficienza, incapaci cioè di soddisfare autonomamente i bisogni vitali fondamentali e/o con necessità di un monitoraggio e/o di cure che richiedono attenzioni particolari, come da elenco della Tabella 1.

Tabella 1: Possibili tipologie di malato con bisogni assistenziali complessi

anziani pluripatologici

dementi in età senile e pre-senile

persone affette da malattie tumorali maligne in fase avanzata

malati terminali

persone affette da malattie neurologiche progressivamente invalidanti

persone con esiti di traumi o accidenti cerebrali gravi

persone in coma o con abolizione totale delle funzioni motorie

persone in terapia sostitutiva mediante ausili medicali:

  • dializzati
  • insufficienti respiratori in ventilazione meccanica o ossigenoterapia a lungo termine
  • in alimentazione artificiale

disabili adulti con insorgenza di malattie severe acute o croniche

gravi politraumatizzati nella fase di convalescenza

persone (anche bambini) affetti da polipatologie che, in ambito domiciliare, necessitano di terapie complesse

Ciascuna di queste persone richiede un elevato impegno di risorse sanitario-assistenziali: l’aspetto organizzativo che le accomuna è l’impossibilità che un unico operatore-ente sia in grado di rispondere con competenza a tutte le esigenze clinico assistenziali, che devono essere appunto valutate nella loro specificità con un approccio personalizzato.

La quantificazione della non autosufficienza, premessa metodologica indispensabile per pianificare qualsiasi politica assistenziale commisurata ai bisogni, ha carenze importanti nel nostro Paese, come ribadito nel 5° Rapporto del Network Non Autosufficienza “L’assistenza agli anziani in Italia”, che si propone appunto di colmare tale gap conoscitivo mediante la consultazione e successiva rielaborazione dei dati accessibili dai database pubblici di Ministero della Salute e ISTAT (Network Non Autosufficienza, 2015). Dai dati ISTAT del 2013, si stima che 2,5 milioni di anziani abbiano limitazioni funzionali, con picchi più significativi al Sud e minori prevalenze al Nord Italia. Le limitazioni più frequenti risultano ovunque quelle delle attività quotidiane (1,6 milioni di anziani, tasso nazionale 12,8%), seguite da quelle relative a movimento (1,3 milioni, 10,2%) e confinamento (1,2 milioni, 9,4%).

Anche i documenti programmatori regionali possono essere utili al fine di stimare la dimensione di questa sottopopolazione nell’attuale contesto italiano. In Lombardia le persone affette da malattie croniche risultano essere circa il 30% della popolazione, una proporzione destinata ad aumentare nei prossimi anni; in questo gruppo di pazienti aumenta sempre più il numero delle persone in condizione di cronicità sociosanitaria (anziani non autosufficienti, persone con disabilità, persone affette da dipendenze da sostanze, etc.), stimabili in circa 600.000 su 10 milioni circa di abitanti lombardi (DGR Lomb. 4662/2015). Secondo uno studio condotto dalla Regione Veneto, il 3,7% della popolazione, associata ad un consumo di risorse pro-capite elevato o molto elevato, si configura come il sottogruppo che presenta la complessità più elevata. Questo significa che un Medico di Medicina Generale potrebbe avere in carico 10-30 assistiti con queste caratteristiche.

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L’assistenza al malato con bisogni complessi: quale approccio organizzativo?

Nel malato con bisogni complessi la compromissione dell’autosufficienza e/o la complessità dell’approccio assistenziale-terapeutico richiede necessariamente l’intervento di più operatori e/o enti con diverse competenze, e questa pluralità di attori si deve articolare intorno al paziente, non il contrario, data l’estrema fragilità che caratterizza tale momento di vita, sia per la persona interessata sia per la sua famiglia. È necessario procedere cioè in una logica “multidimensionale”, cioè con un approccio, una lettura ed un intervento che affrontino contemporaneamente tre “dimensioni” fondamentali della persona, riconducibili a tre grandi categorie: l’assenza/presenza di malattie, la capacità di soddisfare i bisogni vitali fondamentali, le capacità cognitivo-relazionali abbinate al contesto di vita (Figura 1). La prima, afferisce agli aspetti sanitari o “medico-clinici” propriamente detti: è l’ambito in cui si stabilisce la diagnosi e la terapia, nonché si attivano i corretti approcci di prevenzione primaria, secondaria e terziaria. La dimensione dell’autonomia si riferisce al soddisfacimento dei bisogni fondamentali: mangiare, muoversi, essere puliti, vestirsi. La dimensione psico-sociale riguarda invece il microcontesto in cui vive il paziente: relazioni interpersonali, possibilità economiche, abitazione, supporti famigliari.

Figura 1: Le dimensioni dell’approccio multidimensionale

Nell’assistenza ai malati con bisogni assistenziali complessi nessuno ha tutte le risposte per tutte le domande e tutti in qualche modo dipendono dalla competenza altrui. Ciascun servizio ha una specifica utilità: diverse persone possono aver bisogno di servizi diversi e la stessa persona può avere bisogno di più servizi lungo il corso della vita; non sono produttive le diatribe che tendono a contrapporre il ricovero all’assistenza domiciliare, i servizi medici a quelli assistenziali: a seconda dei casi può essere indicato l’uno o l’altro oppure l’uno e l’altro opportunamente combinati. I servizi, tutti e comunque, devono approcciare globalmente le persone: i servizi residenziali devono rispondere completamente al “bisogno di casa” ma in un contesto di protezione della salute e di soddisfacimento dei bisogni fondamentali alla sussistenza; i servizi domiciliari devono muoversi nella logica della “Assistenza Domiciliare Integrata”, ovvero di diverse tipologie di supporti, di diversa natura, ma coordinati.

Siamo pertanto nell’ambito della multiprofessionalità, in cui diversi operatori con estrazione professionale differente e appartenenti a diversi enti sono chiamati ad agire in modo coordinato ed integrato. Queste azioni integrate del team assistenziale, che necessariamente varia al variare della persona (cambia il medico di famiglia, cambia la tipologia e l’intensità dei supporti necessari…), devono avere un approccio globale all’assistenza al malato, che tenga conto delle diverse dimensioni della sua vita e, dato che l’efficacia con cui si affronta ognuna di esse inevitabilmente influenza le altre, le attività devono essere programmate e coordinate.

L’implementazione di una assistenza multidimensionale e multiprofessionale non accade per caso e non può essere affidata all’improvvisazione: necessita piuttosto di una regia complessiva, finalizzata a garantire che si attivi, per ogni malato, un Piano Assistenziale Individuale (PAI), olistico, che preveda l’apporto coordinato di tutti i sevizi/operatori necessari, con una forte proiezione verso la domiciliarità, con il coinvolgimento del contesto familiare. PAI inteso come uno strumento flessibile, che richiede continui aggiornamenti sulla base dei mutamenti dello stato di salute e di autonomia del paziente.

Figura 2: Il Piano Assistenziale Individuale (PAI)

L’impianto organizzativo per garantire sistematicamente la realizzazione del PAI per ciascun malato richiede l’attivazione di un sistema territoriale che leghi in modo razionale e funzionale tutti i potenziali operatori (medici, infermieri, tecnici della riabilitazione, assistenti sociali, psicologi) e servizi (sanitari, assistenziali, sociali) ai diversi livelli (domiciliare, ambulatoriale, residenziale, ospedaliero). Nel contesto normativo italiano, l’ASL (nelle variegate declinazioni organizzative, e tassonomiche, regionali) si trova nella posizione baricentrica per svolgere tale ruolo di regia, che potrebbe svilupparsi lungo le seguenti linee strategiche di azione, schematizzate nel Tabella 2.

A livello centrale attribuire ad una articolazione organizzativa a carattere dipartimentale il compito di coordinare i meccanismi di integrazione dell’intera rete locale, specialmente mediante la definizione di strumenti di lavoro condivisi dalle varie componenti, quali ad esempio la scelta delle scale di valutazione delle compromissioni funzionali o i criteri di accesso a specifici ai servizi. La molteplicità dei fattori in gioco rende essenziale inoltre la definizione di canali comunicativi definiti attraverso i quali i flussi informativi permettano agli operatori di monitorare i servizi presenti ed effettivamente fruibili e di supportarli nella predisposizione, implementazione e verifica di ciascun PAI attivato.

A livello territoriale attivare un gruppo di lavoro multiprofessionale che gestisca le varie fasi di presa in carico di ciascun malato e attivi il PAI: l’accoglienza della segnalazione, l’effettuazione della valutazione multidimensionale, la definizione del PAI, l’attivazione dei servizi/operatori individuati nel PAI con gli eventuali adempimenti amministrativo-formali connessi, il monitoraggio dell’attuazione del piano di assistenza. L’unitarietà del processo deve essere garantita con uno “sportello di accoglienza unico”, qualunque sia la tipologia e la fonte della richiesta: la persona stessa e la sua famiglia, il MMG, i servizi specialistici ambulatoriali o ospedalieri, i servizi comunali e quelli del terzo settore. Questo assicura di non frammentare le risposte assistenziali, garantendo che queste siano recepite da un unica struttura e poi definite conseguentemente ad una valutazione della situazione del malato nella sua globalità. L’assistito in questo modo sarà orientato e accompagnato verso i servizi più appropriati, nel rispetto della sua volontà, supportandolo, e, quando previsto, espletando direttamente gli opportuni iter autorizzativi. Tali azioni si devono sempre collocare nel rispetto della centralità del ruolo del MMG quale responsabile della conduzione clinica, nonché in un raccordo fattivo con la specialistica ambulatoriale ed ospedaliera che sia connotata da una forte “cultura del territorio”, cioè dalla consapevolezza che solo sul territorio si può realizzare una efficacie presa in carico delle cronicità.

Tabella 2: Le linee d’azione per una “strategia organizzativa di sistema” finalizzata a garantire la presa in carico dei malati con bisogni assistenziali complessi

AZIONE

CON LO SCOPO DI

MEDIANTE

Individuare ed attivare una articolazione organizzativa centrale, a carattere dipartimentale

coordinare i meccanismi di integrazione dellintera rete locale dei servizi utilizzabili mediante la definizione ed implementazione di strumenti di lavoro condivisi dalle diverse componenti

definizione di:

  • scale di valutazione comuni
  • criteri di accesso ai servizi espliciti
  • canali di comunicazione
  • protocolli operativi

Attivare a livello di ciascun bacino territoriale (di dimensioni congruenti rispetto alla logistica locale) una articolazione organizzativa di natura interdisciplinare

accogliere tutte le richieste di intervento riferibili a malati con bisogni assistenziali complessi

sportello funzionale unico che accoglie tutte le richieste a prescindere da chi segnala (malato, famiglia, Medico di Medicina Generale (MMG), Pediatra Di Famiglia (PDF), Medico di Continuità Assistenziale (MCA), struttura specialistica, servizi comunali, volontariato,…)

valutare i bisogni in modo razionale, oggettivo, globale

 

effettuare (o garantire che sia effettuata) la valutazione multidimensionale, in tempi compatibili con le esigenze dell’assistito

orientare e accompagnare l’assistito verso i servizi più appropriati, nel rispetto della sua volontà

definire il PAI, globale e condiviso, che si avvale degli operatori e dei servizi ottimali e possibili, individuati tra tutti quelli effettivamente fruibili a livello locale, espletando direttamente gli opportuni iter autorizzativi.

garantire che il PAI sia avviato

 

verificare l’effettiva attuazione dei servizi e il raggiungimento degli obiettivi previsti dal PAI

 

Attivare un sistema informativo integrato

monitorare i servizi presenti ed effettivamente fruibili a livello locale

 

supportare ergonomicamente gli operatori nella definizione, implementazione e verifica di ciascun PAI

 

produrre ritorni informativi complessivi e mirati ai singoli attori

 

Valorizzare la centralità dei MMG/PDF

garantire la conduzione clinica per ciascun malato

 

Promuovere una “proiezione culturale verso il territorio” nei servizi specialistici ospedalieri ed ambulatoriali

garantire la continuità di cura

 

Sviluppare e diversificare gli strumenti professionali

migliorare la qualità e la riproducibilità delle cure

produzione collaborativa di strumenti professionali condivisi, armonizzati nei meccanismi di integrazione della rete locale

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Governare l’accesso ai servizi sociosanitari e la selezione degli utenti: modelli di Punti Unici di Accesso (PUA)

Indipendentemente dallo specifico assetto organizzativo regionale, appare fondamentale, per prendere in carico in modo globale il paziente, la reale attivazione, a livello territoriale, di un Punto Unico di Accesso (PUA) che faciliti l’accesso alle prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali, semplificando la complessità degli adempimenti per l’utente e la sua famiglia, garantendo al contempo la continuità assistenziale nell’integrazione dei servizi. Da una prospettiva più ampia, il governo dell’accesso ai servizi si pone come un “meccanismo cruciale di trasformazione dei bisogni in domanda e di selezione della medesima, dovendo determinare chi, pur in condizioni di necessità, rimarrà escluso dai servizi sociosanitari pubblici”: diventa pertanto anche un imperativo etico, finalizzato a garantire l’assistenza più adeguata a chi più ne necessita (Fosti et al, Rapporto OASI 2015).

Il Rapporto OASI 2015 ha evidenziato come quasi tutte le regioni italiane abbiano attivato iniziative di PUA, con diversi target di utenza, modalità di segnalazione, funzioni assegnate ed assetti organizzativi. Le denominazioni sono differenti nei vari territori, anche sulla base della mission specifica: Unità di Valutazione Geriatrica (UVG), Unità di Valutazione Multidimensionale (UVMD), Unità di Continuità Assistenziale Multidimensionale (UCAM), Punti Unici di Accoglienza (PUA)per le cure domiciliari.

In questa sede si propone un modello di PUA, rimandando alla letteratura per il confronto tra modelli e la descrizione dettagliata delle esperienze in atto nel contesto italiano.

Il PUA è gruppo operativo interdisciplinare che racchiude le risorse professionali per operare un inquadramento del paziente nelle sue diverse dimensioni. Tale unità da un lato accompagna malato e famiglia nel percorso sanitario-assistenziale, dall’altro supporta il MMG/PDF, titolare della responsabile della conduzione clinica, nell’attivazione dei servizi e nel coinvolgimento dei diversi professionisti/servizi sulla base delle necessità clinico-assistenziali.

Il PUA si compone pertanto del MMG/PDF stesso, insieme al Medico del Distretto e all’Infermiere esperto. Al bisogno, può essere coinvolta anche l’Assistente Sociale, preferibilmente del Comune di competenza, oltre ad un eventuale supporto amministrativo e dei professionisti (inclusi gli specialisti) individuati dagli erogatori coinvolti. E’ fondamentale che vi sia un professionista che sia chiaramente investito del ruolo di “responsabile del caso” o, secondo la dicitura anglosassone, “Case Manager”, e che si ponga pertanto come riferimento per la persona con bisogni socioassistenziali complessi, garantendo la continuità dell’assistenza nel percorso di cura e fungendo da interlocutore con l’utente e i suoi famigliari. Il Case Manager deve essere individuato all’interno delle figure della reta sulla base del tipo di bisogno, in termini qualitativi e quantitativi: ad esempio, può essere il MMG per le patologie croniche in stadio iniziale, lo specialista se invece i ricorsi alle cure ospedaliere sono più frequenti e necessari, un operatore di ADI laddove questa sia l’assistenza prevalente, o un operatore dei servizi sociali comunali se prevale l’assistenza sociale. Il Case Manager, conoscitore della rete dei servizi, è in grado di interloquire con gli altri erogatori e si interfaccia con essi per attivare risorse e servizi ed assicurare la risposta complessiva ed integrata ai bisogni della persona.

Il PUA svolge delle funzioni dirette, rivolte all’utente, ma permette anche di perseguire obiettivi rispetto all’ottimizzazione dei servizi in un’ottica di Sanità Pubblica (Figura 3).

Le funzioni del PUA riferite al singolo utente sono le seguenti:

  • Accoglienza delle segnalazioni/richieste, che in modo tempestivo devono essere vagliate;
  • Valutazione multidimensionale, gerarchizzando il livello di approfondimento in relazione alla complessità della situazione, in modo da garantire la tempestività necessaria;
  • Definizione di obiettivi, tipologie e livelli di intervento: sulla base della valutazione, individuati i problemi e definiti gli obiettivi dell’assistenza, si predispone una proposta di intervento (il PAI) che declina i servizi appropriati in termini di tipologia, livello assistenziale e tempi. Tale proposta viene illustrata al paziente e i famigliari, che vengono pertanto orientati rispetto alla rete dei servizi presenti sul territorio. Individuato l’eventuale Case Manager, anche all’interno del PUA, si avviano gli interventi previsti dal piano.
  • Verifica: il PUA effettua le rivalutazioni durante la realizzazione dell’intervento (almeno trimestrali), per valutare l’appropriatezza degli interventi, i risultati raggiunti e il gradimento dell’assistenza ricevuta dall’utenza.

Per quanto riguarda gli obiettivi di Sanità Pubblica, perseguibili anche attraverso l’analisi in feed-back dalle attività del PUA stessa, il primo livello è ottenere una migliore conoscenza dei bisogni del territorio con la mappatura dei servizi disponibili nell’ambito della fragilità; questo permette di razionalizzarne ed ottimizzarne l’utilizzo, all’interno di una rete locale dei servizi efficiente e integrata. Consente inoltre di ottenere un riscontro continuo di congruenza, qualità e integrazione tra i vari settori d’intervento; tale attività di monitoraggio permette di identificare eventi sentinella, linee di tendenza, punti di forza, “zone critiche”, consentendo di modulare il sistema adottando le adeguate strategie organizzative.

Figura 3: Funzioni del PUA – Punto Unico di Accesso

In questa prospettiva, pertanto, il PUA si configura come uno degli strumenti principe di quella attività di governo clinico che persegue l’appropriatezza delle cure e la razionalizzazione dell’uso delle risorse evitando la ripetizione degli iter diagnostici, sviluppando l’appropriatezza e l’oculatezza delle prescrizioni farmaceutiche e di indagini, favorendo l’integrazione e la contestualizzazione degli interventi specialistici, contenendo gli accessi al pronto soccorso e prevenendo ricoveri ospedalieri.

Lo spazio “multiprofessionale e multidisciplinare” del PUA può (e dovrebbe) rappresentare anche un luogo di crescita professionale: il confronto tra gli operatori e la condivisione degli approcci rendono possibile infatti un arricchimento reciproco, favorendo un innalzamento della qualità dell’assistenza.

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I servizi per i malati con bisogni assistenziali complessi

La realizzazione del PAI, con l’indispensabile coinvolgimento del MMG/PDF e, secondo quanto esposto nel paragrafo precedente, del PUA, va realizzata attivando i servizi/operatori ottimali e possibili, appartenenti alle tipologie esposte sinteticamente di seguito.

La “Assistenza Domiciliare Integrata (ADI)” è un servizio che permette al malato con compromissione dell’autonomia e/o con bisogni assistenziali complessi, di qualunque età, di essere assistito a domicilio e poter così continuare a vivere nella propria casa: prevede l’intervento di infermieri, terapisti della riabilitazione, addetti all’igiene personale ed altri operatori secondo un piano di cura personalizzato con possibili prestazioni sanitarie (assistenza infermieristica, riabilitazione funzionale, visite mediche specialistiche) e/o socio-assistenziali (assistenza e supporto nella mobilizzazione ed igiene personale). Il MMG/PDF può partecipare all’ADI con accessi programmati (ADP – Assistenza Domiciliare Programmata, con accessi a cadenza settimanale/quindicinale/mensile) o con “accessi ADI”, a cadenza da definire, anche giornaliera: tali modalità richiedono una preventiva autorizzazione da parte dell’ASL ed è prevista una remunerazione per ogni accesso effettuato nel rispetto di quanto pianificato e autorizzato.

Il “Centro Diurno Integrato” è un servizio che accoglie per alcune ore della giornata in un ambiente protetto anziani non autosufficienti, con una compromissione parziale dell’autosufficienza o ad alto rischio di perdita dell’autonomia. Le figure professionali presenti nel centro (infermiere, animatore/educatore, operatore socio-assistenziale) garantiscono interventi socio-assistenziali e sanitari (igiene della persona, cure infermieristiche, riabilitative e mediche). I centri diurni integrati sono servizi utili a supportare la famiglia nel compito di cura, favorendo la permanenza dell’anziano nel proprio ambiente familiare ma alleggerendo il carico assistenziale del caregiver. Forniscono inoltre all’anziano possibilità ricreative e di relazione che arricchiscono la sua vita quotidiana. La maggior parte dei centri diurni integrati sono aperti almeno cinque giorni la settimana per almeno otto ore al giorno e prevedono un servizio di trasporto da e per il domicilio dell’ospite.

La “RSA – Residenza Sanitaria Assistenziale”, una volta chiamata “casa di riposo” o “struttura protetta”, è un istituto di ricovero, pubblico o privato, che accoglie persone anziane non più in grado di rimanere al proprio domicilio, a causa di una compromissione dell’autonomia che il contesto famigliare non è più in grado di sostenere. Garantisce quindi una soluzione residenziale alternativa alla propria abitazione, permanente o temporanea, ed i necessari supporti sanitari e assistenziali, con figure mediche, infermieristiche, riabilitative. Il Servizio Sanitario sostiene una parte della retta delle RSA convenzionate, mentre la parte rimanente, corrispondente indicativamente ai costi alberghieri, è a carico della persona stessa o del Comune dove questa risiede.

Naturalmente il PAI deve comprendere, in modo preciso e contestualizzato, la “Assistenza Farmaceutica” e la “Assistenza Protesica”: con quest’ultima accezione ci si riferisce al sistema di autorizzazione e fornitura, ad alcune categorie di cittadini affetti da particolari patologie che causano disabilità, di ausili protesici personalizzati (protesi acustiche, protesi d’arto, busti ortopedici, calzature ortopediche, plantari, carrozzine, sistemi di postura, ausili per la comunicazione, ausili per la vista, ecc…) e/o di ausili per l’assistenza e gestione a domicilio (letti ortopedici, materassi antidecubito, sollevatori, carrozzine da casa, ecc.).

La “Assistenza Specialistica” può inoltre essere ricompresa nel PAI prevedendo accessi domiciliari mirati.

La realizzazione del PAI è facilitata dalla disponibilità di protocolli tecnico-professionali-organizzativi finalizzati a dare una risposta razionale a specifiche problematiche clinico-terapeutico-assistenziali complesse, esemplificate nella Tabella 3.

Tabella 3: Possibili protocolli per specifiche problematiche clinico-terapeutico-assistenziali complesse

fornitura di presidi ed ausili monouso, anche tramite collegamento informatico con le farmacie territoriali

consegna-ritiro a domicilio, con possibilità di sanificazione, collaudo e riutilizzo, degli ausili protesici non personalizzati, in comodato d’uso

ausili per diabetici e microinfusori

prevenzione e trattamento delle lesioni cutanee

riabilitazione domiciliare

nutrizione artificiale domiciliare

alimenti dietetici per specifiche patologie

ossigenoterapia a lungo termine

saturimetri

ventilazione meccanica domiciliare

montascale

assistenza domiciliare a emopatici a rischio di neutropenia ed infezioni

stati vegetativi permanenti

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Sistema Informativo Integrato

L’interazione di diversi soggetti finalizzata ad un obiettivo comune in un contesto in continuo cambiamento (l’evoluzione clinica del paziente e la relativa strategia terapeutico-assistenziale) necessita di un “luogo virtuale” in cui tali attori si possano incontrare.

Questo “incontro virtuale” può avvenire attraverso un sistema informativo elaborato ad hoc, con il quale si intende un insieme di procedure e strumenti per raccogliere, conservare e organizzare i dati, permettendone l’utilizzo e, poi, l’elaborazione.

Un sistema informativo così concepito ha pertanto un significato sostanziale e non risponde solo alla mera esigenza di assicurare la documentabilità formale e amministrativa degli interventi effettuati. Allo stesso tempo si raggiungono infatti due obiettivi fondamentali: da una parte fungere da strumento di programmazione e verifica di ciascun intervento e dall’altra sostenere l’integrazione e la comunicazione tra i vari settori di intervento.

È importante che la programmazione di tale sistema sia ispirata alla integrazione tra i servizi e alla semplicità delle procedure, con una architettura informativa con criteri comuni per tutti i settori di intervento; al fine di facilitare il lavoro degli operatori può essere previsto l’utilizzo di strumenti cartacei interfacciati ad un sistema informatico con più stazioni di lavoro. Tali strumenti, in una logica di integrazione a più livelli, devono essere utilizzati dai vari enti ed operatori (elettivamente quelli delle PUA) della rete dei servizi.

Questo modello di condivisione delle informazioni permette che esse confluiscano in un unico collettore, dal quale tutti possono attingere, consentendo una visione generale e nello stesso tempo esaustiva per ogni settore di intervento, per ogni professionalità, per ogni persona assistita. Lungi dall’essere una burocratica modalità di documentazione e rendicontazione amministrativa, il sistema deve essere una vera e propria strumentazione quotidiana di lavoro: la registrazione on line delle informazioni (non dati!) relative alle successive fasi operative, dall’accoglienza alla verifica, consente un riscontro continuo della congruenza, della qualità e della integrazione del lavoro del lavoro.

E’ importante inoltre evidenziare che va prevista una coerenza tra il sistema informativo e i protocolli tecnico-operativi sopra citati, in modo che l’attività routinaria si inserisca in modo armonico all’interno del disegno progettuale.

Il sistema informativo deve infine prevedere una certa flessibilità, che renda possibile l’innesto di eventuali nuove regolamentazioni o l’attivazione di un nuovo servizio della rete senza doverlo stravolgere o moltiplicare le procedure applicative.

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Dimissioni protette

Un momento assistenziale particolarmente delicato per il paziente multipatologico e/o non autosufficiente è rappresentato dalla dimissione ospedaliera; infatti, questa è una fase in cui il rischio di mancanza o difficoltà della continuità di cura e assistenza può compromettere il seguito dell’intervento sanitario svolto nell’ospedale per affrontare l’acuzie.

A questo fine, un accordo di collaborazione tra ospedale e territorio per le dimissioni protette è uno strumento che rende possibile un percorso protetto, accompagnato, tra ospedale e territorio, basato su una effettiva comunicazione tra le due realtà, che riduca i disagi di paziente e familiari, limitando al contempo i ricoveri ospedalieri ripetuti.

Tabella 4: Gli obiettivi degli accordi ospedale-territorio per le dimissioni protette

Obiettivo

Come

garantire ai pazienti anziani e/o fragili la continuità dell’intervento assistenziale

mediante una tempestiva conoscenza e presa in carico delle situazioni “difficili” sotto il profilo socio-sanitario

ottimizzare l’uso delle risorse disponibili nel territorio

orientando al corretto utilizzo della rete dei servizi territoriali

favorire la collaborazione e la comunicazione tra Unità Operative Ospedaliere e i PUA distrettuali con i MMG/PDF

mediante modalità di lavoro efficaci e condivise

Figura 4: Esempio di una scheda di segnalazione per l’attivazione di una dimissione protetta

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Le Malattie Rare (MR): un caso particolare di malati complessi

Le MR sono per definizione forme poco frequenti e per questo poco approfondite dalla ricerca scientifica (si definisce rara una malattia che colpisce non più di 5 persone su 10.000 abitanti). Sono pertanto ancora poco conosciute e studiate e dispongono di un’offerta socio-sanitaria non altrettanto presente ed efficace come per le altre patologie.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima in circa 6.000 le forme al momento riconosciute, con un elevato numero complessivo delle persone che ne sono affette. Si stima che, in Europa, possano essere portatori di MR circa 20-30 milioni di pazienti ed in Italia circa un milione.

Oltre alla numerosità complessiva, le MR sono estremamente eterogenee nella eziologia, spesso genetica, nei sintomi che per gravità accomunano molte forme, nell’andamento cronico e talvolta invalidante, nella prognosi a volte infausta, e nell’aspettativa di vita.

Di fronte a patologie non conosciute o conosciute in modo molto superficiale per la loro bassa frequenza, il medico ha necessità di documentazione ed informazione che non sempre vengono soddisfatte da fonti aggiornate ed esaustive. Il passo successivo è quello di indirizzare i pazienti a strutture idonee con il timore di trovarsi di fronte ad una realtà sanitaria che offre talvolta scarsa possibilità di scelte diagnostiche e terapeutiche.

Tutto questo determina un aggravamento della sofferenza intrinseca della malattia e la necessità per il paziente ed i familiari ad una “migrazione sanitaria” e di rivolgersi a pochi centri specializzati, con tutti i disagi e le preoccupazioni che ne possono derivare.

Negli ultimi anni è andato via crescendo l’interesse per le MR, motivato dalle caratteristiche assistenziali comuni ed unificanti, analizzate di seguito.

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Carenza di percorsi assistenziali

La diffusione disomogenea sul territorio di conoscenze e competenze in tema di MR unitamente a ragioni storiche, sociali e culturali hanno determinato disuguaglianze anche marcate nello sviluppo e nell’applicazione dei percorsi assistenziali delle MR. Accanto a patologie per le quali il legislatore ha provveduto alla creazione di registri nazionali, come l’ipotiroidismo congenito, o di centri regionali come per la fibrosi cistica, od altre che, pur non essendo oggetto di normativa specifica, hanno suscitato particolare attenzione come la talassemia, la maggior parte delle MR sono orfane anche di percorsi assistenziali riconosciuti e condivisi, con rilevanti disparità di trattamento dei pazienti.

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Andamento cronico e talvolta invalidante

Il frequente andamento cronico e non di rado invalidante delle MR richiede spesso l’interessamento di una serie di operatori socio-sanitari.

Le numerose MR che esordiscono in età infantile richiedono un coordinamento tra gli interventi di prevenzione, diagnosi, trattamento, assistenza psicologica, riabilitativa e sociale, anche nelle età successive e, spesso, per tutta la vita.

È fondamentale sviluppare in questo ambito strumenti adeguati di organizzazione e comunicazione.

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Difficoltà diagnostiche

I dati europei confermano questa difficoltà di riconoscere gli eventi rari da parte degli operatori sanitari. In particolare i percorsi diagnostico-assistenziali sono complicati dalla rarità dei presidi sanitari di riferimento e dalla loro disomogenea distribuzione sul territorio.

La maggior parte delle MR richiedono prestazioni multidisciplinari e multi- specialistiche, intendendo con ciò una rete di attività integrate e dedicate alla specifica patologia.

La scarsa numerosità dei malati crea inoltre difficoltà nella ricerca e nella realizzazione di sperimentazioni cliniche.

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Scarsità di opzioni terapeutiche

Molti farmaci per la terapia delle MR non sono disponibili sul mercato o sono difficilmente reperibili poiché le case farmaceutiche non investono nella produzione e commercializzazione di questi medicinali, i quali, essendo di uso molto limitato, non sono remunerativi dal punto di vista economico.

La mancanza di un ritorno economico rappresenta inoltre un ostacolo allo sviluppo di ricerche nel campo delle MR in generale ed in particolare alla sperimentazione di nuovi farmaci.

È questa condizione a rendere effettivamente “orfani” tali farmaci.

L’interesse è quello di concentrare, non solo a livello europeo ma mondiale, l’attenzione sulle MR e sui farmaci orfani per permettere ai pazienti affetti da MR di usufruire dei benefici derivanti dalle nuove terapie; la strada intrapresa è appena all’inizio ma la possibilità di ottenere incentivi in questo campo ha permesso di avviare nuove sperimentazioni nel campo dei farmaci orfani.

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Impatto emotivo e solitudine di fronte alla malattia

I pazienti e le loro famiglie vivono un’esperienza di solitudine doppiamente dolorosa: per la malattia e per la sua rarità, che la porta ad essere poco conosciuta e poco riconosciuta.

Quasi inconsapevolmente la famiglia e il paziente vivono la malattia come una colpa.

È per queste ragioni che un’adeguata informazione, non solo rivolta ai diretti interessati ma anche a chi li circonda, è un ottimo strumento perché la malattia rara non sia vissuta come patologia “dell’altro”, quindi “del diverso” e chi ne è affetto non la viva come una condanna.

Tabella 5: L’esempio del CTRM, Centro Territoriale per le Malattie Rare dell’ASL di Brescia

Finalità

  • essere struttura di riferimento in grado di fornire adeguate risposte ai sempre numerosi e svariati quesiti posti dai pazienti/utenti
  • contribuire alla integrazione tra presidi di rete e le diverse realtà socio-sanitaria, a garanzia della migliore e più razionale assistenza ai pazienti

Organizzazione

  • si avvale dell’apporto professionale di operatori appositamente incaricati ed individuati sulla base di specifica esperienza professionale
  • dispone di una postazione telefonica con orario dedicato alla utenza (cittadini, operatori, associazioni, ecc.)
  • si avvale della consulenza e del supporto del Comitato Tecnico Scientifico individuato dalla ASL, presieduto dal Direttore Sanitario dell’ASL e costituito dai referenti degli specialisti operanti presso le strutture sanitarie pubbliche e private accreditate nelle aree rappresentative delle MR

Funzioni

  • informazione all’utenza ed agli operatori sanitari
  • collaborazione e cooperazione con le Associazioni dei pazienti e con istituzioni che a vario titolo si occupano di MR
  • gestione della sezione “Malattie Rare” appositamente creata nel sito dell’ASL di Brescia con la finalità di esporre una pagina continuamente aggiornata, disponibile sia per i cittadini che per gli operatori sanitari
  • supporto tecnico e di orientamento al paziente ed alle famiglie
  • supporto e sostegno psicologico alle famiglie
  • studio e monitoraggio epidemiologico delle MR nel territorio dell’ASL
  • supporto e promozione di iniziative formative specifiche rivolte ad operatori del settore
  • promozione attività ed iniziative di ricerca e sperimentazione nell’ambito delle MR
  • collaborazione/supporto con le altre articolazioni aziendali nella gestione dei servizi rivolti ai soggetti affetti da MR
  • raccordo e riferimento univoco per il Centro di Coordinamento Interregionale “M. Negri”

Attività

  • consulenza telefonica, anche in differita, ad utenti, operatori, associazioni, ecc.
  • costruzione e gestione della pagina dedicata nel sito
  • supporto/collaborazione con il Comitato Tecnico Scientifico
  • collaborazione e gestione di gruppi di lavoro attivi su focus tematici per le singole patologie
  • comunicazione pubblica dell’attività del CTMR mediante conferenze stampa ed articoli informativo/divulgativi
  • attuazione di eventi informativi e workshop rivolti agli operatori sanitari, Associazioni, altri interlocutori che possono essere i primi destinatari dell’attività del CTMR

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Il Caregiver Famigliare: il terzo protagonista della presa in carico, insieme al malato complesso e al sistema dei servizi

Oltre che direttamente il malato, mai come nell’assistenza ai più fragili e complessi, i servizi devono interloquire e coinvolgere anche la famiglia e, in senso più ampio, la rete interpersonale di sostegno che coopera nel percorso di cura. E’ stato evidenziato come “in Italia il sistema dell’assistenza continuativa (Long-Term Care) ha tradizionalmente, seppure implicitamente, fatto affidamento sul ruolo della famiglia, sia in termini di cure informali prestate da caregiver familiari alla persona non autosufficiente, sia in termini di spesa privata” (Network Non Autosufficienza, 2015). Pur nella necessità che sia il sistema formale pubblico di assistenza continuativa a prendersi cura dei pazienti con bisogni assistenziali complessi in modo “equo, appropriato e sostenibile sul lungo termine”, resta determinante il ruolo della famiglia e del caregiver (termine inglese che indica “colui o colei che si prende cura di”) nell’assicurare l’accompagnamento ad un malato che è, per definizione, in una situazione di fragilità tale da comprometterne l’autosufficienza.

I caregiver posso essere familiari, amici o persone con ruoli diversi che si assumono la responsabilità di assistere, prendersi cura e favorire l’elaborazione del percorso, spesso traumatico, della malattia. Per il malato, poter continuare a sentirsi parte integrante del nucleo familiare, mantenere una comunicazione sincera che non sfoci nel pietismo, rappresenta il punto di partenza per affrontare le difficoltà. D’altra parte il caregiving, ossia il prestare cure, è un’attività lodevole ma spesso inevitabile, difficile e destabilizzante per colui che si trova in questo ruolo.

Le mansioni che il caregiver deve svolgere sono molteplici e dipendono dalla specificità dell’assistito:

  • provvedere alla cura personale (fare il bagno e la toilette, vestire, fare e dare da mangiare);
  • svolgere mansioni fuori casa (fare la spesa, accompagnare l’assistito alle visite);
  • badare alla casa (pulire, cucinare);
  • aiutare la persona a riguadagnare autosufficienza (insegnargli e stimolarlo a fare gli idonei esercizi);
  • fornire supporto emotivo, incoraggiare la persona a fare il più possibile il più a lungo possibile per prevenire l’atrofia della mente e del corpo.

Quindi, diventa cruciale riuscire ad identificare strategie operative o creare un’organizzazione in grado di dare sostegno al sistema familiare nel difficile e delicato compito di cura, rivolgendo sufficiente attenzione al processo comunicativo con la famiglia ed al funzionamento dell’intero sistema familiare, fornendo a questo non solo aiuto strumentale in relazione alla disabilità dell’assistito ma anche supporto economico ed emotivo.

In quest’ottica di promozione, diversi sono i possibili servizi di sostegno che si possono mettere a disposizione del caregiver:

  • un training educativo ed informativo incentrato sulla malattia, ma anche il potenziamento delle sue capacità di “problem solving”, (inteso come intervento mirato ad implementare le sue capacità di modificare le modalità stereotipate, ripetitive e improduttive di affrontare i problemi e la loro risoluzione, che favorisce un più agevole raggiungimento degli obiettivi) e delle strategie di “coping” (potenziamento della capacità di affrontare e fronteggiare lo stress);
  • il “counselling”, che offre supporto emotivo immediato attraverso il dialogo e l’interazione duale con un consulente;
  • i servizi di supporto telefonico e i servizi informativi in rete;
  • i gruppi di auto mutuo aiuto, in cui è possibile confrontarsi con altri caregiver, prendendo conoscenza delle proprie difficoltà e potenzialità.

A titolo di esempio, l’ASL di Brescia ha individuato, sulla base di queste ipotesi, una serie di iniziative per sviluppare ed attuare il concetto di operare con una logica di rete, introducendo un’importante caratteristica che deve acquisire chi si trova a progettare e programmare servizi a favore della popolazione anziana e dei malati con bisogni complessi.

L’ASL di Brescia propone quindi dal 2006 la Scuola di Assistenza Familiare: una serie di incontri rivolti ai familiari di anziani non autosufficienti, con l’obiettivo di rispondere ai loro bisogni, spesso non espressi, e che propongono:

  • informazioni specifiche rispetto alle patologie croniche collegate all’invecchiamento e alla disabilità;
  • approcci corretti riguardo alla malattia e alle dinamiche relazionali esistenti nell’ambito familiare, approfondendo l’importanza di sviluppare le capacità di ascolto e comunicazione;
  • consigli pratici su come comportarsi nei confronti del familiare non più autosufficiente, in particolare in merito alle problematiche assistenziali per rispondere ai bisogni di alimentazione, igiene personale e movimento;
  • indicazioni su come orientarsi nei servizi esistenti sul territorio, offerti sia dall’ASL che dai Comuni.

La finalità generale che sottende l’intero progetto consiste nel creare, intorno al problema della non autosufficienza, una rete di assistenza fondata sul potenziamento delle risorse esistenti, rintracciabili sia nei canali istituzionali (servizi sociali, servizi sanitari), che nei canali informali (familiari, amici, vicini, volontari, ecc).

La promozione di un percorso di empowerment che sostenga la difficile scelta dei familiari che hanno deciso di assistere a domicilio i propri congiunti non-autosufficienti oltre che sulla Scuola, si fonda anche sulla pubblicazione di Manuali di Assistenza Familiare (www.aslbrescia.it>Progetti e pubblicazioni>Pubblicazioni ASL di Brescia>Libri e Manuali>Manuale del Caregiver) e Guide di educazione terapeutica (www.aslbrescia.it>Progetti e pubblicazioni>Pubblicazioni ASL di Brescia>Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso).

L’assenza linguistica del termine caregiver nella lingua italiana rischia di far passare in secondo piano molti caregiver che si prendono cura di familiari malati e per il cui servizio non hanno riconoscimento, assistenza o sostegno specifico. Per far fronte a tale criticità è stato stilato, diffuso e sottoscritto da numerose organizzazioni il “Il manifesto per i familiari caregiver – Verso il riconoscimento culturale, sociale, giuridico del caregiver”.

La Regione Emilia Romagna ha approvato, prima in Italia, la Legge Regionale N°2 del 28 Marzo 2014 “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare”, che riconosce il ruolo sociale del caregiver familiare e proprio per questo intende fornire formazione e supporto alle attività di assistenza prestate gratuitamente da familiari ed amici a persone non autosufficienti, mettendo a loro disposizione importanti servizi. Con le stesse finalità, a livello nazionale, è stato presentato un disegno di legge.

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Il MANIFESTO PER I FAMILIARI CAREGIVER

Verso il riconoscimento culturale, sociale, giuridico del caregiver

L’assistenza alle persone non autosufficienti di tutte le età è un ruolo che investe un numero sempre più alto di persone. È un compito difficile sul piano umano, complesso sul piano organizzativo, che richiede competenza, “forza” fisica e psicologica, disponibilità di tempo, spesso anche disponibilità economiche. Oggi più che mai, il contesto familiare è il luogo privilegiato della cura. Valorizzare e supportare concretamente il ruolo dei suoi membri nell’assistenza è lo scopo di questo MANIFESTO.

Il caregiving è essenziale per il mantenimento della persona non autosufficiente, spesso affetta da polipatologia, nel proprio domicilio; a buon diritto partecipa al “sistema dei servizi” con la caratterizzazione che gli è propria, di servizio informale. È essenziale anche per un’altra ragione, che fonda la nostra idea di società e di contratto sociale: il prendersi cura, in special modo del più debole, sostanzia il legame fra le generazioni sia nella direzione del far crescere sia in quella dell’accompagnare nella malattia e nella perdita della vita.

Il caregiving è gravoso e si assiste ad una progressiva difficoltà nell’espletamento delle sue funzioni perché è aumentato il numero e la gravità clinico-assistenziale delle persone bisognose di cura e perché è cambiata la struttura della famiglia da una pluralità di attori dell’assistenza alla sostanziale solitudine della diade curante-curato.

Il caregiver ha un grande carico sul piano psicologico, in cui i vissuti più frequenti, ingravescenti con il protrarsi dell’assistenza nel tempo, sono la solitudine, l’incertezza sul futuro, le conseguenze emotive del contatto costante con una sofferenza prolungata e spesso molto grave.

La conferma dell’importanza del ruolo svolto dalle famiglie, in particolare da madri, mogli e figlie, arriva dal 46° Rapporto del Censis del 2012, sulla situazione sociale del Paese. Sono le donne che circa nel 70% dei casi si occupano della cura e assistenza, spostamenti casa – ospedale, visite. Sempre il Censis rileva che i familiari che assistono accusano nel 29% dei casi stati d’ansia, tristezza, disturbi del sonno. Lo studio di Elizabeth Blackburn, premio Nobel per la Medicina nel 2009, ha dimostrato che i caregivers sottoposti allo stress di curare familiari gravi hanno un’aspettativa di vita ridotta dai 9 ai 17 anni.

Più recentemente il sistema di caregiving ha subito anche le conseguenze della riduzione avvenuta in molti settori dei servizi pubblici di supporto, come conseguenza delle restrizioni economiche, sebbene in alcune aree del paese i caregiver fronteggino scenari di cronica scarsità dei servizi formali ed è altrettanto avvenga su tutto il territorio per alcune tipologie di servizi, ad esempio quelli di sollievo.

Il caregiving richiede molte abilità, nel dare assistenza, nell’organizzarla, nel sostenere la persona malata, nel prestare le cure anche con aspetti tecnici rilevanti, nel dialogare con i servizi formali, nel conciliare i tempi di vita con quelli di assistenza. Il caregiver è costretto ad apprendere costantemente cose nuove e a fare esperienze nuove, anche di sé e delle proprie capacità. Ha bisogno di informazioni e di aiuto, di confronto e di dialogo, per contenere gli effetti disorientanti della malattia e per non spezzare il filo di senso che lo motiva e lo sostiene nell’assistenza.

Il caregiving richiede risorse, personali, ambientali, economiche. La sua caratteristica intrinseca di flessibilità e adattabilità è cruciale anche con scarse risorse, soprattutto ambientali ed economiche, talvolta con rischi gravi sia per il beneficiario che per il caregiver. Quando le risorse sono troppo esigue, anche quelle personali, è necessario poter sostituire, anche temporaneamente il caregiver. L’assenza di risorse sufficienti mette a rischio tutti coloro che sono coinvolti perché acuisce la povertà, induce la disperazione, provoca la rottura dell’equilibrio che regge l’assistenza. Si assiste anche a ripercussioni che sono state sottovalutate e che solo adesso cominciano ad essere studiate. L’8% delle persone che assistono un malato riscontrano una diminuzione del reddito, soprattutto per coloro che svolgono un lavoro autonomo; addirittura il 5,5% perde il posto di lavoro, mentre il 2% richiede il pensionamento.

Sulla base di queste considerazioni i promotori del presente Manifesto

INTENDONO PROMUOVERE

  • il riconoscimento sul piano culturale e sociale del caregiving, per raggiungere un’omogeneità di valutazione di questa funzione umana e assistenziale a livello nazionale. Si deve riconoscere il ruolo centrale della famiglia e, di conseguenza, modulare e articolare le risposte del servizio pubblico a sostegno di tale ruolo non come una concessione, ma come un aspetto strategico per lo sviluppo civile e delle stesse persone fragili;
  • il riconoscimento nelle politiche nazionali e locali alla famiglia come componente del sistema dei servizi nel contesto dei progetti di intervento a favore delle singole persone venga riconosciuto, nell’ambito del budget di cura, anche economicamente, il ruolo del familiare caregiver;
  • la definizione dei compiti e doveri dei caregiver, partendo da un progetto di cura condiviso, per le persone non autosufficienti di ogni età, sia che vivano a casa loro oppure in strutture di ricovero o in ospedali;
  • la definizione dei diritti del caregiver fra i quali ci paiono irrinunciabili:
    • il diritto di scelta nell’assumere il ruolo e nel mantenerlo
    • il diritto a risposte integrate da parte dei servizi che prevedano risposte articolate e flessibili capaci di sostenere il ruolo del familiare caregiver anche attraverso la previsione di ricoveri temporanei e/o di sollievo
    • il diritto all’informazione e formazione
    • il diritto ad un riconoscimento giuridico che permetta di conciliare i tempi di lavoro e di assistenza e che consenta benefici e facilitazioni sul piano assicurativo e pensionistico
    • il diritto ad essere riconosciuto come soggetto attivo nella cura del familiare nell’interlocuzione con i servizi e quindi co-attore del piano assistenziale individualizzato;
  • la formulazione di proposte per il miglioramento dei servizi di supporto al paziente non autosufficiente che tengano conto delle indicazioni e dei bisogni del caregiver.

PROPONGONO

Alle organizzazioni di utenti, di familiari e dei professionisti della salute, agli attori intermedi pubblici e privati e, soprattutto, ai vari livelli della politica e delle amministrazioni pubbliche

DI SOTTOSCRIVERE IL MANIFESTO E DI DEFINIRE I PROPRI IMPEGNI PER L’APPLICAZIONE.

Milano, 8 Novembre 2013

  • ACP – Associazione culturale pediatri (Sez. Lombardia)
  • Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus
  • ASL Bergamo
  • Fondazione Poliambulanza Istituto Ospedaliero
  • ASL Brescia
  • Fondazione Salvatore Maugeri IRCCS
  • AIPO – Ass. Italiana Pneumologi Ospedalieri (Sez. Lombardia
  • GRG – Gruppo di Ricerca Geriatrico
  • ANMDO – Ass. Naz Medici Direzioni Ospedalieri (Sez. Lombardia)
  • IPASVI Collegio BS
  • AO Desenzano del Garda
  • SIGG – Soc. It. di Geriatria e Gerontologia (Sez. Lombardia)
  • AO San Carlo
  • SIMG – Soc. Italiana di Medicina generale (Sez. Lombardia)
  • AMD – Associazione Medici Diabetologi
  • SiMPeF – Sindacato Medici Pediatri di Famiglia
  • CIAF – Centro Italiano per l’Assistenza in Famiglia
  • SIN – Società Italiana di Nefrologia (Sez. Lombardia)
  • Fatebenefratelli Prov. Lombardo-Veneta Ord. Osp S. Giovanni di Dio
  • SItI – Soc. It. Igiene, Med. Prev. e Sanità. Pubblica. (Sez. Lombardia)

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Acronimi

  • ASL: Azienda sanitaria Locale
  • ADI: Assistenza Domiciliare Integrata
  • ADP: Assistenza Domiciliare Programmata (del MMG)
  • ASL: Azienda Sanitaria Locale
  • ISTAT: Istituto nazionale di STATistica
  • MMG: Medico di Medicina Generale
  • MR: Malattie Rare
  • PAI: Piano Assistenziale Individuale
  • PDF: Pediatra Di Famiglia
  • PUA: Punto Unico di Accesso
  • RSA: Residenza Sanitario Assistenziale
  • UCAM: Unità di Continuità MultiDimensionale
  • UVMD: Unità di Valutazione MultiDimensionale
  • UVG: Unità di Valutazione Geriatrica

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Bibliografia

  • VV. Io caregiver dalla A alla Z (www.aslbrescia.it>Progetti e pubblicazioni>Pubblicazioni ASL di Brescia>Libri e Manuali>Manuale del Caregiver [ultimo accesso: [31/07/2016])
  • VV. Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso (www.aslbrescia.it>Progetti e pubblicazioni>Pubblicazioni ASL di Brescia>Assistere in famiglia: istruzioni per l’uso [31/07/2016])
  • Deliberazione della Giunta Regionale Lombarda N° X/4662 del 23/12/2015
  • Etimo, Etimologia online: http://www.etimo.it/?term=complesso [ultimo accesso: 11/05/2016].
  • Fosti G, Longo F, Notaricola E, Pirazzoli A. Capitolo 12 “Accesso e selezione degli utenti nel settore sociosanitario: modelli di gate unici (PUA) a confronto”, Rapporto OASI 2015. Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema Sanitario Italiano, 2015, pag. 415
  • Legge Regionale Emilia Romagna N°2 del 28 Marzo 2014 “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare”
  • Network Non Autosufficienza. L’assistenza agli anziani in Italia, 5° Rapporto a cura del Network Non Autosufficienza. Maggioli Editore, novembre 2015, pag. 15
  • Regione Veneto, Progetto ACG, il sistema Adjusted Clinical Groups. DGR 498 del 16/04/2013. (www.regione.veneto.it/descrizione-del-progetto/il-progetto-acg-secondo-anno-di-attivita [ultimo accesso: 07/07/2016]).
  • Scarcella C, Auxilia F, Castaldi S, Lonati F, Peasso R, Peduzzi P. “La continuità del percorso dell’assistito”, Prospettive sociali e sanitarie n. 3/2014, pag. 87-124
  • Scarcella C, Lonati F. “Metodologie e Strumenti per la Gestione delle Cure Primarie”, Maggioli Editore, Aprile 2012, pag. 97-130
  • Scarcella C, Lonati F. “Governo Clinico e Cure Primarie, Maggioli Editore, Novembre 2010, pag. 185-2010
  • Treccani, Enciclopedia (www.it/enciclopedia/complessita [ultimo accesso: 11/05/2016]).

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